Stato Omertoso e Golpista
Questo testo sostituisce le pagine da 191 a 208 del libro “Raffiche di Bugie a Via Fani”, edito nel 2023 da Amazon https://shorturl.at/apuzP alla vigilia del 45° anniversario della strage di via Mario Fani. La sostituzione è necessaria per agevolare la lettura di per sé difficile, specie per chi si accosti per la prima volta agli anagrammi. D’altronde questa parte è da taluni utilizzata per svilire tutto il lavoro. L’autore ha quindi deciso di esporre il testo sui siti internazionali e su Academia.Edu, dove illustri studiosi non hanno finora frapposto alcuna obiezione di rilievo a questo lavoro.
Oggi siamo al 46° anniversario e le istituzioni dello Stato italiano, dal presidente della Repubblica fino all’ultimo agente della Polizia di Stato, passando per la magistratura e per la RAI, per i partiti (DC, PCI, PSI, PRI) devono sapere che il colpo di Stato del 1978 è smascherato. Costoro sappiano:
- Aldo Moro fu bestialmente torturato[1];
- a via Mario Fani c’era esplosivo ad alto potenziale, pronto all’occorrenza per una strage[2].
Il presente lavoro ha quadruplice scopo:
- Spiegare ai profani che cosa sono gli anagrammi e come correttamente si decrittano.
- Spiegare come Aldo Moro inserì gli anagrammi nel suo testo.
- Illustrare al lettore il metodo rigoroso, per decrittare gli anagrammi.
- Sollecitare il signor Presidente della Repubblica a intervenire, in quanto gli anagrammi comunicano e confermano le lordure gravitanti su via Mario Fani e l’alto tradimento commesso da alti ufficiali dei Carabinieri, da vertici politici e da esponenti della stampa.
Gli anagrammi inviatici da Aldo Moro confermano le bestiali torture, stroncando e rimuovendo alla radice la credibilità dello Stato. Tutta la narrazione, tutte le sentenze sono farlocche com’esse furono narrate in coro da giornalisti depistatori, dalle BR e dallo Stato, intossicando le coscienze dei cittadini italiani.
Crolla definitivamente l’innocenza dei partiti al governo e all’opposizione nel 1978, PSI incluso[3], esclusa la Lega Nord, del tutto nuova in questo scenario. È quindi necessario rendere pubblica la decrittazione degli anagrammi di Aldo Moro, a smascherare lo Stato bugiardo, omertoso e golpista. Mentono i delinquenti di Stato, i delinquenti della politica, i delinquenti della stampa.
LA FORZA DEGLI ANAGRAMMI
L’anagramma ha origini antichissime; risale a Licofrone da Calcide, poeta greco, vissuto ad Alessandria d’Egitto, alla corte di Tolomeo Filadelfo, intorno al 280 a.C.: dal nome del suo re, Ptolemaios, ottenne l’anagramma Apò melitos (“di miele”) e da quello della bellissima regina, Arsinoe, Erasion (“violetta di Giunone”).
Esempi di anagrammi non mancano nella Bibbia e abbondano nei classici greci e latini. Dal II secolo d.C. i cabalisti ebrei usavano la temurah (‘cambiamento’) per penetrare i segreti dell’Antico Testamento, cioè l’arte di comporre anagrammi per trarre profezie da nomi di persone.
L’anagramma era nelle corde culturali di Aldo Moro, intellettuale raffinato prima che politico. Anagramma coerenti con intelligenza e memoria prodigiose. Gli anagrammi di Aldo Moro danno tuttavia le convulsioni a tanti. Numerosi pure quelli, privi d’una elementare base scientifica, incapaci di comprendere lo sforzo mentale di Aldo Moro, nonché l’oggettività del risultato. Alcuni di costoro dichiarano gli anagrammi privi di informazioni, un trucco di chi scrive. Grottesco. Purtroppo v’è pure una folta pattuglia di ben preparati, tuttavia ostinatamente negazionisti degli anagrammi. Uno di essi confessò (in qualche misura anche per i rimanenti): «Aldo Moro non poté essere così intelligente!» con pregiudizio parapolitico a confonderlo, con involontaria comicità; ma “In claris non fit interpretatio”.[4] Contro i fatti non valgono gli argomenti: i sei anagrammi sono lì, univocamente definiti. Si daranno i significati, senza tradire il segreto istruttorio[5].
Ulteriori anagrammi decrittabili e finora nascosti sono possibili; nessuna autorità dello Stato si è mai preoccupata di indagare tale possibilità, per 46 anni. Questa è la prima indagine.
IL QUIRINALE ORA SA
Gli incontrovertibili dati di fatto indussero l’autore a inviare una PEC al presidente della Repubblica, col testo del libro del 2023 e del comunicato stampa[1] che dà conto della querela depositata nelle procure competenti. Ecco il testo della lettera al presidente della Repubblica.
«Signor Presidente,
affidando alle Sue altissime responsabilità costituzionali gli esiti della mia inchiesta, nel libro che Le allego in copia, attiro la Sua attenzione su quattro dei numerosi fatti certificati nel libro:
1) L’on. Aldo Moro fu bestialmente torturato; abominio nascosto all’Autorità Giudiziaria e alle Commissioni parlamentari.
