Capaci, Brusca. Capaci di Tutto

Lo Stato mente sistematicamente da Portella della Ginestra in poi e soprattutto dopo via Mario Fani, dove coprì il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta, gabellandoli come operazioni compiute da una banda di BR senza alcuna intromissione esterna. Falso, come a Capaci, falso. Le bugie lasciano tuttavia tracce indelebili.

LO STATO MENZOGNERO SU VIA D’AMELIO

Lo Stato italiano ammette d’aver mentito per la strage di via D’Amelio, per l’attentato del 19 VII 1992 a Palermo contro il magistrato Paolo Borsellino. Anche su Capaci i conti non tornano. Vari depistaggi nascondono la verità. Giovanni Brusca è stato nel frattempo scarcerato.
Si riaprano le indagini anche su Capaci. Lo suggerisce – dopo la sentenza di Caltanissetta che smonta il falso di Stato su via D’Amelio – una logica elementare: l’attentato a Borsellino è conseguenza di quello a Falcone. Lo Stato infetto operò quindi in via D’Amelio perché prima operò a Capaci. Certo furono pezzi sporchi dello Stato, ma né piccoli né secondari, neppure a basso livello, a coprire via D’Amelio – come avevano fatto per via Fani – e tuttora per Capaci.
Questo Stato infetto opera prima, durante e dopo l’attentato di Capaci. Prima per propiziarlo; durante per assicurarne il successo; dopo per cancellare le tracce. L’attentato di via D’Amelio è quanto consegue a Capaci, infettato a sua volta dalle menzogne di Stato. Costoro non poterono agire senza protezioni più alte, senza una trattativa tra Stato e Mafia, col conseguente do ut des, do ut facias, delle reciproche proposte Stato-Mafia, impossibili da rifiutare per l’uno e per l’altra.
Curioso si voglia dare a intendere che le menzogne di Stato s’addensino solo per Borsellino. Si riaprano le indagini su Capaci. D’altronde lo suggerisce anche una rilettura tecnica dell’attentato.
Una novità? Lino Jannuzzi, vero giornalista, fu coperto di querele, avendo sostenuto dal primo istante l’inattendibilità di Vincenzo Scarantino – drogato e schizofrenico – quale autista della 500 Fiat portata piena di esplosivo in via D’Amelio.
«Possibile che Cosa Nostra affidasse a un simile individuo il compito di trasportare la macchina con l’esplosivo?» chiese giustamente Jannuzzi. Pioggia di querele eccellenti le cui motivazioni meritano approfondimenti, così come la stampa connivente. Chi firmò i pezzi contro Jannuzzi? Chi firmò gli articoli e gli atti giudiziari contro Jannuzzi?
S’indaghino soprattutto i patrimoni di costoro, dei loro eredi, di quanti comunque potrebbero averne beneficiato. Tre poliziotti sono sotto processo: avrebbero imbeccato Scarantino. Solo tre poliziotti? E basta? Suvvia, è arrivato il tempo di chiarire il ruolo di tutti su Scarantino.
Occorre capire come il depistaggio avvenne, chi lo ordinò, a quale disegno rispose, quali guadagni determinò. La favola dei mafiosi impegnati nelle vendette va bene per le fiction televisive. Se la magistratura non è in grado di indagare su sé stessa, si nomini una commissione parlamentare con ampi poteri requirenti. Torniamo a Capaci.

