Il 5 aprile ricorre il 213esimo della nascita di Vincenzo Gioberti, nella sabauda Torino del 1801. (articolo del 30 marzo 2014, ancora attuale)
Per una curiosa coincidenza questo anniversario si colloca nell’intervallo fra il 16 marzo, anniversario del rapimento di Aldo Moro, e il 13 maggio, anniversario dell’attentato a Giovanni Paolo II. In sessanta giorni ricorrono gli eventi più cruciali per la storia dell’Italia e della politica cattolica. La presenza in questo segmento temporale di Vincenzo Gioberti, altro illustre cattolico – detestato e tradito dalla Curia vaticana del suo tempo – è quanto mai significativo e coerente con la presenza delle altre due grandi personalità, altrettanto detestate in talune stanze del potere, quanto amate dal popolo.
Gioberti oggi è dimenticato. Non rassegnamoci, proprio osservando la maliziosa cura con la quale il 16 marzo fu dichiarato giornata nazionale delle vittime del terrorismo, così tentando di annacquare la peculiare responsabilità dello Stato italiano, della DC, del Pci e del Dipartimento di Stato USA, cercando di circoscrivere Moro in un contesto tutto italiano, mentre fu l’esito d’un rapporto contro natura fra Pci e Dipartimento di Stato, questo su quello, mentre la DC reggeva il moccolo e rimboccava le lenzuola.
Sul medesimo insidioso sentiero è la canonizzazione parallela di S.S. Giovanni Paolo II di venerata memoria e di Giovanni XXIII. Un’equiparazione post mortem per dare un contentino – al pari della berretta cardinalizia al persecutore di Padre PIO – a quei prelati illusi di adattare il Vangelo alle loro carriere e, in taluni casi, pronti a dare “un aiutino alla divina Provvidenza”, come usano dire, per rimuovere fisicamente i pontefici loro sgraditi. La recente vicenda di Benedetto XVI è esattamente in questo fetido alveo.
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Papa Francesco ha tuttavia fatto benissimo sia a concedere la berretta cardinalizia a Capovilla sia ad accettare la canonizzazione parallela di S.S. Giovanni Paolo II e del suo predecessore. L’unità della Chiesa e il cammino del pontificato sono più importanti delle marginalità formali.
Resta il fatto che la Chiesa e l’Italia dovranno fare i conti con la verità su Aldo Moro e su Giovanni Paolo II, cui è bene aggiungere una riflessione su Vincenzo Gioberti.
L’unità vera dell’Italia, quella più autentica, potrebbe essere riscoperta nelle equidistanti tesi giobertiane, tacciate di guelfismo dalla Carboneria sebbene la Curia romana, con livore simmetrico a quello carbonaro, le ponesse tutte all’Indice. Basterebbe questo per rassicurarci.
Il ritorno a Gioberti, a Pio IX e al 1848, celebrando l’Unità d’Italia, purifica il Risorgimento, le stragi di ribelli e sanfedisti meridionali, le guerre coloniali, il fascismo, la resistenza, il golpismo, lo stragismo, il terrorismo, il giustizialismo, cancellando la «continuità» che Giovanni Spadolini tracciò dal Risorgimento alla Repubblica, inconsapevole o incurante che essa fosse artificio politico, prima che storico, che non sanò, anzi acuì le differenze fra Nord e Sud, come i fatti dimostrano.
A quanti vanno domandandosi se non sia il caso di risalire a Giuseppe Mazzini, ricordiamo che, con l’untuoso fallimento di Spadolini, se lo Stato Vaticano non fosse esistito, Obama a Roma non avrebbe visitato neppure il Colosseo, il quale tuttavia non avrebbe la storia che ha, senza il sangue dei martiri cristiani. La civiltà occidentale è vivificata dal sangue dei martiri cristiani, quelli antichi e quelli moderni, centinaia e centinaia di milioni, la cui commemorazione non è costringibile in un solo giorno del calendario e neppure dà luogo a rivendicazioni o vendette. I cattolici guardano avanti e non rimarranno mai, in quanto cattolici, come statue di sale nella storia.
Partire da questa mite fierezza, dai valori di Vincenzo Gioberti, per rivendicare la nostra identità nazionale, potrebbe essere utile e opportuno. D’altro canto le altre vie ci stanno portando verso la guerra civile; riflettiamo dunque, prima che sia tardi.
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Salvemini disse che se si volesse dare l’Italia agli Italiani dovremmo restituire Roma al Papa!
Si, Pio IX e Gioberti ci dicono molto del perché le cose sono andate come sono andate. Ma ce lo dice meglio l’inno degli italiani dove recita : ” . . . Siamo da secoli calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi”.
Non è cambiato nulla! Rassegnamoci a tirare avanti alla meno peggio!
Dare Roma a Bergoglio? Mah…
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