Sulla via della Feta, Giuseppe Conte bastona Armando Siri. Lega e M5S litigano sul ballatoio di palazzo Chigi. Fino a ieri Giuseppe Conte si barcamenava per compiacere Luigi Di Maio e non dispiacere Matteo Salvini. Oggi è diverso. Cerchiamo di capire perché. #DiMaioContecomeMacron
L’accordo di marzo con Pechino, “Belt and Road Initiative”, noto come “La via della Seta”, è stato rivendicato da Di Maio come un suo personale successo. Sì, di certo ha tagliato fuori la Farnesina; questo è un successo, se così si può dire; è tuttavia abnorme. Resta il fatto che altri sono i veri protagonisti del Trattato. L’azionista di maggioranza del Governo, Matteo Salvini, finora ha abbozzato, ma che cosa accadrà in futuro?
#DiMaioContecomeMacron
Una settimana prima della firma del Trattato, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti andò a rassicurare Donald Trump sulla fedeltà atlantica della Lega e sugli obiettivi strategici: flat tax e spinta agli investimenti, decreto sblocca cantieri e luce verde alle esplorazioni energetiche. Quando si dice la coincidenza, sono esattamente i provvedimenti che Conte, Di Maio e M5S hanno poi impedito. Matteo Salvini abbozzò. Nell’ambasciata di via Veneto, entusiasti di Giorgetti, cominciarono a dubitare di Salvini, “avvitato sui migranti ma privo, se non incapace, d’una visione strategica d’ampio respiro”. Dopo tutto era quanto attendevano Di Maio e Conte, per tentare di arrivare a Trump scavalcando Salvini.
Di Maio, spesosi per imporre a Salvini una manovra recessiva e l’accordo sulla Cina, è forse uno stupido, mentre sondaggi e urne elettorali massacrano lui e il Movimento? È più probabile che Di Maio faccia conto proprio sulla manovra recessiva e sull’accordo con la Cina per eliminare la Lega, confidando di recuperare forze e consensi in un secondo momento. In altri termini, Di Maio e Conte sono oramai simmetrici a Parigi e Berlino, perseguendo nei fatti l’obiettivo di impoverire l’Italia, distaccarla dal sistema atlantico, renderla svendibile. Ne hanno capacità? Questo è un altro discorso. A Washington non si lasciano incantare: «Un avvocato che parla bene l’inglese e un giovanotto che parla male l’italiano», li hanno definiti. Non sembrano insomma godere di stima incondizionata, specialmente dopo la firma del Trattato. Pare che Giorgetti, nel corso della sua visita negli Usa non abbia mancato di elencare i numerosi amici italiani di Pechino, fra i quali cercare i suggeritori di Conte e Di Maio.
Sulla via della Feta
Il Trattato della via della Seta è il risultato di un lavorio iniziato quasi venti anni addietro. L’apripista fu Romano Prodi che nel 2006 piazzò il figlio Giorgio nell’Osservatorio Cina; il rampollo oggi è impegnato tra le università di Ferrara e Pechino a intrecciare studio, simposi e affari. Nel M5S brilla un altro prof, sottosegretario allo Sviluppo economico, con delega al commercio estero, Michele Geraci, “ossessionato dalla Cina”, l’ha definito Il Foglio. Vi è inoltre una sorta di corazzata, come la Fondazione Italia Cina, creatura di Cesare Romiti, presieduta da Alberto Bombassei, col suo vice, Diana Bracco, e con Vincenzo Petrone, direttore Generale.
Ma su tutti questi gioca un ruolo di gran lunga più decisivo un personaggio che ai tempi della Guerra Fredda volteggiava fra Washington, Mosca e Tel Aviv, finché proprio gli ebrei lo puntarono, stanchi dei suoi giochi su troppi tavoli, Olp incluso. Informarono il Vaticano e fu colto nell’esercizio delle sue funzioni, non proprio sacre, con pretini e chierichetti. L’ostracismo di san Giovanni Paolo II lo lasciò assetato di vendetta.
Un suo amico affettuoso, un monsignore, seguiva da anni il dossier Cina, contrastato da monsignor Gianfranco Rota Graziosi, capo ufficio Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, contrarissimo ad assoggettare al partito comunista cinese le nomine dei vescovi. Due anni fa la pressione da Pechino andò alle stelle: l’accordo col Vaticano doveva concludersi per aprire la Via della Seta. Si mobilitò tutta la filiera filocinese, ma fu decisiva la santa fraternità omosessuale in Vaticano: fece muro contro Rota Graziosi che fu rimosso e l’accordo Vaticano-Cina poi passò.