2) Il quinto dei sei anagrammi dell’on. Aldo Moro (da me decrittati) addita un ufficiale dei Carabinieri nel luogo dove fu detenuto l’on. Aldo Moro. Non sarebbe difficile identificarlo, se l’AG consultasse gli stati di servizio degli ufficiali dell’Arma nel 1978. (La veridicità degli anagrammi è agevolmente verificabile con un computer).
3) In via Mario Fani vi era un’auto con esplosivo ad alto potenziale, come fu testimoniato dal procuratore capo di Roma, Vanni De Matteo. L’esplosivo è tuttavia scomparso dalle inchieste, sia dell’Autorità Giudiziaria sia delle Commissioni parlamentari.
4) Tale Antonino Arconte, rivendica la sua qualità di agente del Servizio Informazione Difesa e di militare regolarmente arruolato nella Scuola Sottufficiali dell’Esercito. Lei, quando fu Ministro della Difesa, smentì le affermazioni dell’Arconte. Alla luce della gravità e della vastità degli inquinamenti, da 46 anni ruotanti intorno a via Mario Fani, delle due l’una: o l’Arconte depista e deve quindi risponderne davanti all’Autorità Giudiziaria, oppure Lei fu vittima d’un raggiro informativo istituzionale, imponendo quindi di individuare e sanzionare i responsabili.
Su questi fatti e su ulteriori depistaggi ad opera di altissimi funzionari dello Stato e di giornalisti professionisti, ho depositato denuncia querela davanti alle giurisdizioni competenti. Mi pregio allegarLe il peculiare comunicato stampa.
Confido che il Primo Cittadino della Repubblica restituisca dignità alla Legge oltraggiata da 46 anni.»
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Per la prima volta in 46 anni, nell’anniversario di via Mario Fani, il 16 03 2024, il Quirinale non ha speso una sillaba per commemorare.
GLI ANAGRAMMI, LE LORO REGOLE
Chi scrive non fu anagrammista prima di questa avventura; egli tuttavia sentì il dovere di studiare gli anagrammi, seguendone rigorosamente le regole, senza piegare gli esiti a un obiettivo prefissato. D’altronde per 45 anni tanti autorevoli esortarono a “scavare” nelle lettere di Aldo Moro. Nessuno mai scavò, nessuno. Questo studio è immediatamente verificabile con un moderno supercomputer. L’Autore chiese all’autorità giudiziaria tale verifica. Finora non sia ha notizia che sia stata operata.
«ANAGRAMMA È LA “PERMUTAZIONE” DI TUTTE LE VOCALI E DI TUTTE LE CONSONANTI D’UNA PAROLA O D’UNA FRASE, AL FINE DI OTTENERE ALTRA PAROLA O ALTRA FRASE DI SENSO COMPIUTO.»
Questa definizione è internazionalmente accettata dagli anagrammisti[6], per impedire di manipolare le permutazioni gabellando anagrammi in realtà falsi.
La permutazione d’una sequenza A, B, C è l’insieme dei medesimi elementi in ordine differente, come: C, B, A. La permutazione d’una parola se ha un significato definito allora – e solo in tal caso – è un “anagramma”. Per esempio, l’articolo determinativo femminile singolare “LA” ha una sola permutazione: “AL” che è pure l’anagramma di “LA” perché “AL” ha significato definito in quanto “preposizione articolata”.
Le cose cambiano molto aumentando lievemente il numero delle lettere. La parola “ROMA” ha solo quattro lettere e ha 24 differenti permutazioni, cioè 24 differenti parole.
Di queste, solo nove su 24 sono anagrammi perché hanno senso compiuto, nella tabella son quelle in grassetto. Invece di “ROMA” prendiamo una parola lievemente più lunga di solo 2 caratteri “NI”, otteniamo la parola
ROMANI
Aggiungiamo alla fine delle permutazioni di “ROMA” la particella “NI”.
Ma “NI” può essere aggiunto anche all’inizio di “ROMA” invece che alla fine; in tal modo la tabella si raddoppia:
Se infine inseriamo le particelle “IN” e “NI” anche all’interno di “ROMA”, la tabella diventa vertiginosamente più grande. Inserendo inoltre “I” e “N” separatamente in tutte le collocazioni possibili si avranno 720 caselle invece delle 24 della parola “ROMA”. Gli scettici non hanno che da provare tutte le collocazioni possibili fra le consonanti e le vocali di “ROMA”.
L’inserimento di poche vocali o consonanti aumenta vertiginosamente le permutazioni possibili. Gli anagrammi, cioè le parole con un senso definito, non crescono di conserva. Se nella prima casella nella precedente tabella, togliessimo la “N”, “AMORNI” diventerebbe “AMORI”.
Quantunque abbia significato definito non è anagramma perché questo si ha solo quando vocali e consonanti – non una di più non una di meno – sono adoperate nell’anagramma. La regola ferrea impedisce di barare.
Un professorone, non un ignorante qualsiasi, ha recentemente gabellato per “anagramma” una manipolazione. La frase originale è:
“che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato”
Secondo quell’autore il suo anagramma sarebbe:
“e io so che mi trovo dentro il p.o uno di via Montalcini n.o otto”
Due giornalisti, uno di Repubblica, l’altro de La Verità, hanno profuso lodi al “professore anagrammista”, invece di fare un’elementare verifica, come le due tabelline qui sotto, alla portata d’una terza elementare, per capire che l’anagramma è taroccato. La stampa italiana contribuisce a depistare (dolo o stupidità, com’è forse in questo caso).
