Antonio Mennini se la cava con le solite sciocchezze. Bergoglio prende in giro la Commissione per Aldo Moro e tutti plaudono.
Trombe e tamburi. Annunciata come una rivoluzione la testimonianza in commissione Moro di Antonello Mennini, nunzio apostolico a Londra.
Scrive il Corsera del 10 marzo 2015: «Papa Francesco, in qualche modo, riapre il caso Moro. La decisione di far testimoniare l’attuale nunzio apostolico nel Regno Unito, l’arcivescovo Antonio Mennini, lunedì prossimo, 9 marzo, davanti alla nuova Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso, è stata infatti presa direttamente da Bergoglio. Francesco ha scelto di far prevalere la ricerca della verità sulle regole della immunità diplomatica di cui godono i nunzi (gli ambasciatori vaticani), come del resto il personale diplomatico di tutti i paesi del mondo. Ed è stata sempre di Papa Francesco la decisione di far venire a Roma l’arcivescovo a deporre a San Macuto, sede della Commissione, senza che l’organismo parlamentare dovesse spostarsi in trasferta a Londra, ad ascoltarlo «a domicilio», in considerazione del suo status. Si tratta di una svolta senza precedenti, visto che tra pochi giorni saranno esattamente trentasette anni dal rapimento dello statista democristiano.»
[cryout-pullquote align=”right” textalign=”justify” width=”30%” line-height “4px”;]La novità di Bergoglio
Antonio Mennini, 67 anni, appartiene alla storica dinastia di banchieri dello IOR. Il padre, Luigi Mennini, fu braccio destro di monsignor Marcinkus.
Entrò nel servizio diplomatico della Santa Sede il 3 aprile 1981; fu inviato in Uganda e in Turchia. Fu ordinato vescovo il 12 settembre 2000; due anni dopo fu rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa, diventando ufficialmente “nunzio” nel luglio 2010. La sua carriera iniziò dopo l’assassinio di Aldo Moro.
[/cryout-pullquote]Stupidaggini. Nessuna novità nella deposizione di Mennini. Costui fu ascoltato da quanti investigavano, diciamo così, a giugno 1978, a gennaio 1979, a febbraio ’79 e a settembre 1986. Anche le commissioni parlamentari non sono una novità per costui: comparve davanti alla “Commissione Moro” il 22 ottobre 1980, dove fu trattato coi guanti e gli riconobbero volentieri di non essere stato per nulla “reticente”. Subito dopo la Segreteria di Stato lo collocò nel servizio diplomatico della Santa Sede, mandandolo in Uganda. Come mai così lontano?
Mennini ha sempre negato di aver incontrato Moro nel covo di via Montalcini, dove i criminali rinchiusero lo statista prima di ucciderlo.
Il diavolo fa le pentole, non i coperchi. A ottobre 1990, le lettere di Moro ritrovate nel covo brigatista di via Monte Nevoso, dietro una parete di cartongesso, testimoniarono che Mennini aveva avuto con Moro qualche contatto ulteriore oltre a quelli da lui ammessi in precedenza. La Corte d’Assise lo ascoltò nel 1993 e s’accontentò della sua assicurazione di non aver ricevuto altre lettere rispetto a quelle da lui dichiarate in precedenza.
Nel 1995 rifiutò di comparire davanti alla nuova Commissione parlamentare d’inchiesta.
Il solito fumo sparso da Cossiga, concernerebbe un ruolo di “confessore” del don Mennini, a consolare il povero Aldo Moro. Come al solito il dettaglio messo in luce dal sardo – il pittoresco ruolo di “confessore” – è utile solo a sviare l’attenzione. Il fatto trascurato anche dall’attuale Commissione è che le lettere rinvenute in via Monte Nevoso certificano che il ruolo di Mennini fu ben più delicato di quanto da lui ammesso.
Osserva, per esempio, Andrea Tornielli:«Dal memoriale Moro risulta che lo statista pensò di rivolgersi a lui attorno al 20 aprile, ritenendo che il precedente canale utilizzato fosse ormai bruciato dai controlli della polizia. Dalle lettere del sequestrato si comprende che riteneva il sacerdote non solo un utile canale per far pervenire le sue lettere, cosa che effettivamente avvenne, ma anche interlocutore al quale poter rivolgere delle domande e attraverso il quale ricevere degli scritti dall’esterno.»
Non solo è giusta l’osservazione di Tornielli ma se ne deduce che Mennini poteva quindi influire sulle informazioni che giungevano a Moro e, di conseguenza, sul contenuto delle lettere dello statista. «Moro ritiene possibile addirittura “chiamare” il sacerdote e “consegnargli il pacchetto”» come sottolinea Tornielli «in cui ha riunito le lettere ai familiari affinché le tenga intanto per sé e le consegni alla moglie a tempo debito, dopo avergliene parlato solo ed esclusivamente a voce.»
Questo è il merito – gravissimo e di portata incalcolabile – niente affatto approfondito dai Commissari di questa legislatura e delle precedenti.
Ancora peggiori sono le trascuratezze nel metodo. Mennini infatti ha scritto almeno quattro relazioni per la Segreteria di Stato, una delle quali, fondamentale, alla vigilia della sua partenza per l’Uganda. Queste relazioni sono custodite con più cura del “segreto di Fatima”. Perché?
Se il ruolo Mennini fu davvero così marginale, perché la Segreteria di Stato lo mandò in Uganda? Se Bergoglio è così innovatore perché non fornisce alla Commissione parlamentare le relazioni scritte dal Mennini? D’altronde perché Fioroni, il presidente della commissione, non le chiede?
Bergoglio si rivela quindi perfettamente organico al sistema, altro che innovatore. È un’altra brutta commedia, ancora una volta, sulla pelle e sulla memoria del presidente Aldo Moro, martirizzato da criminali e imbecilli.
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