Quanto accade fra Russia e Stati Uniti, fra Donald Trump e Vladimir Putin, mette in gioco il nostro futuro prossimo. Data cruciale è il 2020, domani. [pubblicato su La Verità 27 XII 2018]
Putin è un presidente forte e rispettato, entro e fuori la Russia, a dispetto delle sanzioni. Egli ha il controllo dello Stato; può quindi accingersi a una mastodontica serie di riforme, una pianificazione di 35 volumi. La Verità è in grado di anticiparne i contenuti essenziali [qui il 2° dei 35 volumi]
Trump è un presidente il cui seguito nell’elettorato, nelle periferie, nelle fabbriche e nelle famiglie non lo pone al sicuro dall’incessante congiura dei suoi apparati. Eppure nel 2020 potrebbe stravincere nuovamente. Questo toglie il sonno ai Bush, ai Clinton, agli Obama, alle multinazionali finanziarie, alla banda franco prussiana della Ue, in due parole: alle “streghe atlantiche”.
Nel 2020 vi saranno anche le presidenziali in Iran. L’esito, Putin permettendo, potrebbe aiutare oppure ostacolare Trump.
Questi dunque gli elementi essenziali per “leggere” il disimpegno di Trump in Siria e in Afghanistan, centri nevralgici della strategia russa. La Verità può svelare che i nemici di The Donald contrattaccano in queste ore tentando Putin con la mela avvelenata: «Dacci le prove per cacciare Trump, noi ti togliamo le sanzioni, consentendoti di avviare le riforme». Le streghe atlantiche sanno che le riforme di Putin, andando a effetto, segnerebbero la fine delle loro planetarie porcherie. Putin morderà la mela? Le streghe contano sull’aspra difficoltà in agguato. La riforma dello Stato russo imporrebbe infatti a Putin una importante cessione di potere, esponendolo alle normali resistenze inerziali degli apparati, come e ancor più alle insidie degli ostili alle cessioni di potere e alle iniezioni di democrazia, senza dimenticare le spallate delle streghe atlantiche, attraverso la vasta rete di agenti, entro e fuori della Russia. D’altronde le riforme occorrono; la Russia deve rinnovarsi per fronteggiare il futuro incalzante, da oriente come da occidente, dall’Atlantico al Pacifico, dal Mediterraneo al Mar della Cina.
Putin crede nel SIATZ, traslitterazione dal russo per “Centro per Informazioni e Analisi delle situazioni – Sotto il Presidente della Federazione Russa”, struttura super partes di civili, militari, intelligence e oligarchi; 20 gruppi di lavoro, per 20 proposte di riforma.
Un primo ostacolo potrebbe palesarsi da Dmitrij Medvedev (ex presidente della Federazione russa), da Alexei Kudrin (ex ministro delle finanze), da Boris Titov (leader del Partito della Crescita) e da Svjatoslav Fëdorov (chirurgo miliardario, notabile del Partito democratico), coautori di proposte di riforma gattopardesche, in prima fila negli apparati potenzialmente ostili alla riforma.
Putin intende mobilitare tutti i russi, giovani e anziani, i più esperti e quelli alle prime armi; riformare lo Stato col popolo e per il popolo. Il SIATZ riformerà la pubblica amministrazione, l’economia, le architetture di bilancio e investimento, la politica interna ed estera, l’amministrazione del Cremlino, il sistema giudiziario, i servizi segreti, l’istruzione, il collocamento al lavoro e così via. Le riforme partono dal basso, valutate dall’alto, per essere applicate oppure rimandate al laboratorio, a seconda degli esiti sperimentali.