Basti osservate nelle colonne la somma di ciascuna vocale e ciascuna consonante sia nella frase originale sia nel c.d. anagramma. Anche un alunno di terza elementare s’accorge che il prof ha arbitrariamente inserito una “a”, una “i” e una “v”, quindi utilizzando tre lettere più del dovuto. L’anagramma è quindi falso.
Non è tuttavia bastato. Costui ha aggiunto anche due punti, per ottenere delle fittizie abbreviazioni “p.o” e “n.o”, in modo da giustificare “via Montalcini”. Ne scaturisce un depistaggio grottesco e speriamo dovuto solo a faciloneria.
L’ipotesi di Aldo Moro prigioniero in via Montalcini, in un bugigattolo 1 metro x 3 metri, con 9 metri cubi d’aria e senza finestre fu ridicolizzata da chi scrive[7].
Basta così. Dopo aver esaminato come NON si fa un anagramma, rientriamo correttamente nel tema. Una trattazione più rigorosa il lettore può trovarla sul web. Queste note danno strumenti elementari, tuttavia sufficienti per il “problema Moro”.
“ROMANI” ha sei lettere, come abbiamo visto, con 720 combinazioni. La frase di Aldo Moro, vista in precedenza, ha 46 fra vocali e consonanti.
Le permutazioni possibili di 46 elementi sono: 5.502622159812088e+58, pari a cinquantacinque decilioni, duecentosessantadue deciliardi, duecentoventidue decimiliardi. Questo numero è così grande che se ogni persona sulla Terra dovesse generare una permutazione al secondo, ci vorrebbero circa 1.75 x 1050 anni per generare tutte le permutazioni.
Esso dovrebbe essere diviso per il fattoriale delle ripetizioni delle lettere. Il lettore inesperto non si preoccupi di comprendere, perché il divisore/denominatore è così piccolo rispetto al precedente da non mutare sostanzialmente il risultato con la divisione.
Ora esaminiamo un’altra frase di Aldo Moro:
“sopratutto questa ragione di stato nel mio caso significa”
Essa ha 49 lettere e le combinazioni possibili sono un altro mostro di 80 cifre. È quindi lecito chiedersi perché chi scrive scelse fra le innumerevoli combinazioni, questo anagramma:
“fino quaggiu dopo masseria isolata con tre tetti nascosti”
Rimangono quindi sospese due domande importanti:
- Come possiamo essere sicuri che quello fosse l’anagramma che Aldo Moro intendeva inviare, tenendo conto che le permutazioni disponibili sono miliardi di miliardi?
- Perché abbiamo preso proprio quella frase e non un’altra fra le innumerevoli nella stessa lettera?
ALDO MORO ANAGRAMMISTA? NO, E QUINDI?
Prima di proseguire occorre rimuovere un sasso fastidioso dalla strada. Un sedicente storico, altri del suo stampo e giornalisti cosiddetti “investigativi” (peraltro vocati al depistaggio e denunciati all’AG) hanno messo in dubbio più o meno apertamente le doti di anagrammista di Aldo Moro. Un po’ come il mio amico che disse: «Moro non poté essere così intelligente!»
La questione non ha senso perché “essere anagrammista” o “dilettarsi di anagrammi” non sono affatto condizioni indispensabili per comporre anagrammi. Aldo Moro poté formulare anagrammi, sebbene in cattività e sotto tortura, grazie al proprio cervello, le cui sinapsi consentirono traiettorie più lunghe e più alte, inaccessibili alle persone normali, anche a quanti s’ostinano a negargli questa evidente facoltà. Ribadiamolo: In claris non fit interpretatio.
Aldo Moro inoltre, nella sua vita quotidiana, fra appuntamenti politici, universitari, mondani, religiosi e di famiglia, è arduo immaginarlo in poltrona, in pantofole a fare anagrammi, straniato come un generale in pensione. Tutt’altra cosa è presumere il Presidente, consapevole della propria prodigiosa mente, talvolta dedito agli anagrammi e all’enigmistica, una sorta di rilassante tisana cerebrale, senza per questo farne una smania, tanto meno da ostentare. È quindi per lui ovvio impiegare tale capacità per la stringente necessità d’informare Cossiga, al fine di farsi liberare manu militari.
Lo scrittore e deputato del Partito Radicale, Leonardo Sciascia, chiese a Cossiga Francesco, durante l’audizione nella prima Commissione Moro: «Avete tentato una decifrazione dei messaggi di Moro durante il sequestro?» Il Cossiga rispose: «No, procedevamo con metodi artigianali».
Chi scrive utilizzò “metodi artigianali” dopo quarantacinque anni, giungendo a un concreto esito.
Questa dolosa negligenza nella ricerca della verità coinvolge pure i successori di Cossiga Francesco, al Quirinale come al Viminale, nonché i magistrati.
In conclusione, l’unico modo possibile per asseverare le affermazioni precedenti è rispondere alle due note domande:
1) Come possiamo essere sicuri che quello fosse l’anagramma che Aldo Moro intendeva inviare, tenendo conto che le permutazioni disponibili sono 692496779 seguito da 66 zeri?
2) Perché abbiamo preso proprio quella frase e non un’altra fra le innumerevoli nella stessa lettera?