Caduto Rota Graziosi, il grande vecchio ebbe buon gioco a mestare fra Vaticano, M5S e Pechino per andare sulla via della Seta. All’indomani della firma fu però evidente che si andava piuttosto sulla via della Feta, verso il baratro greco, perché la reazione statunitense si fece immediatamente sentire con le avvisaglie d’un uragano. Conte e Di Maio non sanno in che mani si sono messi, dicevano alcuni, oppure lo sanno troppo bene, secondo altri.
La reazione statunitense graduale, quanto pesante e implacabile, costrinse Conte prima a telefonate affannate oltre Atlantico e poi al goffo corteggiamento del presidente del World Jewish Congress (WJC), Ronald Lauder, ricevuto a palazzo Chigi il 24 e il 25 aprile. Di Maio aveva iniziato a suonare la grancassa una settimana prima: «La Lega si allea coi negazionisti della Shoa», illudendosi di guadagnare il favore di Lauder, invece rimasto alquanto tiepido, non facendo mistero della pessima impressione ricavata da Conte e dal suo socio.
In cerca di nuovi padroni
Ronald Lauder è un navigato politico, fedelissimo di Trump, è in buona misura artefice del suo successo. Lauder offrì a Trump il sostegno del WJC per la Casa Bianca, in cambio d’un radicale mutamento di rotta su Israele. Trump, vinte le elezioni, ha riconosciuto le conquiste territoriali della “Guerra dei 6 giorni”, ha portato l’ambasciata statunitense a Tel Aviv e inasprito, proprio come aveva chiesto Lauder, le misure contro l’Iran, cioè la principale e più nascosta sponda internazionale dei 5S, che non è Georgy Soros, come invece si lascia credere.
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La Casa Bianca dopo il Trattato con la Cina ha giocato sul piano economico, politico e militare. Ha lasciato credere a Macron di poter fare a pezzi l’Italia coi migranti dalla Libia. La Francia il 4 aprile ha abboccato, svelando i canali verso il generale Khalifa Haftar, confidando su una valanga di profughi nei porti italiani, per travolgere l’odiato Matteo Salvini, contro il quale era già pronta la sollevazione e l’apertura dei porti, Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta pronti e con chiavi in mano. Haftar ha invece picchiato su Tripoli non più di quanto necessitava allo scopo politico. Dopo dieci giorni il colpo di scena: Bloomberg svela che il generale Haftar, agente della Cia, è sostenuto dal Pentagono. Ohibò, Conte e Di Maio hanno capito d’essere in trappola; gli statunitensi non sono poi così stupidi com’essi supponevano; i giochini coi francesi, a danno di Salvini, erano scoperti. Da qui il loro tentativo disperato e inutile di genuflettersi a Lauder. Si sono infine aggrappati al dossier Siri come naufraghi in mezzo al Mediterraneo. Devono pur portare a casa un successo prima delle elezioni europee, non vi pare? Conte ha quindi annunciato il benservito a Siri. L’unico tangibile effetto di questa manovra è un ritorno a casa di molti voti del PD che erano prima migrati nel Movimento. Comunque finisca la storia con Siri, Conte e Di Maio sono sputtanati.
L’Africa è la fine della Francia
VIA DELLA SETA O DELLA FETA? FORMAGGIO GRECO (spesso di origine pugliese, qualsiasi riferimento…..) A SIMBOLEGGIARE IL DISASTRO DI TALE PAESE a me sembra che conte, lasciamo a parte il giovane di maio, stia facendo il gioco di alzare le provocazioni nei riguardi di salvini fino ad obbligarl a rompere il patto di governo, quindi farsi confermare l’incarico dak mattarelle, imbarcare qualche tecnico de sinistra e ottenere la maggioranza in parlamento con l’astensione o l’appoggio esterno del pd e riprendere la liquidazione dell’industria italiana……certo che a sakvini manca la visione internazionale che manca nei suoi schinieri più vicini, poi, in fase elettorale il trump è un’anatra zoppa, se rieletto avremo altri 4 anni buoni ma se non rieletto tutti gli equilibri cambiano, questa incertezza pesa nell’amministrazione usa creando difficoltà sulla possibilità di creare legami continuativi