Il Presidente della Repubblica deve sedare la cagnara innescatasi con le pubbliche dichiarazioni del ministro della Difesa, ostili all’autore di un libro.
Il problema oggi non è il contenuto del libro – incondivisibile o meno che sia – ma la legalità attraverso la quale s’afferma la disciplina militare. Atteso che la legge prevede che ogni militare è libero di esprimere il proprio pensiero, purché non tratti argomenti “di carattere militare riservato o di servizio”, è altrettanto evidente che il ministro della Difesa ha il più completo diritto di eccepire sui contenuti del libro.
Egli non può tuttavia farlo se non attraverso quanto prevede la legge che regola la disciplina militare, amministrata dallo stesso ministro. In questo caso un ufficiale inquirente, delegato dal superiore diretto dell’ufficiale in sospetto di aver violato la disciplina militare, deve accertare quanto accaduto, in fatto e in diritto, per stilare quindi una relazione. Sulla base di tale documento, le autorità militari decidono il da farsi, perfino deferire davanti all’autorità giudiziaria.
Come il lettore può comprendere, quanto ho scritto sinora prescinde dai contenuti del libro. Purtroppo il ministro della Difesa, sceso in campo ripetutamente attraverso i “social media”, come fosse un adolescente, per esprimere contrarietà e ostilità all’autore sulla base di notizie di stampa, ha messo le Forze Armate nel mezzo d’una contesa politica tra tifosi e nemici del libro. Questo è inaccettabile.
Neppure riporta nella legittimità l’ultima notizia stampa, secondo la quale sarà fatta un’inchiesta “sommaria”, invece di quella formale di cui ho detto. Sarebbe una medicina peggiore della malattia. L’inchiesta formale è ora più che mai indispensabile.
Il capo del governo avrebbe dovuto indurre il ministro della Difesa a farsi da parte non appena la questione è uscita dai binari della legge e della disciplina militare, imboccando lo sgangherato binario destra contro sinistra.
A questo punto, il Presidente della Repubblica e Comandante supremo delle Forze Armate deve intervenire sul Capo del Governo e, mediante le sue peculiari leve di manovra, indurlo ad accettare un nuovo ministro della Difesa , per portare a buon fine l’inchiesta disciplinare, senza ombre di partigianeria in un verso o nel suo opposto. Le Forze Armate devono essere mantenute lontane dalla contesa politica.
Il ministro oggi in carica deve quindi farsi da parte perché la sua condotta introduce un vizio insanabile di forma. Egli, avendo infatti espresso giudizi ostili all’autore del libro, offre il destro a un qualsiasi avvocaticchio di vincere l’impugnazione davanti al TAR delle conclusioni dell’inchiesta disciplinare, perché sovrastate dalla cinghialesca presa di posizione del ministro, al di fuori dei riti di legge.
Il successore di questo ministro non può essere, inutile spiegarne i motivi, di Fratelli d’Italia, ma neppure provenire dalle fila di Forza Italia né da quelle della Lega, i cui esponenti si esibiscono pro o contro l’autore. Dilettanti.
È indispensabile che il Presidente della Repubblica intervenga al più presto. È la prima volta che un ministro della Difesa mina alle basi la disciplina militare che invece egli avrebbe dovuto amministrare con equilibrio. Il Presidente della Repubblica e Comandante supremo delle Forze Armate non può evitare di intervenire. Gen. D.g. (ris.) Piero Laporta www.pierolaporta.it