UNO SCONCIO SILENZIO
Leonardo Sciascia attribuì ad Aldo Moro il ruolo dell’uomo determinato[8] a far pervenire al “ministro dell’Interno”, mediante le proprie lettere, le informazioni operativamente utili a consentire alle forze dello Stato di liberarlo dalla prigione. (figura sotto)
Ha ragione, Sciascia. Prima di proseguire è indispensabile un’altra digressione. “Aldo Moro anagrammista” entra ed esce dalla cronaca e dalla Commissione Fioroni, senza raziocinio. Per 45 anni, quanti si dissero esperti di terrorismo, di BR e della tragedia Moro, ventilarono la necessità di “scavare” nelle lettere di Aldo Moro, come per esempio incita lo storico Miguel Gotor. Nessuno scavò alcunché finché l’autore (che non è giornalista, non è storico, non è ufficiale di polizia giudiziaria, non è investigatore) non propose un criterio oggettivo, dopo 45 anni, giungendo a un risultato. A questo punto: silenzio…
Dov’erano e che cosa fecero – per 45 anni – gli investigatori, i magistrati, gli esperti, i giornalisti investigativi e gli storici accademici?
1978: GLI ELABORATORI ESISTEVANO
Il lettore, seguendo il filo logico col quale sono decrittati gli anagrammi, vedrà come la medesima impresa sarebbe stata ben più agevole a una squadra di matematici, utilizzando gli elaboratori presenti nel 1978 nelle università italiane.
Va bene, supponiamo che nel 1978 vi sia stata una svista, una botta d’imbecillità istituzionale. Ma dopo, per 45 anni, diconsi qua-ran-ta-cin-que anni, nessuno fra investigatori e pubblici ministeri addetti al caso, a nessuno di costoro venne in mente di ricorrere all’elaborazione dati?
L’algoritmo “delle firme”, dovuto a Nicholas Temperley, fu divulgato per primo da Martin Gardner nel 1973 e poi da Jon Bentley nel 1983. Con tale algoritmo è possibile costruire facilmente un “dizionario degli anagrammi” mediante il quale ottenere, per semplice ricerca, l’anagramma di una qualsiasi parola data. Se si fossero rivolti a una facoltà di matematica avrebbero saputo che l’algoritmo degli anagrammi, proprio grazie a Temperley, è noto dal 1961[9], cioé era noto da diciassette anni prima di via Mario Fani.
Diciassette anni dopo, nel 1978, i centri d’elaborazione dati delle università italiane avevano elaboratori elettronici, basati su transistor e circuiti integrati, soprattutto mainframe[10], con significativa potenza di calcolo. Gestivano grandi quantità di dati per molteplici utenti contemporaneamente. I mainframe più comuni dell’epoca erano l’IBM System 360 e il modello CDC Cyber. V’erano anche minicomputer, sistemi di elaborazione dati più compatti rispetto ai mainframe, in grado di fornire una potenza di calcolo considerevole. Erano spesso utilizzati per scopi specifici all’interno di un’università o di un dipartimento. Alcuni dei minicomputer popolari dell’epoca includevano il modello DEC PDP-11 e il modello IBM System/3.
La potenza di calcolo degli elaboratori dell’epoca (qualche MIPS milioni di operazioni al secondo, con memoria principale di decine di megabytes), quantunque molto inferiore a quella corrente, fornì una solida base per lo sviluppo della ricerca nelle università italiane. Per avere un termine di paragone, il celebre IBM System 360, introdotto nel 1964, ebbe una potenza di 200.000 operazioni al secondo. I sistemi universitari del 1978 avevano potenze dell’ordine di qualche centinaio di migliaia di operazioni al secondo.
Ribadiamolo. Nel 1978 si rimbecillirono e non pensarono al computer, sebbene fosse possibile?
E nei 45 anni successivi? Avrebbero potuto ricorrere all’elaborazione dati e non lo hanno fatto. Perché?
Che cosa fece il Comitato di crisi, istituito da Cossiga, oltre a farsi sottrarre il dossier Stay Behind dai sovietici?[11]
“Si procedeva con metodi artigianali”
Così disse Cossiga, tre anni dopo la morte di Aldo Moro. Fu una consapevole bugia; nel migliore dei casi perché resosi conto dell’impossibilità d’una risposta plausibile. Questa è la lettura indulgente dello svarione; la lettera di Aldo Moro al Cossiga fu archiviata come una patetica geremiade dello Statista[12].
Ancora Leonardo Sciascia: “Moro non vuol restarne schiacciato. Non per viltà ma, si direbbe, per servizio. C’è come una impassibilità burocratica, di routine nella conclusione della sua lettera a Zaccagnini: «Fatto il mio dovere di informare e richiamare…»”
Dove può annidarsi l’informazione? Se non nelle lettere? Qui risiede la fondamentale importanza degli anagrammi di Aldo Moro.
DECRITTARE GLI ANAGRAMMI
Fu quindi tassativo individuare l’univoco criterio per individuare dove fossero gli anagrammi fra innumerevoli frasi di una lettera. Solo se esattamente individuate le frasi da anagrammare – fra le innumerevoli nella medesima lettera – sarebbe stato possibile ricostruire correttamente gli anagrammi. A questo principio fu incardinata la ricerca e la decrittazione. I fatti hanno confermato, seppure con enorme “artigianale” fatica, la correttezza del principio.
