Dovrebbero adottarlo nelle scuole settentrionali, “Il Vizio dell’Elefante” di Paolo Isotta. Farebbe bene tuttavia anche agli scolari meridionali e ai loro insegnanti, oramai in grandissima parte inconsapevoli, diciamo così, di quale fosse la cultura italiana, segnatamente quella napoletana, lasciataci dai Borboni, invisa ovviamente ai Piemontesi ma sopravvissuta loro, infine mortalmente colpita dal morbo tosco romagnolo lombardo, quella crassa ignoranza, madre dei rimanenti mali italiani.
Da decenni non mi capitava di sacrificare il sonno per leggere un libro; temevo sarebbe stato lo stesso con questo, presumendolo analogo ai tanti volumi autobiografici di questo o quell’altro sessantenne o ultra. Sono in genere giornalisti, in lotta con la senescenza fin dalla scuola elementare, consapevoli di lasciare poco o nulla, ansiosi di rimediare scrivendosi addosso, illusi che il mondo non aspetti altro.
Pur stimando molto l’autore io trassi dallo scaffale “Il Vizio dell’Elefante” per sincerarmi del contenuto prima di recarmi alla cassa.
La prima scorsa mi rassicurò: il libro fu rifiutato da ben sei case editrici prima d’approdare a Marsilio. Quanti frequentano le librerie sanno delle tonnellate d’autentica spazzatura offerte a lettori in gran parte meritevoli di tali truffe editoriali. Se questo libro incontrò tanta ostilità fra i venerati maestri e direttori editoriali, pensai, contiene sicuramente qualcosa di buono.
Non sbagliai.
Paolo Isotta è l’ottimo critico musicale del Corriere della Sera; in precedenza lo fu per Il Giornale di Montanelli. Chi lo conosce in questa veste non si sorprenderà che la musica sia al centro del libro e intorno a essa si sviluppi il racconto, solo apparentemente autobiografico e piuttosto focalizzato sul declinare della cultura italiana, infoibata con quella napoletana e con la borghesia colta meridionale, a vantaggio di quella mercantile settentrionale, politicizzata, miope e opportunista. Isotta ci offre una storia d’Italia che inizia con l’infanzia dell’autore e arriva ai giorni correnti, attraverso la cronaca della cultura, densa di aneddotica superlativa per curiosità vivace e profonda, sovente toccante, non di rado da far ridere a crepapelle con le lacrime, come raramente accade.
È Napoli, nel racconto di Isotta, Napoli vera, niente affatto paragonabile alle napoletanità taroccate e viete degli Arbore o dei De Crescenzo, ancora più lontana dagli stereotipi della cronaca criminale o degli sceneggiati televisivi. Da Napoli Isotta mostra un’Italia che non è più ma potrebbe rivivere se una rivoluzione culturale cacciasse i mandarini di regime. Leggetelo e fatelo leggere ai ragazzi. Sarete grati a Isotta, moltissimo.
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