Non passa un Santo Natale senza qualche maestrina che voglia insegnarci come cancellarlo.
Avanzano a petto infuori, assegnando il compito a casa: via il Santo Presepe e soprattutto via il Bambin Gesù, “perché quelli diversamente pensanti potrebbero offendersi”.
Le fräulein della guerra culturale, veloci a spogliarsi dell’educazione ricevuta, come le collaborazioniste davanti agli invasori allupati, sono in qualche modo il punto d’arrivo d’un percorso a-culturale, tante volte osservato negli anni passati fra i troppi meridionali trapiantati a nord, pronti a rinnegare le loro radici, il loro dialetto, i loro costumi, per tentare una mimesi tanto grottesca quanto inutile: una “o” apertissima, una “e” a gola spalancata, un accento che sfugge e, presto o tardi, tutta la fatica spesa in precedenza per dissimularsi tutt’al più procurò un accondiscendente: «Però, non sembri un meridionale!»
[cryout-pullquote align=”left” textalign=”left” width=”33%”]IL PRESEPE
di Salvatore Quasimodo
Natale. Guardo il presepe scolpito
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure in legno ed ecco i vecchi
del villaggio e la stalla che risplende
e l’asinello di colore azzurro.
[/cryout-pullquote]Due memorabili, marito e moglie, allergici alla cultura e non di meno accanitamente impegnati a spolpare i malcapitati nelle lezioni private, l’una dietro l’altra, come raffiche di katiuscia, non appena parlavi di Meridione, tarantolavano e poi l’implacabile litania dell’inefficienza, della disonestà, del pressapochismo dei meridionali. Guai tuttavia ad accennare alla ricevuta fiscale, assente ingiustificata alle lezioni private.
Non immaginavo che quelle fossero bagatelle persino divertenti, mentre s’apprestavano ben altri maestri proprietari, depositari e dispensatori di verità astrali. Sicché, delle moderne bestialità, dovemmo riconoscere che il terrorismo rosso – maligno, servo e sanguinario – con quello nero – stupido, sanguinario del pari e delazionista – osservati sotto la lente dell’egemonia culturale, furono due curve, da destra a sinistra e viceversa, d’un percorso ininterrotto, avviatosi da Quarto con Garibaldi, apparentemente concluso a Teano, per mano d’un re porco e cinico, in realtà prolungato segretamente sino alla fortezza di Fenestrelle e da lì ai cimiteri di guerra dei milioni di povericristi della prima e della seconda guerra mondiale.
Tu maestrina collaborazionista puoi tentare di togliere il Natale a me, ma per quanti sforzi tu possa compiere non potrai toglierlo a mio padre e a mio nonno le cui tremende fatiche, a causa di quel re porco e cinico, senz’altro favorevole alla vostra ostilità al Bambin Gesù, quelle tremende fatiche ebbero consolazione davanti al Santo Presepio, creatura di quel San Francesco del quale voi tentate d’appropriarvi nelle notti del sabba degli imbecilli, invero notti sempre più frequenti e lunghe e fragorose, compartecipate da autorevoli codardi.
Non m’interessa ricordarvi eccitate come giovenche davanti al toro mentre i mussulmani se ne fottevano di “quelli che la pensano diversamente”, in piazza Duomo a Milano. D’altronde ben degni e degne, loro e voi, del nero effeminato (o LGBT?) cardinale sdilinquente dal finestrino, socchiuso e buio come la sua coscienza.
Maestrine collaborazioniste, avevate la pancia in piazza Duomo, come le vostre maitresse a penser, con analoga sconcia disponibilità, peripatetiche fra piazza Venezia e piazzale Loreto, a seconda del prezzo e della convenienza, oscillando fra i vantaggi propri e il patibolo altrui, indecise finché non fu chiaro chi avesse vinto, fra lo stupro del duce e quello del liberatore.
Maestrine collaborazioniste, non di meno indulgete nel sentimentalismo, come i criminali di mezza tacca. Presepe del Santo Natale no, ma poi vi compiacete di “feste del solstizio”, di carri al traino di improbabili renne con un vecchio rincitrullito; ultimamente v’eccitano le salernitane pacchianerie a mazzi di led e mozzarella di bufala, in grotteschi rococò che guarniscono la città come un’entraîneuse o, se esigete un esempio al maschile, col buon gusto del frac a mezzogiorno dei bifolchi il giorno delle nozze in bianco, della figlia incinta di non si sa chi.
È il Santo Natale, lo è anche per voi, per la civiltà che vi sopporta, stupide maestrine collaborazioniste e smutandate. Auguri, e non immaginate né potete comprendere quanto vi siano necessari.
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