Per individuare le frasi da anagrammare fu indispensabile determinare quale fosse la prima di esse.
Per raggiungere questa meta si cercò un dettaglio ortografico, tale da attirare l’attenzione di Cossiga e fargli dire:
“Aldo non farebbe mai un tale errore grammaticale. Perché invece lo ha fatto?”[13].
La corretta decrittazione degli anagrammi esige, si ribadisce, l’individuazione della prima frase da anagrammare, fra le innumerevoli delle lettere. Tale obbligo è imposto dall’incontrovertibile esigenza di individuare, con la prima, le consecutive frasi a esse concatenate. Una sola frase, s’è visto, s’anagramma in miliardi di miliardi di differenti modi, risultando esposta a esiti più depistanti di quello del prof additato in precedenza.
L’autore presunse che Aldo Moro, consapevole di tale pericolo, avrebbe fatto in modo di interconnettere almeno tre frasi, affinché s’asseverassero mutuamente. Pertanto occorse individuare:
- il criterio logico che potesse attirare l’attenzione del destinatario sulla prima frase da anagrammare;
- almeno altre due frasi, consecutive alla prima, tali da essere interconnesse.
L’interconnessione di tre anagrammi è a sua volta importante perché sarebbe casuale con una probabilità pari a 1 diviso la probabilità di ciascun anagramma, moltiplicata per la probabilità dei rimanenti due. In altre parole, la probabilità che fosse casuale la connessione di tre anagrammi, sarebbe:
Cioè casualità pari a ZERO.
ERRORE ORTOGRAFICO
Da dove cominciare? Qual era la prima frase da anagrammare? Questa domanda – considerate le innumerevoli frasi nella stessa lettera – s’impose su tutte le rimanenti. I manoscritti di Aldo Moro compulsati uno ad uno, più volte, confrontando pure le citazioni nel volume di Leonardo Sciascia coi manoscritti di Aldo Moro. Nel corso di questo lavoro affiorò una differenza fra il testo manoscritto e quello riportato dallo scrittore sia nella prima edizione del 1994, sia nelle successive dell’«Affaire Moro». Fu chiesto conto all’editrice Adelphi, dalla quale giunse risposta tanto rapida quanto esauriente e cortese. Occorre sottolineare la gratitudine dovuta loro.
Adelphi comunicò che l’edizione critica delle Opere di Leonardo Sciascia, curate da Paolo Squillacioti (nelle Note ai testi del vol. II, tomo I, uscito nel 2014), certifica che il testo della prima lettera di Aldo Moro a Cossiga, com’è riportato dallo Scrittore, dalla prima edizione a quella del 2021, «fu tratto a suo tempo da un “instant book” e quindi l’incipit della frase manoscritta dello Statista “Sopratutto questa ragione di Stato…” nel testo dello scrittore è riportato erroneamente, diventando “Soprattutto”, con un corretto raddoppiamento sintattico della prima “t”, contrariamente al testo manoscritto di Aldo Moro».
S’accese una lampadina nel buio più fitto.
Aldo Moro e Francesco Cossiga appartennero a una generazione allevata nel culto per la grammatica. Chi oggi chieda a schiere di laureati quale sia la regola del “raddoppiamento sintattico” si prepari a stupirsi del loro stupore.
Per quale altro motivo Aldo Moro introdusse un errore, lieve ma significativo, se non per allertare Cossiga? Questo pensiero fu abbagliante, quando, esaminato il manoscritto apparve “sopratutto” con tre t, invece di quattro.
frase originale |
anagramma |
Fonte |
sopratutto questa ragione di stato nel mio caso significa |
fino quaggiu dopo masseria isolata con tre tetti nascosti |
Lettera a Cossiga 29/03 |
riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione |
dondon lontano no alzar recinzione insidia puntute cupa cella sminate |
che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato |
in elicottero volato sito poco nord non ho nomi uditemi |
me in elicottero ho volato un poco nord sono intimidito |
sottoposto ad un processo popolare che può essere opportunamente graduato |
prato e posto dantesco pretese popolo russo urge uso paracadute non ho tempo |
ricordi la mia fortissima resistenza sopratutto per le ragioni di famiglia a tutti note |
costole rotte mi si tortura milza sfinito spia punita arma si radiotelegrafa dirigenti |
Lettera a Zaccagnini 23/04 |
poi mi piegai come sempre alla volontà del partito |
preda ipnosi mi tempra moto epigeo località valle |
Quando Adelphi rispose, confermando l’errore nel testo di Sciascia, da un pezzo si lavorava notte e giorno per decrittare gli anagrammi, artigianalmente. Quel “sopratutto” con tre t, invece di quattro, fu un errore non trascurabile per la generazione del prigioniero e di chi doveva allertarsi per liberarlo. Se il criterio fu questo, se il marcatore di testo fu “sopratutto”, sarebbe stato presumibile trovare tre frasi con le indicazioni di che cosa era davvero accaduto quel 16 Marzo? Le frasi si dovevano cercare da “sopratutto” e fino a “graduato”, perché dopo s’apriva un lungo periodo spezzato dalle interpunzioni, quindi non anagrammabile.
Per decrittare la prima frase, dopo giorni e notti e mesi di prove, s’accese una luce all’apparire del lemma “masseria”.
