«Stefano Cucchi è morto ma Giuseppe Lo Porto è vivo; tocca a voi salvarlo».
Così concluse l’avvocato Luciano Faraon, arringando il 7 febbraio al Consiglio di Stato, rivendicando l’illegittimità, anzi l’illegalità dell’estradizione per la quale Giuseppe Lo Porto, 87 anni, oggi versa ancora in un carcere dell’Alabama, da maggio 2012, sette anni fa.
Il Consiglio di Stato ha dato ragione all’avvocato Faraon: è illegittima l’estradizione decretata dal ministero di Giustizia.
«Estradizione a dir poco anomala» aggiunge Faraon «eseguita il giorno prima che Tribunale della Libertà vagliasse la legittimità dell’arresto e dell’estradizione del “cittadino italiano” Giuseppe Lo Porto, mentre il decreto riguardava il “cittadino americano Giuseppe Lo Porto”».
Pubblicato con altro titolo da La Verità del 23 maggio 2019
La Verità riferì a gennaio del mostro giudiziario che stritolava un vecchio emigrato italiano di 87 anni. Orrida storia di “sexual business”, espediente in via di propalazione dagli Stati Uniti in Europa, per spennare mariti incauti, accusati di molestie sessuali ai figli, da mogli avide e senza scrupoli.
Giuseppe, sposata nel 1987 una statunitense divorziata, adottandone figlio e figlia, aveva accumulato un patrimonio milionario. Fallito il tentativo di intestarsi una casa lussuosa, la moglie nel 1995 volle divorziare, accusandolo di abusi sessuali sulla figlia, a suo dire iniziati cinque anni prima, quando Kathrin aveva otto anni. La signora dichiarò di non essersi mai accorta delle molestie.
Liberato su cauzione, l’impresa a rotoli, i conti bancari svuotati dalla moglie, le porte del carcere si riaprivano. Si rifugiò in Italia, poi in Olanda, dove lo raggiunse la prima richiesta di estradizione. Il tribunale olandese respinse l’estradizione per “carenza di prove”; le poche esibite «viziate da assenza di garanzie nell’audizione della minore presunta vittima di abusi sessuali» la quale, osservarono i giudici «denunciò gli abusi quando era in atto una procedura di divorzio fra sua madre e l’estradando». Giuseppe, tornato libero, commise però un altro errore: rientrò in Italia.
Non sapeva che il ministero della Giustizia italiano aveva decretato la sua estradizione fin dal 26 giugno 2006, senza mai notificargliela. Sette anni dopo, il 7 maggio 2012, Lo Porto fu arrestato. In poche ore, senza alcuna notifica al suo difensore, consegnato a due agenti statunitensi ed estradato, varcando la frontiera di Fiumicino con un passaporto falso. Un funzionario del ministero di Giustizia intascò una taglia di 5mila dollari. Il nome del funzionario, denunciato da Nadia Bellini, nipote di Pino Lo Porto, scomparve dagli atti istruttori. Il caso fu archiviato.
Intendete far riaprire le indagini? «Dobbiamo liberare al più presto Pino Lo Porto, che ha 87 anni. La Farnesina e la nostra rappresentanza diplomatica negli Usa devono operare in fretta, se siamo ancora un paese libero e democratico. Poi esigeremo la riapertura delle indagini su questa operazione di giustizia sconcia».
Pensa davvero che le riapriranno? «Non c’è scelta. Il Consiglio di Stato ha sancito che quella estradizione non doveva farsi. È stata invece imposta e qualcuno ha guadagnato denaro sonante».
Vuole riassumere perché il Consiglio di Stato le ha dato ragione? «Vi è una valanga di illegalità. Basti sapere che Giuseppe Lo Porto, condannato negli USA a due ergastoli – nonostante la “carenza di prove”, rilevata dai giudici olandesi – per un delitto che in Italia sarebbe prescritto, è stato pure gravato della violazione delle norme sulla libertà su cauzione, quando fuggì in Italia. Tale imputazione però non c’era nella richiesta di estradizione. Questo è sufficiente a ottenere l’annullamento dell’estradizione di Giuseppe Lo Porto negli Usa».
La signora Bellini si commuove riferendo la reazione dello zio alla notizia:«Ha pianto con me. Si è spalancato un portone, mi ha detto. È stata la notizia più bella del mondo per lui. Spero che non ci voglia tanto per farlo uscire e che non ci siano altri ostacoli soprattutto da parte degli USA, dopo tanto soffrire. Senza la sua forza di volontà non saremmo andati così avanti. Pino Lo Porto è un vero guerriero».
Roberto Taliero, console d’Italia a Miami, segue la vicenda di Lo Porto da tempo. Di certo ha riferito all’ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio, il quale ha informato la Farnesina e il suo ministro, Enzo Moavero Milanesi.
Dopo la sentenza del Consiglio di Stato, tocca alle autorità diplomatiche italiane recuperare la decenza smarrita da un avido funzionario del ministero della Giustizia, a maggio del 2006, tredici anni fa, con uno sgangherato decreto di estradizione, per fare arrestare sette anni dopo il cittadino italiano Pino Lo Porto, che oggi ha 87 anni.
«Stefano Cucchi è morto ma Giuseppe Lo Porto è vivo; tocca a tutti noi salvarlo» ribadisce l’avvocato Faraon.