Questo articolo riguarda quanti amano e rispettano la Chiesa, solo essi.
Il matrimonio omosessuale risveglia in molte porzioni del mondo cattolico un’inusuale ansia di opposizione, marciando e ripercorrendo gli itinerari del movimentismo politico, ostentando le medesime bovine discipline di massa.
Tale zelo marciante parrebbe distinto da quello politico per una certa impronta pacifica, peraltro inattendibile per i tanti e troppi cattolici aggiogati a politiche più o meno violente.
Né la legge sul divorzio né quella sull’aborto mobilitarono la piazza cattolica, come accade oggi per il matrimonio omosessuale. Le raccolte di firme per i flop referendari non possono essere neppure lontanamente comparate agli odierni cortei e alle lacrimevoli geremiadi per la legge anti omofobia o per la legalizzazione del matrimonio omosessuale, incoraggiati persino da salotti dove la santa sodomia è di casa.
Se i cortei fossero processioni, con un sacerdote in testa, recante una Croce trionfante e dietro i fedeli a recitare il S. Rosario e rispondere alle Litanie, invece di blaterare slogan vieti, mi sentirei rassicurato, poiché “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”: un’iniziativa cristiana vera, una preghiera a vantaggio di tutti, anche dei malvagi, i cui effetti mistici, se non abbiamo la Fede, possiamo anche negarli, senza tuttavia nasconderci gli esiti storici del Cristianesimo, un lievito unificante di civiltà proprio attraverso tale semplice cammino.
Civiltà in declino tuttavia, da quando alla preghiera di ciascun uomo, unita a quella d’altri uomini, per alzarla a più mani verso la misericirdia di Dio, si preferisce l’idolatria volgare e sudaticcia della massa, marciando per marcire nelle paure che ci portiamo dentro, illusi d’esorcizzarle con slogan corali, firme in colonna, tam tam nel web; idiozie nebbiose che non disdegnano contiguità sataniche se ci fanno dimenticare che Gesù Cristo ci ordinò: “Convertitevi”, atto di dignità d’ogni singolo uomo, uno per uno, non della massa.
Prima e dopo non ordinò “marciate!” né “raccogliete firme!”, tanto meno impose “fate leggi secondo il Vangelo”. E’ appena il caso di ricordare che le leggi non sono strumento di salvezza, mentre lo è la Sua Legge. Egli ci trasmise una chiarissima distinzione fra il tributo da conferire a Cesare e quello di tutt’altra specie da deporre ai piedi di Dio.
I sinedri episcopali non di meno incoraggiano queste “masse aizzate”, come le definirebbe quel canchero di Elias Canetti.
Da quando il clero è caudatario dell’impero attraverso la congrua, l’idea d’un nuovo segno di contraddizione fra Chiesa e impero dà l’orticaria ai beneficiati, specie quelli più beneficiati dei rimanenti e consapevoli che ben presto dovranno scegliere fra tavola e altare. L’impero, al quale sono genuflessi esige di sovrapporsi interamente alla Chiesa, schiacciarla e asservirla, mediante la compplicità attiva di larga parte dei chierici, finché non saranno inutili anche a se stessi e infine anche agli attuali padroni, i quali ben presto, non sapendo più che farne, li metteranno a badare ai porci, privandoli pure dei privilegi per cui fecero cantare ripetutamente il gallo.
E’ inutile anzi dannoso chiedere nuove leggi per invertire questa rotta; piuttosto è necessario, come innumerevoli altre volte nella storia, sussurrare sorridendo un pacato “non possumus” e negare ogni legittimazione ai nemici della Chiesa, scomunicare chi si fa strumento attivo di leggi inique; altro che marciare, firmare e quaqqaraqquare.
Eppure tale scelta sarebbe stata indispensabile sin dai tempi dell’aborto e prima ancora del divorzio, a meno che non si voglia asserire che quelle due leggi anticristiane siano meno gravi della breccia di Porta Pia, cui seguì un “non possumus” che tenne banco per quasi mezzo secolo e infine, prezzolando, fu cancellato dai concordati.
A ben vedere il matrimonio omosessuale è un fatto grave, è tuttavia molto meno grave del divorzio, dell’aborto e della fecondazione adulterina; in fin dei conti esso non è che una gaia commedia, più o meno solennizzata in un luogo pubblico, certificante uno stato di fatto per renderlo di dominio pubblico più di quanto pubblico già non sia prima di celebrarlo. Diciamocelo, è più o meno come il matrimonio civile fra eterosessuali.
Anzi, per certi aspetti, il matrimonio omosessuale è un fatto positivo. Per esempio, inietta contrasti insanabili nell’eretica chiesa d’Inghilterra, alle viste d’essere costretta a celebrare matrimoni omosessuali, mettendo l’uno contro l’altra il clero della Church of England e la Regina Elisabetta, Supreme Governor della sua traballante church.
Dopo aver aborrito le ripetute stucchevoli commedie in Westminster abbey, dopo aver aver intensamente desiderato bastonare le telecroniste sdilinquenti per il royal baby, oggi finalmente esulto osservando inglesi contro inglesi per motivi futili e abbietti. Le falange marcianti invece paventano chissà quali catastrofi per tale provvidenziale contrasto; una ragione di più per distinguere fra imbecilli superficiali e quelli profondi.
Poi si domandano perché un don Sciortino passi per accreditato opinion maker cattolico; dopo tutto egli marcerebbe o farebbe marciare con zelo, incurante che la Chiesa rischia di marcire. Rischia ma non marcirà: “Non Praevalebunt”, non dimentichiamolo, in attesa dei prossimi sviluppi.
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L’articolo “Marcire marciando” pone degli interrogativi seri che dovrebbero attraversare le coscenze di tutti i cristiani che si soffermino a riflettere sulla sofferenza che è dietro a scelte quali il divorzio e l’aborto e a condizioni quale quella di non poter esprimere pienamente la propria sessualità. Nel farlo, peró, l’autore da prova di quanto si possa essere distanti, nel linguaggio e nello spirito, dal messaggio cristiano e dal’istituzione che lo rappresenta (la Chiesa) di cui vorrebbe ergersi a paladino. Gesù non ci ha insegnato a marcire nel rancore ma marciare nella caritá cristiana.
La Chiesa non ha bisogno di un paladino, specie della mia bassa qualità; come ho scritto, sono convinto che la Chiesa sopravviverà a questa temperie.
Insisto tuttavia: non mi piace che si adoperino le masse aizzate invece di assumersi la responsabilità, ai vari livelli del clero, di delegittimare i poteri delle parti avverse e impartire ammaestramenti che altrimenti nessun altro può dare. E’ a tal punto silenziosa la gerarchia ecclesiastica sulle questioni di dottrina morale cristiana – indulgendo piuttosto nel parteggiare per questa o quella fazione politica – da far apparire le omelie del Santo Padre come voce isolata. In conclusione, gentile amico, la ringrazio per il commento ma devo precisarle che non dò prova proprio di nulla: addito un fatto – la perdita dell’identità culturale cattolica da parte di una quantità di fedeli marcianti – e la prego cortesemente quindi di stare sul fatto, senza congetturare sulle mie intenzioni. Grazie, davvero.