ATTENTATO PREPARATO MALISSIMO

Come per via Fani, così per Capaci il racconto dei criminali, presunti protagonisti, denuncia impreparazione e pressapochismo. I mafiosi raccontano di numerose prove di velocità, per stabilire come e quando Giovanni Brusca doveva dare l’impulso radiocomandato, presumendo che il giudice Falcone viaggiasse a 160-170 chilometri orari. Commisero così il primo errore.
La Croma blindata raggiungeva ma non manteneva tali velocità. Per dirla meglio, la Croma più potente ebbe un motore turbo a iniezione elettronica, da 150 cavalli, 4 cilindri e 16 valvole. La versione blindata raggiungeva i 180 chilometri orari, ma a pieno carico le sue prestazioni si riducevano alquanto.
Non di meno i mafiosi posero un rottame di frigorifero sul margine della carreggiata a 30 metri dall’esplosivo, per dare l’impulso elettronico quando l’auto di Falcone vi si fosse allineata, tenendo conto della velocità di reazione di Brusca.
Centosettanta chilometri all’ora sono 47 metri al secondo. L’auto di Falcone avrebbe coperto pertanto gli ultimi 30 metri in 0,63 secondi, secondo le coppole.
L’ipotesi di velocità di 170 chilometri all’ora era tuttavia sbagliata per tre motivi.
Uno lo abbiamo già detto: la Croma blindata sarebbe stata al limite delle sue prestazioni.
Il secondo motivo – ancora più importante – è che Falcone non oltrepassava mai i 120 chilometri quando viaggiava con la moglie, che non gradiva la velocità elevata. Lo testimonia il suo autista, l’agente Giuseppe Costanza, l’unico sopravvissuto nell’auto che trasportava il giudice. Chiunque sia sposato sa che certi divieti sono tassativi.
Infine Brusca, poco a suo agio con la fisica, trascurò che la velocità era una variabile del tutto incontrollabile da parte dei malviventi e quel frigo ai margini della carreggiata non dava alcuna certezza.
Eppure, come abbiamo detto, Falcone all’appuntamento con la morte giunse puntuale, sebbene con un po’ di ritardo. Proprio tale ritardo, vedremo di 0,3 secondi, spiega che cosa è accaduto.
L’esplosivo funziona per questi attentati se la vittima è investita in pieno. Un attentato analogo fu quello all’ammiraglio Carrero Blanco, delfino di Francisco Franco, che il 20 Dicembre 1973 fu colpito dall’esplosione di 100 chilogrammi di dinamite, collocati sotto in un tombino stradale, sul quale transitò l’auto dell’ammiraglio. L’esplosione scaraventò l’auto a 30 metri di altezza e tutti i suoi occupanti morirono. I terroristi baschi erano stati addestrati dal servizio segreto militare sovietico, il GRU. Per Giovanni Falcone fu ordito un disegno analogo.
La nostra tesi: «Sulla striscia minata dai mafiosi (intasando di esplosivo un cunicolo sotto la sede stradale) avrebbe dovuto esserci Falcone con la sua auto al momento dell’esplosione. Essa invece – per un ritardo di 0,3-0,5 secondi – impattò sul muro di detriti, sollevato dall’esplosione.
I fatti riscontrabili negli atti giudiziari spiegano perché non fu Giovanni Brusca (sebbene ne fosse convinto) a determinare l’esplosione».

INCONTRO ALLA MORTE, MA IN RITARDO

Falcone viaggiò con tre auto, la sua e due di scorta, una davanti, l’altra dietro, a distanza serrata. La prima – come accadde all’auto di Carrero Blanco – finì sull’esplosione e fu proiettata a 60 metri di distanza; gli occupanti morirono sul colpo.
L’auto di Falcone urtò il muro di detriti sollevato dall’esplosione. Sopravvisse in un primo momento con la moglie e l’autista seduto dietro di lui. In ospedale decedettero il giudice e la moglie.
L’autista sopravvisse poiché non guidava ed era seduto dietro, a 50-70 centimetri dal giudice. Nella terza auto sopravvissero tutti.
Falcone guidava l’auto, ripetiamolo. Secondo la testimonianza del suo autista, il giudice, autista spericolato, dovendo dare alla moglie le chiavi di casa, poste nello stesso mazzo di chiavi della Croma, scambiò in corsa la chiave di accensione, 300 metri prima del punto di scoppio.
L’auto andò a motore spento, in folle, passando da 120 chilometri all’ora (33 metri al secondo) a non più di 80-90 chilometri all’ora (25 metri al secondo). Falcone pertanto non coprì gli ultimi 30 metri in 0,63 secondi – come avevano invece previsto i mafiosi – occorrendo invece da 1 a 1,2 secondi.
Quando Brusca schiacciò inutilmente il pulsante, la prima auto di scorta era a meno di dieci metri dall’esplosione. Falcone si trovava quindi a 17-20 metri. Chiunque si intenda di esplosivi sa che quella distanza gli avrebbe consentito la salvezza, malconcio ma salvo. Lo prova il suo autista, lo ripetiamo, il quale si salvò perché era seduto dietro, a 50-70 centimetri di distanza dal giudice. Falcone si sarebbe salvato e la prima auto di scorta avrebbe impattato sul muro esplosivo.
L’ulteriore ritardo (da 120 km/h a 90 km7h), causato dallo scambio di chiavi, portò quindi sull’esplosione la prima auto di scorta invece dell’auto di Falcone che impattò sul muro di detriti causato dall’esplosione. Si salvò l’equipaggio della terza auto.

