L’IVA, Imposta sul Valore Aggiunto, permette di sottrarre le imposte pagate sugli acquisti dalle imposte incassate sulle vendite.
Oggi l’IVA…sione è uno sport praticato in Italia e soprattutto negli Stati canaglia sedicenti frugali. A chi giova?
Prima che fosse introdotta, in Europa ogni fattura veniva gravata da una tassa non detraibile, cioè a costo, da versare allo Stato. In Italia si chiamava IGE, Imposta Generale sulle Entrate.
L’inventore dell’IVA, nel 1953, fu Maurice Fauré, alto funzionario del Ministero delle Finanze francese, brillante professore all’ENA, Ecole Nationale d’Amministration.
Negli anni ’50 la Francia, investendo nell’industria per prepararsi al previsto boom dei consumi, era anche avanguardia tecnologica in Europa.
Ricordiamo alcuni brillanti della produzione francese degli anni ’50. La lussuosa, tecnologicamente sofisticata e innovativa Citroen DS, la Déesse, regina delle automobili. Sull’altro estremo, la popolarissima Citroen 2CV, due cavalli fiscali, economicissima, utile a massificare l’uso dell’auto. L’avanzatissimo bireattore Caravelle per il trasporto aereo. Il caccia-bombardiere Mirage che dava la paga a russi e americani. In quegli anni la Francia si fece la sua bomba atomica e la prima centrale a energia nucleare per uso civile; ammodernò la propria rete ferroviaria e le carrozze. Le imprese agro-alimentari, dell’abbigliamento, turistiche ebbero tutte un forte impulso.
Gli imprenditori francesi non volevano tuttavia pagare tasse su tali imponenti investimenti. Fu così che Fauré inventò l’IVA, per permettere di sottrarre dalle imposte sulle vendite le imposte sugli acquisti. L’IVA divenne operativa in Francia fin dal 1954.
L’IVA piacque a più di un centinaio di governi nel mondo. Nel 1968 la Comunità Europea l’adottò nei trattati come proprio sistema di tassazione sui consumi. In Italia arrivò nel 1973, due anni dopo la fine della parità dollaro-oro, pochi mesi prima che il prezzo del petrolio esplodesse, ad alimentare ancor più l’inflazione.
Gli svizzeri, che di soldi se ne intendono, la bocciarono 3 volte nei referendum. Si arresero solo nel 1993. Ancor oggi tuttavia l’aliquota massima elvetica è ferma al 7,7%. Non basta. Fino a 100.000 franchi (circa 90.000 euro) non c’è obbligo d’applicare il sistema, si mettono in uscita gli acquisti IVA inclusa; a loro volta, le vendite al lordo IVA vanno nell’attivo, senso pratico elvetico: è una bella sforbiciata al numero di aziende da controllare; è un incentivo a fatturare poiché senza fattura non si incasserebbe l’IVA attiva.
Gli Stati Uniti non hanno adottato l’IVA ma hanno la Sale Tax o Tassa sul Venduto che si applica solo sulle vendite all’utilizzatore o consumatore finale.
C’è da domandarsi per quale demenza o quale follia milioni di imprese personali, piccole e medie ogni trimestre, le grandi mensilmente, devono impegnare consulenti amministrativi, contabili, sofisticati e costosi programmi digitali per calcolare quanta IVA avrebbero incassato e quanta pagato per versare la differenza allo Stato con altrettanto lavoro/costo bancario e per l’amministrazione finanziaria statale, ben sapendo quando la sommatoria sarà a risultato zero o negativo. Nelle casse statali entrano infatti solo un ammontare pari o inferiore al ricarico IVA indicato nello scontrino dell’acquirente finale, come negli USA con la Sale Tax, anzi meno, poiché la pipe line del Valore Aggiunto è piena di buchi da cui fuoriescono soldi a fiotti.
Si ipotizzi un esempio con IVA al 20%. Una fabbrica deve acquistare materia prima per 10 euro più 2 di IVA. Vende il prodotto finito al grossista per 20 euro più 4 di IVA ma ne versa alla Stato solo 2. Il grossista rivende al dettagliante a 30 euro più 6 di IVA ma ne versa allo stato solo 2. Il dettagliante vende al consumatore finale a 60 euro più 12 di IVA ma ne verserà allo stato solo 6, risultato della sommatoria 2+2+6=10, molto più semplice applicare il 20% solo al prezzo al pubblico, una sola azienda da controllare invece di 3. In realtà sono molte di più poiché a formare l’IVA pagata concorrono fornitori indirettamente a carico del prodotto, quali i vari servizi, solo per fare un esempio.
Con un solo versamento/incasso per rivenditore e da questi allo Stato (se elettronico, sarebbe automatizzato col passaggio in cassa), che riceverebbe 12 euro invece di 10.
Chi fa i buchi lungo la pipeline IVA? Chi ha interesse a farli; ilioni di imprenditori che da datori fiscali sono stati trasformati in esattori di se stessi, una platea sterminata incontrollata ed incontrollabile. Come se, per lavorare ad ostetricia, si dovesse essere maniaci sessuali: è infatti interesse delle aziende gonfiare con artifici l’IVA pagata e ridurre quella incassata.
