Da quando una commissione su Aldo Moro è alle viste, impazzano notizie tanto suggestive quanto inattendibili, più di quelle sulla Crimea. Non c’è da stupirsi, visto che Renato Schifani, tuttora stupito di non essere popolare quanto papa Francesco, da balbettante presidente del Senato rimise il segreto di Stato sul carteggio depositato in Parlamento. Viene da chiedersi segreto di quale Stato? Quelo certamente con un ruolo nella morte dello statista pugliese; anzi più che a uno Stato è legittimo pensare a un club, i cui soci contribuirono in varia misura. Stati Uniti e Gran Bretagna sono dentro sino al collo sino a prova contraria. Vediamo perché.
Primo. Ai tempi della commissione Mitrokhin né Usa né Gran Bretagna fornirono il minimo aiuto per dipanare la matassa. Secondo, il dossier Mitrokhin, consegnato alla Commissione senza la decrittazione fu un’operazione di ricatto della Gran Bretagna alla vulnerabile e corrotta classe politica italiana. Paolo Guzzanti, presidente della commissione, sostenne che la decrittazione del dossier non esisteva perché non operata dagli inglesi per rispetto degli alleati italiani. Ridicolo, nel metodo e nel merito. Nel metodo, perché è assurdo presumere che i servizi inglesi non pretesero dal maggiore Mitrokhin la completa decrittazione del dossier prima di accreditare il transfuga. Nel merito, perché se non avessero decrittato la parte italiana del dossier non avrebbero potuto neppure individuarla, isolarla, estrarla e poi consegnare alle autorità italiane il testo non decrittato. D’altronde il governo non voleva la decrittazione e Guzzanti non fece nulla per esigerla da Londra. Questo per dire in che mani fu messo a suo tempo il dossier. Così cominciò una sorta di Zalando delle panzane, disponibile sul web, con la differenza che quelli vendono scarpe di buona qualità mentre su Aldo Moro il web è farcito di bugie volgari e autorevolmente sottoscritte.
In queste ore un agente statunitense, Steve Pieczenik, è intervistato in ginocchio dai giornali italiani, i quali, invece di torchiarlo come meriterebbe, bevono la sua versione secondo la quale sarebbe venuto in Italia da solo, senza collegamenti coi servizi statunitensi. Sempre più ridicolo. Un personaggio sinistro di tal fatta, venuto in Italia per fare le porcherie, da lui evocate e non descritte compiutamente, si muove con codazzi d’agenti di tutte le specie, tagliagole compresi. Che poi fosse accreditato da Francesco Cossiga, non tranquillizza, tutt’altro.
Con le rivelazioni farlocche dell’americano è arrivato il pentimento tardivo di Enrico Rossi, il quale avrebbe avuto un ruolo di primo piano nelle indagini su via Fani ma gli sarebbe stato impedito di arrivare a risultati clamorosi. Costui, al tempo in cui si svolgono i fatti, era l’equivalente d’un appuntato dei carabinieri. Come ebbe il ruolo che rivendica? Se è vero il contrario, faccia nomi e cognomi di chi lo deviò, un maresciallo, un vice commissario, un commissario, un vice questore, un questore, qualcuno insomma che abbia una faccia e un nome, ma non su una lapide del cimitero. Finora ha citato solo defunti, più defunti di quanti ne abbiano fatto in Crimea per la secessione dall’Ucraina. Vorremmo, se possibile, qualche testimone vivo e vegeto, pronto a ricordare nomi, fatti e circostanze. Anzi, è stupefacente che in un paese altrimenti prodigo di indagini, sia pure sconclusionate, non si trovi un magistrato che spicchi un mandato di cattura internazionale per Pieczenic e non torchi a dovere Enrico Rossi.
Rimaniamo in fiduciosa attesa delle prossime panzane, intanto ci accontentiamo di quelle della Yulia Timoshenko.
CONDIVIDI COI TUOI AMICI FACEBOOK, GOOGLE+, TWITTER