Un pugliese utilizza “masseria” per un edificio rurale importante, nel nostro caso con “tre tetti nascosti”. Fu fatta una verifica di cui si dirà al magistrato e risultò esattamente così. Entusiasmante.
Con immane fatica, furono “artigianalmente” trovate non tre ma quattro frasi, una di seguito all’altra e poi altre due, nella lettera a Benigno Zaccagnini sempre col marcatore sopratutto.
Le sei frasi sono concatenate. La possibilità d’un casuale concatenamento fra le sei frasi è più o meno pari a quella di vincere 6 volte di seguito al Superenalotto.
A questo punto del lavoro occorsero ulteriori verifiche, a sgomberare il campo da ogni dubbio circa l’intenzionalità di Aldo Moro di “informare”, proprio come Leonardo Sciascia intuì. Informare chi? Sordi, ciechi e traditori, oggi muti e distratti.
VERIFICHE SUGLI ANAGRAMMI
Ribadiamolo: Aldo Moro è stato bestialmente torturato. Lo avevamo anticipato e dimostrato https://shorturl.at/cghSU nel libro e nella denuncia depositata davanti alla procura di Roma e poi di Perugia.
Lo sussurriamo ancora nelle orecchie del Presidente della Repubblica e, senza cautela, in quelle delle Istituzioni, della stampa, della politica e persino dei suoi figli, carezzevoli coi torturatori.
Abbiamo spiegato che cos’è un anagramma e come si fa. Se non fosse stato un argomento interessante perché la grande stampa – di destra, come di sinistra – perché suonò le trombe quando un prof gabellò un falso anagramma che riconduce alla grottesca bugia di via Montalcini? Perché lo Stato, la stampa e i BR mentono in coro, ma ora tacciono? Noi li svergogniamo.
I sei anagrammi danno informazioni univoche. Non possiamo svelarle tutte senza tradire il segreto istruttorio. Mentre scrivevamo questo lavoro, abbiamo decrittato altri due anagrammi. Ne pubblichiamo uno solo. Il lettore lo troverà più avanti. Rimaniamo sulle evidenze. Mediante gli anagrammi Aldo Moro ci dice di essere:
- in terra dantesca
- in una casa con tre tetti
- in mano a carcerieri russi
- torturato
- in presenza d’un carabiniere spia “punito dall’Arma”
- soggetto a ipnosi
Queste e altre informazioni noi le abbiamo ricavate dopo 45 anni, con “metodi artigianali”, lavorando per mesi, notte e giorno, in perfetta solitudine. Il “Comitato di Crisi”, istituito dal Cossiga Francesco, potevano ottenerle in brevissimo tempo, così come gli inquirenti nei 46 anni inutilmente trascorsi.
Le torture sono confermate dal referto autoptico nascosto all’autorità giudiziaria e alle commissioni parlamentari di inchiesta. https://shorturl.at/biuES Vediamo ora come sono stati ottenuti tali anagrammi e chi ha obiezioni si faccia avanti.
Chi voglia verificare la perfetta corrispondenza di vocali e consonanti tra frase originale e anagramma, senza le gabole che abbiamo visto in precedenza, può andare a questo indirizzo https://shorturl.at/abuY4
Come si può osservare nella figura a pagina 15, il terzo anagramma ha dato due risultati possibili per la medesima frase:
«che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato»
Il primo risultato è:
«in elicottero volato sito poco nord non ho nomi uditemi»
Il secondo risultato è:
«me in elicottero ho volato un poco nord sono intimidito»
Ambedue dicono che il Presidente volò in elicottero, per poco tempo e verso Nord. Nel primo c’è “uditemi” che è coerente con “ascoltatemi” nel secondo, nel quale “sono intimidito” fa pensare che sia minacciato. Il dato comune e importante è l’elicottero. È pure importante che non siano in contraddizione.
È verosimile che abbia volato “poco (verso) nord” perché in effetti un velivolo non autorizzato è esposto a intercettazione e controllo.
È quindi plausibile che il primo atterraggio fosse verso Nord nei dintorni di Viterbo, a venti minuti di volo, dov’è una base dell’Esercito, con traffico di elicotteri molto intenso, la cui torre di controllo potrebbe aver confuso il velivolo pirata con uno istituzionale; se per dolo o per errore non possiamo più saperlo.
Le ricerche si concentrarono su Roma e fu quindi possibile lo spostamento del Presidente verso Nord, in “terra dantesca” con la complicità di chi fu in grado di sapere dove fossero i posti di blocco.
La dualità nella lettura del terzo anagramma illustra quanto possibile sia che dalla stessa frase si possano ottenere più anagrammi. In questo caso la presenza in ambedue di “elicottero” è rassicurante, ma non è sufficiente. Dobbiamo verificare che effettivamente Aldo Moro intendeva trasmettere quegli anagrammi.
Tesi:
1^ verifica: Aldo Moro non utilizza “sopratutto” nei suoi scritti (Tale eventualità, pur non ascrivibile ad Aldo Moro, avrebbe comunque fornito benzina ai negazionisti degli anagrammi).
2^ verifica: se c’è “sopratutto” nelle altre lettere, in corrispondenza vi devono essere anagrammi connettibili coi primi quattro.
PRIMA VERIFICA
TESI: Aldo Moro NON utilizza “sopratutto” (con 3 t) nei suoi scritti
Svolgimento. Quante volte il Presidente ha utilizzato il marcatore linguistico «sopratutto» nei suoi libri? Questo scoglio fu superato grazie ad Alberto Comastri[14], al quale è dovuta una particolare nota di riconoscenza. Ecco il risultato della verifica.