L’IVA promuove e facilita l’evasione. Stupidità? Essa non spiega tutto. Forse è più remunerativo avere imprenditori ricattabili e una massa di denaro nero a finanziare interessi opachi. Il sistema IVA permette alle aziende di accumulare denaro nero rispettando la legalità formale, cioè su vendite regolarmente fatturate. I trucchi sono molti sia nel mercato interno che nell’import-export.
Il più semplice è quello delle società dette “cartiere” che vengono aperte e chiuse in continuazione emettendo fatture per servizi inesistenti. Chiudono dopo un anno o due, non versano l’IVA solo teoricamente incassata poiché l’hanno lasciata all’azienda cliente. Quest’ultima sottraendo l’IVA solo teoricamente pagata da quella incassata, si trova tale importo in nero. Un trucco diffusissimo facile da scoprire solo se si potessero fare milioni di controlli; comunque difficile da provare e sanzionare.
Un altro espediente è l’inter-fatturazione di merci e servizi sia veri che inesistenti tra società collegate da una medesima proprietà. Se si possiede una concessionaria d’auto, si vende un’auto ad una propria società. Questa la rivende immediatamente ad un terzo, come “km. 0 e IVA pagata”; con un piccolo sconto si crea un attivo IVA.
La vera pacchia è nell’export-import, europeo ed extra europeo. Le esportazioni nella UE sono fatturate senza IVA. Le stesse merci, vendute all’interno dello Stato importatore, sono assoggettate a IVA. Le importazioni extra-europee pagano infine l’IVA al passaggio in dogana.
Una società di comodo in uno dei paradisi fiscali europei (Irlanda, Paesi Bassi, Benelux….) consente di far apparire “esportati” dei prodotti in realtà venduti in Italia. Un prosciuttificio italiano acquista merci gravate da IVA. Una società dello stesso prosciuttificio, operante però in Olanda, li fattura al cliente in Italia. L’IVA pagata diventa un attivo mentre non ci sarà l’IVA passiva della vendita in Italia. La società di comodo olandese (di fatto un indirizzo, un telefono ed un computer) agisce come esclusivista. Questo consente, oltre all’attivo IVA, di spostare utili in Olanda sottraendoli all’Italia.
Un secondo esempio. Una società olandese produce auto in Italia, con costi soggetti a IVA. Si fattura come export a codesta società olandese; questa, a sua volta, fattura ai concessionari italiani. Lo Stato italiano rimborserà all’Olanda l’IVA pagata in Italia.
Irlanda, Paesi Bassi, Austria, Benelux… hanno, in proporzione alla popolazione, livelli stratosferici di import-export, a somma zero. Se tutte le merci importate o esportate da tali paesi canaglia vi transitassero davvero per qualche ora, non avrebbero un metro quadro libero.
Spostiamo lo sguardo sull’import extra europeo. Gli olandesi sono i massimi esportatori di pomodori e peperoni, portandoli nei nostri supermercati a prezzi competitivi, rispetto alla nostra produzione e a quella spagnola, perfino in piena estate. Pomodori nati e cresciuti grazie alla iper tecnologica agricoltura olandese? Davvero? Prodotti cinesi, importati dalle iper tecnologiche aziende agricole olandesi e spacciati come olandesi.
IVA sulle importazioni dalla Cina? Codeste aziende agricole olandesi vendono anche sul mercato olandese. Pertanto l’IVA pagata sull’import extra europeo possono sottrarla all’IVA incassata dalle vendite nella piccola Olanda, generando un attivo che riduce ulteriormente il costo del prodotto.
Chiunque in Olanda può importare da paesi extra europei. Tale importazione, pagando l’IVA allo Stato olandese, si trasforma in “made in Holland”. Da lì la mercanzia è inviata al mercato finale europeo senza IVA. Il consumatore italiano, tedesco o francese pagherà l’IVA ma gli Stati avranno perso quella iniziale a fondo perduto incamerata dallo Stato olandese, paese canaglia.
Se poi il nostro importatore trovasse una cordiale intesa con l’Olanda, potrà apparire come operatore economico olandese e recuperare parzialmente l’IVA a fondo perduto.
Giochetti del genere si potrebbero fare anche fuori dall’Olanda ma in Olanda sono previsti dall’organizzazione statale.
La soluzione? Fatturare senza IVA; applicare l’IVA solo alla vendita al consumatore finale, come negli USA. Risultato: meno aziende da controllare, meno inutile PA, meno evasione. Per l’import extra europeo occorre includere l’IVA nei dazi che già ora finanziano la Commissione Europea, il che farà risparmiare denaro a tutti gli Stati che finanziano l’inutile baraccone di Bruxelles.
Lo Stato italiano obbliga i fornitori degli Enti Pubblici al “reverse charge” cioè non paga l’IVA al fornitore come fanno tutti i privati, ma dice che se la pagherà da solo. E’ la smodata passione dei buroragionieri per i giroconti: quest’IVA reverse charge la segnano in entrata e in uscita gonfiando il bilanci statali. A che scopo?