Il programma non è ambizioso, è rivoluzionario nell’ex Urss. Paradosso nel paradosso: per Putin democrazia e sviluppo sono due facce della stessa medaglia russa, gettando le streghe atlantiche nel panico. Dopo tutto il globalismo si regge sul modello cinese: via le frontiere, via gli Stati nazionali, via le protezioni sociali d’ogni tipo, per mettere tutte le risorse – umane, finanziarie e naturali – nelle mani dell’oligarchia. Che vuole questo Putin? Si angosciano le streghe, a bordo della corazzata cinese di Xi Jinping, il quale ha modificato la Costituzione per rimanere presidente a vita. Se lo facesse Putin, le vergini di Soros si straccerebbero le vesti, come sappiamo amano fare. Xi Jinping è un duce imperatore, ma purificato. Anche Bergoglio lo accredita, come testimonia l’accordo segreto del Vaticano con Pechino. Il papa e i capi di stato occidentali dimenticano che cosa sia la spietata dittatura cinese, autolegittimatasi col 15 per cento del PIL mondiale, in crescita ininterrotta da venti anni, grazie alla disumana oligarchia dominate, a schiacciare la classe media e almeno duecento milioni di schiavi, incatenati notte e giorno alla fabbrica, cancellando così due secoli di lotte dei lavoratori. Le streghe atlantiche si cullavano nel patto scellerato con la Cina, fondato sullo schiavismo, ovunque Pechino abbia produzioni, Italia e Africa incluse; sulla violazione dei brevetti; sullo sfruttamento dell’Africa; sulla produzione senza freni ecologici e con poche tasse; infine sulla concorrenza sleale. Così le produzioni migrano nella Cina schiavista, togliendo lavoro agli operai occidentali, creando masse incontrollabili di denaro nero, per le altrettanto incontrollabili corrotte streghe atlantiche. Si cullavano, ma Trump ha spaccato il tavolo, andando contro la Cina. Putin in conferenza stampa ha evocato un pericolo nucleare. Tutti a dare la colpa a Trump, dimenticando che, certo, se Trump cadesse, Putin avrebbe contro anche gli USA, oltre alle streghe atlantiche. Per ora invece, sguarnendo Siria e Afghanistan, Trump confessa un’alleanza di fatto con Putin, indigesta a Pechino e ai suoi caudatari. Per Putin e Trump, da tempo la Cina è il nemico, contro il quale fare fronte, se non accetterà le regole che le democrazie europee neglettono da tempo, genuflettendosi al globalismo schiavista. Al contrario, la Russia di Putin quelle regole vuole riscoprire e applicare, come sta facendo Trump anche coi dazi. Le riforme e la sopravvivenza di Trump e di Putin, di ambedue, sono quindi il futuro nostro e della pace, a dispetto delle streghe. © www.pierolaporta.it
Pubblicato il 27 XII sul quotidiano La Verità, diretto da Maurizio Belpietro
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Grazie
analisi interessantissima (as usual). Due miei contributi di pensiero: la Cina è indirizzata verso il predominio mondiale in economia e quindi in politica e nulla potrà fermarla; questa convinzione scaturisce dal fatto che i cinesi, popolo laborioso ed intelligente, sono da millenni abituati ad essere sottomessi all’autorità, imperatori, Mao o Xi che siano; lavorano per poco al mese come e meglio degli occidentali, non scioperano (anche perchè se scioperi in aziende tutte o in parte dello sei dichiarato “nemico del popolo” con le conseguenze del caso). Stato. Quindi la globalizzazione, che non si può arrestare, è tutta a favore della crescita della Cina. Il “competitor” degli USA, quindi, è uno e uno solo; Soltanto una grande intesa tra Stati Uniti e Russia potrebbe competere con Pechino. Secondo: le “streghe” atlantiche non hanno alcuna possibilità di interferire nella politica di Trump; sono come il moscone con l’elefantessa…..
Grazie, davvero.
A mio avviso la Cina, dovendo mantenere un modello interno che spacca la società orizzontalmente, non potrà uscire da un regime autoritario, brutale oggi e sempre più brutale in futuro. I caudatari occidentali di Pechino devono conseguentemente negare il diritto di esistere agli Stati nazionali affinché il modello cinese si legittimi in ogni tavolo internazionale. La frattura prestabilita degli Stati nazionali implica necessariamente la loro debolezza strutturale a fronte delle crisi, cioè “quando il vecchio stenta a morire e il nuovo fatica a nascere (Gramsci)”. Questo comporta profonde contraddizioni, per cui l’UE, per esempio, deve negare gli Stati nazionali ma, se vuole convivere con la Cina e sopravvivere nonostante essa, deve mantenere delle aree di nazionalismo-guida, ovvero Stati bandiera, come la Francia e la Germania. Questo è stato compreso dalla Gran Bretagna, causando la Brexit. Il caos, in una parola, stanno creando un caos, ben presto governabile solo attraverso gli scoppi di violenza. La UE e le cerchie clintoniane ci portano verso la guerra, rapidamente.
Caro Piero, ho apprezzato moltissimo la tua lucidissima analisi! E’ certo: stante l’attuale scenario economico e politico mondiale, le indicazioni per l’azione di politica estera del nostro Paese non possono essere che quelle indicate nella conclusione del tuo articolo.
In proposito, mi piacerebbe conoscere il tuo parere su come potrebbero influire, o non rilevare affatto, due questioni nell’ambito dello scenario da te descritto.
La prima è che i vertici cinesi hanno dichiarato di recente che intendono andare avanti col dialogo con gli USA già all’inizio del 2019. Come è noto, i cinesi sono commercianti nati e, in questo momento, una distensione della guerra commerciale farebbe bene all’economia del Dragone e – in fondo – a tutta l’economia mondiale.
La seconda questione vede i curdi chiamare Assad in aiuto contro i turchi e tutti sanno che Erdogan ha sempre giocato su due tavoli: sia su quello americano che su quello russo. Come affronteranno la faccenda Trump e Putin?
Prima questione. I cinesi confermano l’attendibilità di un proverbio statunitense, credo texano ma non ci giuro: “Tiralo per le palle, ti seguirà con la mente e col cuore”.
Seconda questione. Non si fa una mossa come quella di Trump senza coordinarsi con gli alleati, i curdi in questo caso, avendo preso accordi con Assad su che cosa fare, coi curdi appunto, dopo la ritirata statunitense. Assad risponderà positivamente e il futuro di Erdogan è fosco.