L’amministrazione Trump ha un’altra star oltre al suo leader? Domanda a premessa d’elaborare gli scenari della politica statunitense a medio/breve termine.
Se Trump è il sole, o almeno tale mostra di considerarsi, comprendere quali siano le stelle luminose della sua costellazione, è utile a capire dove orbiteranno. Fino al momento dell’insediamento ufficiale, la stella più brillante dell’entourage di Trump era, senza dubbio, Jared Kushner, marito dell’adorata figlia Ivanka (considerata la vera first lady in carica) e rampollo di una facoltosa famiglia di ebrei ortodossi. Kushner è stato uno degli artefici della cavalcata vincente del neopresidente, curandone l’immagine e il messaggio sui social media e riuscì a ottenere l’endorsement di esponenti della Silicon Valley (in stragrande maggioranza avversi al tycoon newyorkese), come il carismatico Peter Thiel, inventore di Paypal. Il suo compito attuale dovrebbe essere il ristabilimento di buoni rapporti con Israele (rapporti deterioratisi seriamente negli ultimi otto anni a causa dell’epidermica antipatia tra Obama e Netanyahu) e la definitiva risoluzione della questione palestinese. Quantunque la vulgata corrente (fomentata, ultimamente, dal presidente afro-americano) consideri la situazione nei Territori il principale ostacolo alla creazione dello Stato di Palestina e alla convivenza pacifica con Israele, gli studiosi del mondo islamico, come Bernard Lewis, ci hanno insegnato che il problema sta altrove; infatti, lo Stato d’Israele non ha diritto di esistere in quanto il suo territorio fa parte, per l’eternità, della Umma musulmana. Kushner potrebbe provare a giocare di sponda con l’Arabia saudita (come tentarono di fare i neocon durante la presidenza Bush jr) proponendo il seguente deal: sostegno americano alle mire egemoniche saudite sulla regione mediorientale (specie in chiave anti-iraniana) in cambio di un riconoscimento ufficiale di Israele. Da un punto di vista geografico, i musulmani considerano la Palestina come una mera appendice meridionale della Siria; ecco quindi che si entra nel ginepraio siriano. Facciamo una premessa: Trump, come il suo predecessore, non è interessato al Medio Oriente e nemmeno all’Europa, dato che li considera scenari geopolitici di secondaria importanza rispetto alla sfida strategica fondamentale che si gioca nell’area del Pacifico, naturalmente in contrapposizione alla Cina. Per queste ragioni, sarebbe propenso, spalleggiato dal suo consigliere per la sicurezza nazionale il generale Mike Flynn, a stringere un’alleanza con Putin in modo che aiuti il regime di Assad a sconfiggere l’Isis e a ristabilire l’ordine nell’area; ciò implicherebbe il riconoscimento di una egemonia russa su quella regione e, di riflesso, una accettazione dello status quo in Crimea con la conseguente sospensione delle sanzioni economiche volute da Obama. In tal modo, l’Europa orientale tornerebbe nella sfera d’influenza, più o meno soft, della Russia. Tale soluzione è strenuamente osteggiata dall’establishment repubblicano, storicamente anti-russo, e legato a interessi politico-economici in Medio Oriente. Alfiere di questa fazione è il generale “Mad dog” Mattis, attuale segretario alla Difesa, convinto che lo zar Putin voglia distruggere la NATO e tutto il sistema di alleanze dell’Occidente. Le ultimissime notizie (si consulti: politico.com) annunciano le dimissioni di Flynn in seguito alla querelle concernente le “conversazioni inappropriate con l’ambasciatore russo sulle sanzioni” (la guerra tra bande è cominciata). Su tutte tale questioni aleggia la figura sulfurea di Steve Bannon, potentissimo chief strategist dell’amministrazione in carica. Bannon è un businessman, creatore di Breibart news, piattaforma web della “alt-right” ovvero un gruppo politico populista di estrema destra fortemente inviso all’establishment del Partito Repubblicano. Su questo “principe delle tenebre” si sta diffondendo una ridda di inquietanti dicerie tra cui, last but not least, quella segnalata dal New York Times concernente l’influenza esercitata sul suo pensiero dal filosofo tradizionalista Julius Evola (curioso che anche Putin, tramite il suo politologo di riferimento Aleksandr Dugin, sia influenzato dalle idee evoliane). Quanto influirà Bannon sulla politica interna di Trump (smantellamento dell’Obamacare, immigrazione, Corte Suprema etc.) e sull’agenda di politica internazionale? Lo vedremo.