Il libro di Aldo Moro “Lo Stato, il Diritto”, raccolta delle lezioni 1944-1945, ha 26 ricorrenze del canonico «soprattutto» con quattro t, contro un unico «sopratutto». È un riscontro di rilievo nonostante l’unicità del caso; ciò non di meno non influisce, trattandosi d’una raccolta di lezioni, quindi manipolate da studenti e assistenti, infine approvata dal professore, cui può sfuggire un refuso.
In “La capacità giuridica penale” (Cedam, 1939, 183 pp.) “soprattutto” ricorre tredici volte e non c’è alcun “sopratutto”.
Analogo è l’esito in “La subiettivazione della norma penale”, Bari, 1942, 218 pp.) con 6 “soprattutto” con 4 t e nessuno con 3.
Occorse pure verificare perché il Presidente presunse che quell’errore potesse sfuggire al vaglio censorio, la cui accuratezza abbiamo già avuto modo di valutare.
La barbara tortura, certificata da referti autoptici, nascosti per 45 anni[15], fu inflitta durante l’interrogatorio, cui si lega il memoriale dattiloscritto[16], sottoposto al Presidente per siglarne le pagine a mo’ d’autenticazione. L’esame di queste pagine mostra una serie di ricorrenze dattiloscritte del marcatore sia con 3 come pure con 4t.
Aldo Moro vide giusto pertanto nell’introdurre “sopratutto”, per additare dove fossero gli anagrammi, sapendo che il censore avrebbe lasciato passare, avendo lo stesso aguzzino indifferentemente adottato tanto “sopratutto” quanto “soprattutto”.
Dopo questa prima positiva verifica, ne occorre un’altra: controllare se anche nelle altre lettere vi fosse il “sopratutto” e la relativa frase, allorché anagrammata, si connettesse con le prime quattro individuate nella lettera al Cossiga.
SECONDA VERIFICA
Tesi. se c’è “sopratutto” nelle altre lettere, in corrispondenza vi devono essere anagrammi connettibili coi primi quattro..
Svolgimento. Aldo Moro utilizzò un solo «sopratutto» nella lettera al ministro dell’Interno Francesco Cossiga, del 29 Marzo 1978, così come nella lettera alla moglie, del 7 Aprile. Il marcatore «sopratutto» è utilizzato anche nella lettera al presidente del Comitato parlamentare per il controllo sui servizi di sicurezza e sul segreto di Stato, Erminio Pennacchini, del 29 Aprile 1978.
Tenuto conto dei tempi necessari per decrittare, abbiamo esaminato la lettera a Benigno Zaccagnini, del 20 Aprile 1978, resa pubblica il 23 Aprile. Essa reca tre «sopratutto»; il primo è nella quarta pagina.
«Ma è sopratutto alla D.C. che si rivolge al Paese per le sue responsabilità, per il modo come ha saputo contemperare sempre sapientemente ragioni di Stato e ragioni umane e morali.»
Non pubblichiamo l’anagramma di questa frase, pur avendolo decrittato. È di interesse della magistratura.
L’ottava pagina della lunga lettera contiene il secondo e il terzo “sopratutto”. Ecco il secondo:
«Pensaci sopratutto tu, Zaccagnini, massimo responsabile»
L’anagramma di questa frase presenterebbe una sbavatura. La lettera è del 20 aprile, quaranta giorni dopo il rapimento. Quaranta giorni di torture e di sofferenze affiorano in un anagramma nel quale c’è una “i” di troppo.
«cosi subisco gli scempi tortura sostanza appanna mente “i”»
Sembra quasi scusarsi per la mente appannata dalle torture e dalle sostanze che gli propinano. Un calvario cinicamente nascosto dallo Stato italiano, dalle sue massime autorità, da quanti sapevano delle torture e hanno taciuto. Infami.
Ecco il terzo sopratutto:
«Ricordi la mia fortissima resistenza sopratutto per le ragioni di famiglia a tutti note. Poi mi piegai, come sempre, alla volontà del Partito»
Sono due frasi. La prima frase:
«Ricordi la mia fortissima resistenza sopratutto per le ragioni di famiglia a tutti note.»
si anagramma così:
«costole rotte tortura milza sfinito spia punita arma radiotelegrafati dirigenti»
La seconda frase:
«Poi mi piegai, come sempre, alla volontà del Partito»
il cui anagramma è:
«preda ipnosi mi tempra moto epigeo località valle»
Un carabiniere dei servizi segreti (spia punita arma) è nel luogo in cui Aldo Moro è torturato e “radiotelegrafati dirigenti”.
La “tortura” – confermata nel verbale autoptico, nonostante sia striminzito – è sottolineata più volte dal prigioniero, riferendo pure di “sostanza appanna mente”, perché un tale trattamento professionale da parte degli aguzzini esige la presenza assidua di un medico e l’impiego di sostanze che assicurino la sopravvivenza della vittima finché è profittevole.
Il “radiotelegrafati dirigenti” ci ricorda che il 18 IV 1978, l’irruzione nel covo di via Gradoli (quello fra 20 – venti! – appartamenti del SISDE) svelò la presenza d’una ricetrasmittente.
