Me ne vado all’estero – deragliò Mauro Moretti – se mi dimezzano la biada. Cesare Romiti, convinto che la saggezza, più che la debolezza mentale, distingua la vecchiaia, sermoneggiò: «È bene rimanga poiché portò in attivo il bilancio di Ferrovie».
La valanga di vaffa riversata dal popolo del web sul deragliante non bastò e non basta, anzi nasconde quanto accadde. Semmai è più eloquente il silenzio dell’altrimenti facondo Niki Vendola, cui sfugge la carenza d’alta velocità ferroviaria patita dalle Puglie, cui sembra sfuggire… a che prezzo?
Riflettiamo. Moretti – 850mila euro all’anno di stipendio, 300mila euro di premio di produzione e fringe benefits – mise in discussione una fetta strategica, cioè irrinunciabile, importantissima del programma di governo di Matteo Renzi, assetato di denaro da recuperare alle casse dello Stato.
Vendola tacque, abbiamo visto, ma è all’opposizione, scusiamolo ma teniamolo d’occhio, come quando gli zingari ci accostano.
L’attacco di Moretti, pesante, pubblico, senza riguardi per il presidente del consiglio, avrebbe dovuto avere un solo esito: la pedata nel sedere auspicata dal popolo del web che avrebbe elargito una standing ovation al Renzi, il quale invece vi rinuncia, lui, così vanesio. Vi par logico?
Renzi si limitò a un tenero: «Lo convincerò». Un osservatore malizioso avrebbe potuto congetturare che fosse in atto un giochino consueto alla politica: parole per i gonzi e giochi sotto al tavolo o sotto le coperte, dipende dal gender, diaciamo così. Forse o forse no; ciascuno creda come vuole, ma due domande restano in aria:«Perché Mauro Moretti (de)ragliò così? Perché proprio lui e non altri?»
Potrebbero rispondere per lui 270miliardi di commesse che FS getta sul mercato. Così forse capiremmo perché Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, s’è astenuto dal (de)ragliare a sua volta, quantunque in partenza per la Svizzera (ma è sicuro che lo vogliano?).
Comunque vada, non si spiega l’inopinata remissività del Cola di Renzi.
Un’altra risposta risiederebbe nell’enorme liquidità transitante in FS grazie ai treni ad alta velocità e al trasporto pubblico locale su binario, finanziato dalle regioni a costi da capogiro (un chilometro su ferro costa tre volte quello su gomma, con buona pace degli ecologisti fessi); un diluvio di denaro, controllabile solo da chi ha la cassa. Qualità, quest’ultima, che da sempre attira le simpatie ovvero le preoccupazioni della politica, a seconda che ne tragga o meno vantaggio.
Questa visione ci parve più attendibile a lume di naso. D’altro canto, Cesare Romiti soccorse il sodale, esponente di primo piano della cerchia di sedicenti manager, equilibristi fra bilanci apparentemente in ordine di mega aziende malate e ampie collaborazioni coi partiti, molto, tanto ampie e convenienti per tutti, ma non per il contribuente.
Comunque vada, non si spiega l’inopinata remissività del Renzi.
Moretti parve un innamorato deluso, non di meno legato mani e piedi a chi gli fece un cornetto. Se egli infatti avesse avuto davvero i numeri per guadagnare di più altrove, è difficile, davvero arduo, credere che avrebbe indugiato un secondo oltre. Aggiunse pure che avrebbe lavorato gratis ma non avrebbe potuto ammettere che i suoi dirigenti fossero penalizzati. Renzi non ha visto bluff, o non ha voluto, svelandosi remissivo una volta di più, accreditando nei fatti un improbabile eroico spirito di sacrificio all’ex sindacalista di CGIL, assurto all’empireo di Ferrovie dopo la fine del povero Lorenzo Necci.
Lo insediò e lo confermò un accordo transitante da Gianni Letta dopo aver lambito autorevoli scrivanie del PD, sospintovi dai sussurri ai potenti. Legami fraterni, tenaci e collaudati.
Cosicché il lamentevole: «Altrimenti me ne vado!» ricordò la doglianza del marito, compiacente con la consorte, finché egli si giovò del favore dei corteggiatori. Rivelatisi questi inopinatamente ingrati, il bravo consorte sentì l’onore oltraggiato, confidando tuttavia che la fedifraga fosse consapevole che il suo e il di lei vantaggio viaggiano di pari passo. Da questo punto di vista, speriamo un po’ esagerato, la risposta del Renzi :«Lo convincerò» assume una preoccupante attendibilità seduttiva, inducendo colorite congetture.
Suvvia, lo stile è l’uomo. Il Renzi irruente, rapido, decisionista e, diciamolo, autoritario e irridente persino coi padri coscritti in laticlavio, si guardò bene dal berciare e cacciare il dirigente iperpagato che ardì contrastare il suo programma di governo. Dopo tutto, trattò come una serva l’incolpevole Enrico Letta, non dimentichiamolo. Col Moretti, invece, il Renzi fa mostra d’un tenero proposito da fidanzatina angosciata.
«Altrimenti me ne vado» – e non se ne va – diagnosi infausta coi barbari già in casa; la politica gigioneggia, incurante dei pendolari trattati come bestie, ovunque Ferrovie dello Stato abbia mano libera nel trasporto pubblico locale.
Se davvero Mauro Moretti volesse fare il dirigente altrove, possiamo mettere una buona parola per il porto di Rotterdam, i cui successi non gli sono estranei.
Un container necessita di 14 giorni per coprire 1200 chilometri da Rotterdam a Milano. Dal porto di Taranto a Milano, 960 chilometri, ne impiega 26, perché non c’è un treno porta container del Moretti manager iperpagato. Quando si dice amore per l’Italia e per il Meridione.
Andassero tutti a Rotterdam – col treno, con la nave o con l’aereo, biglietto gratis, si capisce – e sarebbe meglio per tutti.
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