BRUSCA NON DÀ L’IMPULSO ESPLOSIVO

Secondo gli atti processuali, Brusca premette invano più volte il telecomando che quindi era scollegato dall’esplosivo. L’esplosione fu pertanto poi innescata da qualcuno e qualcos’altro.
Non c’è altra spiegazione tecnica: il telecomando di Brusca non era collegato al circuito esplosivo. Tale ricostruzione è asseverata da un altro dato di fatto. Il giorno precedente, il 22 Maggio, intorno alle ore 12.32 furono notati un furgone Fiat Ducato bianco e alcune persone che eseguivano lavori sul luogo dello scoppio. Furono deviate le automobili di passaggio, furono usati i birilli catarifrangenti per indirizzare il traffico. Gli accertamenti successivi svelarono che nessuna ditta era accreditata per aprire un cantiere stradale in quel punto. Ci fu pertanto il giorno prima dell’attentato un intervento non istituzionale che non ha altra spiegazione che nel compimento del medesimo attentato, manomettendo il circuito esplosivo approntato dalle coppole.
Che cosa e come successe? L’esplosione fu determinata da un altro impulso esplosivo inviato da un altro gruppo meglio attrezzato, oppure da due antenne che si «guardarono», un mini trasmettitore sull’auto di Falcone, attivato sulla base della velocità di 120 km/h col ricevitore sull’esplosivo che chiuse il circuito elettrico dei detonatori.
La seconda ipotesi appare più verosimile poiché, grazie al doppio ritardo (da 120 km/h a 90 km/h) sappiamo che l’esplosione avvenne come se Falcone viaggiasse a 120 km/h ma nessuno dei sicari poté prevedere il brusco rallentamento, dovuto proprio al cambio in corsa delle chiavi.
Il lavoro fu quindi fatto da un vero specialista, consapevole dell’elevata sensibilità dei detonatori elettrici, soggetti a micro correnti dovute ai campi magnetici effimeri, suscettibili quindi di brillare fuori tempo.
Lo scambio di chiavi, imprevedibile, ripetiamolo, determinò un ritardo, finché le due antenne non si connessero effettivamente. Così la prima auto, avendo rallentato, fu sul fornello esplosivo e Falcone, in ritardo ma non abbastanza, impattò sul muro esplosivo dopo una frazione di secondo.

CONCLUSIONE

A Capaci in Sicilia, come a via Fani a Roma, una mano molto professionale intervenne a far apparire dei cialtroni improvvisatori, al più assassini senza scrupoli, quali sicari dalla raffinata preparazione. La mano di Capaci è analoga a quella fatale all’ammiraglio Carrero Blanco nel 1973. Colpisce che la cecità affligga tanto i fiancheggiatori di Stato a Capaci come a via Mario Fani. Coincidenze, sì, coincidenze, come sempre.
Cristo Vince nonostante lo Stato menzognero, protettore di mafia e BR.

Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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3 risposte a Capaci, Brusca. Capaci di Tutto

  1. luciano prando scrive:

    la così detta speculazione sulla lira fu l’inevitabile conclusione della scelta Ciampi di entrare nello SME con un valore, per la nostra moneta, troppo alto: la crisi si aprì quando, sempre Ciampi, accettò di portare la banda di oscillazione dal 5% al 2%….al tempo si potevano possedere o trattenere denaro in moneta straniera per non più di tre mesi: l’establishment economico non cambiò in lire gli incassi sulle esportazioni, anticipò a lira sopravvalutata i pagamenti delle importazioni in monete straniere, le banche italiane imprestavano marchi ai propri clienti trattenendoli in garanzia….per sostenere il gioco occorreva che Ciampi vendesse oro per comprare lire e quindi sostenerne fittiziamente il valore di cambio per i fatidici tre mesi: tutti quelli che avrebbero perso con la svalutazione invece ci guadagnarono ricomprando lirette svalutate a vagoni con i marchi in cassa, ovvio che in questa temperie tutti, internazionalmente, si liberarono delle lire, lire che Soros aveva in cassa in quantità comprate prima dello SME….certo l’insieme dalla firma di un trattato capestro come maastricht, gli attentati, Mani Pulite, gli assassinii nel cuore della magistratura, la svalutazione, la supposta fine del potere russo, servirono ai nostri “amici” di sempre a completare l’opera iniziata con l’assassinio di Moro, le false accuse al governatore della Banca d’Italia, per liberarsi definitivamente di una classe politica, sicuramente poco impeccabile, ma che riusciva a far coincidere, almeno in parte, interesse personale con interesse nazionale, stroncando definitivamente l’economia italiana

  2. danilo fabbroni scrive:

    Non è questione di Mosca o non Mosca: il nodo marchiano è che il soggetto “indagante” per forza di cose ha dovuto sviluppare – giocoforza – che, detta in maniera semplicistica, è l’esercizio della logica pura, il 2+2 fa 4. Giustamente questo “soggetto indagante”, a tutti i livelli, dall’appuntato al livello apicale della gerarchia militare o militarizzata che sia, deve e vuole sgranare il grano dal loglio, vuole depurare le falsità, i depistaggi eventuali, le fandonie, le bufale, le eventuali false flag, le operazioni di natura psicologica (coi relativi condizionamenti in ballo) e via di seguito. A questo aggiungiamo che la formazione intellettuale, mentale, psicologica del soggetto di cui sopra difficilmente tiene conto di una visione della realtà fatta col periscopio, a 360°, giacché la base formativa accademica è incentrata principalmente dalla cultura giurisprudenziale oltre a quella evidente di natura “militare” con tutto ciò che concerne questo lemma. Questo porta – nel migliore dei casi – ad una grande valenza di questi soggetti nel loro campo di applicazione ma allo stesso tempo costituisce una peculiare, profonda debolezza in quanto non si vede più in là del proprio naso. Questa attitudine, chiamiamola così per non infierire verso persone che rischiano anche la vita, non fa loro percepire quando del tutto inavvertitamente “scattano di livello” nelle loro indagini approdando così in lande, in territori (non stiamo parlando geograficamente, Mosca, Davos, Zurigo, et cetera ma di siti geo-politici), in “dimensioni” che loro stessi, in primis, non comprendono in quanto per loro natura sono estranee alla loro ferrea logica compartimentata in un pensiero che alla fine della fiera si rivela angusto. Moltissimi di essi, per far solo un esempio, non hanno la minima contezza di fenomenologie di quello che Guénon chiamava il wu-wei, il “motore immobile”, una “sfera” di pensiero prima e di azione poi che fa accadere, concretizza cose, movimenti, fatti, episodi in maniera inverosimile da una parte ma assolutamente realistica dall’altra. Probabilmente non sanno neppure chi sia stato Guénon. Alla stessa stregua scartano a priori motivazioni, leve di azione, le quali provengono da banali comportamenti umani quali la lussuria, l’accidia, la casualità, il dileggio, il gusto della Mistificazione et alii, il che confligge in tutto e per tutto colla loro mentalità razionalistica, cartesiana, estremamente logica: ciò li trasforma in vittime sacrificali senza che nemmeno loro sappiano od abbiamo saputo “perché e come”. Feltrinelli, ad esempio ultimo, su un fronte “altro” è un eclatante esempio di tutto ciò.

  3. Pierp scrive:

    C’entra qualcosa il fatto che falcone doveva andare a mosca x le sue indagini? E quindi si capisce benissimo su chi stava indagando.
    Mi pare fecero anche un libro sulla questione.

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