Lucia Mokbel – abitava accanto al covo – testimoniò di aver dato ai poliziotti un biglietto per il commissario Elio Cioppa, in cui scrisse di aver sentito la sera prima segnali in Morse venire dall’ appartamento accanto. Elio Cioppa, tessera n. 658 della loggia P2.
È un altro singolare comportamento della stampa in questa sconcia vicenda: di solito “P2” fa scattare il riflesso pavloviano delle più mirabolanti congetture. In questo caso invece tutto si chiude con un dolciastro “Di quel biglietto non s’ è mai trovata traccia”. Curioso, vero?
Come volevasi dimostrare. Se avessero decrittato gli anagrammi non appena in possesso delle lettere di Aldo Moro – abbiamo visto che ciò era pienamente possibile con le risorse informatiche del 1978 – sarebbe stato naturale e agevole approfondire i seguenti aspetti:
- chi era la “spia punita arma” che radiotelegrafava;
- chi erano i “dirigenti” dall’altro capo della ricetrasmittente (in via Gradoli, fra 20 appartamenti del SISDE);
- come giustificava il Cioppa il proprio comportamento.
Per 45 anni nessuno ha potuto sollevare tali obiezioni. Ora che esse si manifestano in tutta la loro virulenta concretezza, si tace. E’ inaccettabile.
Ci sono ancora in circolazione ufficiali dei Carabinieri e alti dignitari dello Stato traditori. La “spia punita arma” è tuttora possibile individuarla, solo consultando lo stato di servizio dei Carabinieri nel 1978. Forse è deceduto, forse in vita e si gode una lauta e meritata pensione.
Impareggiabili investigatori e guru dell’antiterrorismo hanno atteso questo modesto autore per queste correlazioni elementari, semplici e dirette, dopo 45 anni. È incredibile, vergognoso, inaccettabile oltre ogni limite.
Lo Stato, avendo le prove di queste infamie, le nasconde, tutelando gli assassini e i mandanti di via Mario Fani.
Signor Presidente d’una misera, oltraggiata Repubblica, è Suo peculiare dovere costituzionale intervenire.
FINE
(per ora)
[1] P. Laporta cit. https://shorturl.at/apuzP pag.43-79
[2] P. Laporta cit. https://shorturl.at/apuzP , pag.243-247, la dichiarazione del procuratore di Roma de tempo, Vanni De Matteo, raccolta dall’agenzia AGI e testimoniata dal giornalista Roberto Chiodi che udì le dichiarazioni di De Matteo, poi sparite dagli atti giudiziari e da quelli parlamentari.
[3]Giuliano Vassalli, socialista, legale della famiglia Moro è presente durante l’autopsia ma “non vede” le quattro costole rotte, sebbene pure menzionate dal referto, sia pure manipolato. Egli non eccepisce circa l’assenza di prove della presenza di Aldo Moro in via Mario Fani. Un esponente socialista di primo piano, interrogato per iscritto dall’autore – circa le torture ad Aldo Moro, nascoste alla famiglia, all’autorità giudiziaria e alle commissioni parlamentari – prima si è detto disponibile, poi non ha risposto.
Cfr. Paolo Morando “Il caso Moro e Report, quante bugie. Signorile e l’artificiere di via Caetani si smentiscono a vicenda” in “INSORGENZE”, dello storico Paolo Persichetti https://shorturl.at/mpHSU
[4] Non si interpreta laddove v’è chiarezza.
[5] L’autore ha depositato denuncia querela contro noti e ignoti nelle procure di Roma e Perugia. Qui il comunicato stampa https://shorturl.at/ovwDK.
[6] Carmelo Filocamo, Giuseppe Riva “Anagrammi Che Passione” http://www.enignet.it/uploads/documenti/Opus03_anagrammi.pdf
[7] P. Laporta cit. https://shorturl.at/apuzP pag.55
[8] Leonardo Sciascia, “L’Affaire Moro”, ed. Adelphi 1994
[9] H. N. V. Temperley and M. E. Fisher. Dimer problem in statistical mechanics – an exact result. Philosophical Magazine 6: 1061– 1063 (anno 1961).
[10] Mainframe è il computer con elaborazione dati di alto livello e di tipo centralizzato. I mainframe sono presenti nei CED di organizzazioni (pubbliche e private) dove sono richiesti elevati livelli di multiutenza, enormi volumi di dati e grandi prestazioni elaborative, uniti ad alta affidabilità.
[11] P. Laporta cit. https://shorturl.at/apuzP pag.109-148
[12] Il Berlinguer, nel discorso per la fiducia al IV Governo Andreotti, ricordando Aldo Moro, il 16 Marzo, poche ore dopo la strage, evocò lo “statista”. Leonardo Sciascia implacabile ne stigmatizzò il funebre significato. L. Sciascia. Cit.
[13] P. Laporta cit. https://shorturl.at/apuzP pag.163-187 Nel libro è certificata la prodigiosa capacità di Aldo Moro di mandare messaggi duali, nei quali c’è un significato concreto e tuttavia nascosto dietro la lettura ordinaria dello stesso messaggio.
[14] https://bit.ly/3YZSqb1
[15] P. Laporta cit. https://shorturl.at/apuzP pag.49-73
[16] Il cui originale non è mai stato trovato.
[1] https://shorturl.at/otP67 qui si può leggere il comunicato stampa.