Un vecchio contadino impugnò la roncola, due autunni fa, ai margini d’un bosco nel cuore del Meridione.
Il vecchio lasciò le ultime macchie scavalcando la maciara col filo spinato già tagliato dai bovari. La cesta dei funghi era piena. Come tanti nella sua condizione, egli sbarca il lunario con fragoline, funghi e asparagi, cercati nel bosco e mercanteggiati su una bancarella improvvisata di là della piazza, utile a raggranellare qualche euro, scambiare le chiacchiere che ti riempiono la mattinata e prendere i due soldi per riempire la pancia, attenuando la falcidia della pensione sociale, erosagli da un porco.
Usciva dal bosco, il vecchio, il sole in faccia; i due scherani ecologici attendevano all’inizio del sentiero in discesa, verso il paese. Aspettavano. Si sapeva che lì sovente aspettavano.
«Compa’, pesiamo questi funghi!» Compare a chi? Ruggì il cuore del vecchio mentre la dignità dei suoi ottanta anni urlava dentro e s’aggiungeva al voltastomaco inflittogli dalla pessima acqua di colonia aspersa sulle guance gaglioffe.
Pesarono.
«Compare, qua ci sta un chilo in più!» Il vecchio li guardò senza vederli. Non gli cavarono una parola mentre raccoglievano le scarse grammatiche su un verbale col quale la potestà dello Stato, altrimenti in fuga disonorevole e ininterrotta dall’Ottosettembre, lì s’ergeva per infliggere a Matteo, un vecchio ottantenne, una multa pari a due volte la pensione erosagli da un porco.
Matteo attese che la cesta gli fosse restituita. Quelli ridacchiarono, la vuotarono e schiacciarono i funghi davanti ai suoi occhi, rossi sempre più rossi; i funghi schiacciarono sotto gli scarponi. Danzavano, gli scherani ecologici, con loro lo Stato danzava e ridacchiava, volgare, osceno assassino, negli scarponi degli scherani ecologici.
Matteo tornò a casa. Energie dimenticate tuonarono nelle gambe e nelle mani e nel petto. Impugnò la roncola ch’era appesa sul camino; non aveva neppure un filo di ruggine; seppure ve ne fosse stata, presto sarebbe sparita.
Qualcosa nel silenzio di Matteo, nello sguardo, nel determinarsi della mano attirò l’attenzione dei due figli: «Papà, che devi fare con la roncola? Non è tempo di potare!».
Occorsero molte insistenze perchè confidasse che cos’era accaduto e come volesse rimediare, una volta per tutte. Lo dissuasero, con molta fatica, molta e amorevole, tenendolo d’occhio fino a sera.
Prima o poi ci sarà un Matteo senza figli, oppure un Matteo i cui figli arriveranno troppo tardi. Nessuno può escludere infine che vi sarà un Matteo i cui figli lo seguiranno, anch’essi la roncola in mano, senza chiedergli spiegazioni, quando ne avranno avute già abbastanza.
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Questo ci hà due figli: nessuno che gli abbia mai detto “papà, guarda che non si può andare nel bosco a raccogliere tutto quello che si vuole”?
Ma cosa si vuole, che presumento torti reali o immaginari ognuno si faccia giustizia da solo?
Che poi certi atteggiamenti siano arroganti e al limite del sopruso, o anche fuori limite….
ma mi faccia il piacere…
..sono ormai troppi anni,già prima del porco.che penso alla “roncola”,ed è una sconfitta per per me come per qualunque persona razionale.Giorni fa parlando con cliente francese ci siamo ritrovati a parlare del 1789..mala tempora c..
molto bello. Solo che fa incazzare e sentire impotenti. Accidenti, quando sarà possibile…….? Ecc. ecc. Chiunque arrivi a “portarli via”, sarà sempre il benvenuto!
Osserviamo e testimoniamo.
impugna la roncola