Duecento anni del Carabiniere, più protagonista che mai.
Dal dopoguerra sono stati innumerevoli gli sforzi, pure intensi, per annacquarne la natura militare, per mettere il Carabiniere al servizio di questo o quell’altro potentato, infine di farne un tutt’uno con la polizia di stato, invano.
Si è sviluppato intanto un dibattito surreale nel corso del quale è affiorata la volontà di snaturare una figura che tuttavia funziona, il Carabiniere, mentre nel rimanente mondo militare – nell’Esercito in particolare e molto meno nella Marina e nell’Aeronautica – è affiorata l’incapacità di comprendere che cosa davvero distingua il Carabiniere.
[mantra-pullquote align=”justify” textalign=”justify” width=”29%”]leggi o scarica qui articolo correlato[/mantra-pullquote]
Col crescere della Guardia di Finanza – per tutt’altre e meno commendevoli ragioni – e di altri corpi armati, come forestali, penitenziari e guardacoste, il cittadino contribuente è progressivamente consapevole d’un fatto incontrovertibile: il Carabiniere è indispensabile, costa molto meno, rende molto di più rispetto ai rimanenti e non presenta petecchie infettive comparse altrove.
Le ragioni del forte legame col popolo e della terribile efficienza del Carabiniere sono nella preparazione tecnica profonda dei quadri, nella selezione spietata dei leader e soprattutto nella capacità di rinnovarsi nella tradizione.
Il tentativo di letture distorte di questa verità non regge alla prova dei fatti. L’ultimo libro del pur ottimo Fabio Mini (I Guardiani del Potere, ed. Il Mulino) presenta il distacco del Carabiniere dall’Esercito come frutto d’una congiura di palazzo. E’ possibile, ma la congiura, se c’è stata, ha portato un esito migliore dell’antefatto e certamente adeguato ai tempi. Sicché non mi sono stupito, durante la lettura, di rammentare un’osservazione propostami tanti anni fa:”Fra i generali dei Carabinieri vi sono molte personalità eccezionali, taluni sono anche manigoldi travestiti da gentiluomini, fessi tuttavia non se ne sono mai visti”. E mi pare che non se ne vedano tuttora; occorre tenerne conto nelle analisi.
A partire dal 1992 fu evidente che l’Esercito non era in grado né di fronteggiare la temperie in cui entrava il paese né d’assicurare al Carabiniere una credibile gerarchia di comando. Il risultato fu inesorabilmente indirizzato al distacco del Carabiniere da un Esercito tutt’ora spesso privo di identità, tutt’al più incline ai lavori ancillari per le polizie, per consentire loro di andare in vacanza, come fu a partire dai “Vespri Siciliani”.
Quanti hanno l’età ricordano che il generale Giovanni De Lorenzo, ingegnere e artigliere di vaglia – era un altro Esercito – portò il Carabiniere nel mondo moderno, dotandolo della migliore tecnologia e di autonomia amministrativa dall’Esercito, a costi convenienti rispetto agli sciali precedenti.
Un altro comandante sta lasciando un’impronta indimenticabile: è quello attuale, il generale Leonardo Gallitelli, il quale traghettando il Carabiniere verso i prossimi 200 anni ha dimostrato sagacia, lungimiranza e perfetta conoscenza del Palazzo. Chi lo detesta gli fa carico d’una ambizione smisurata; quella dimostrata sinora ha dato buoni esiti, tuttavia, come quel monumento davanti al Quirinale, cinque metri di storia nel bronzo, una risposta a quanti invocano la smilitarizzazione o peggio ancora il rimescolamento con altri innumerevoli, inefficienti e talvolta nebulosi corpi di polizia.
CONDIVIDILO COI TUOI AMICI MEDIANTE FACEBOOK, GOOGLE+, TWITTER