Audizione del procuratore di Catania, CARMELO ZUCCARO

Ecco quanto ha detto il procuratore Carmelo Zuccaro al Parlamento italiano. OltreLaNotizia ti offre la trascrizione dell’audizione. E’ molto lunga; è opportuno leggerla per capire.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

La seduta comincia alle 8.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, i processi verbali delle sedute precedenti si intendono approvati.

Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione diretta sul canale web-tv attraverso segnale audio-video originariamente destinato al circuito chiuso. È la prima volta che usiamo questa modalità a seguito di quanto deliberato dal collegio dei questori della Camera per agevolare la diffusione attraverso la web-tv del sito della Camera.

Dal punto di vista tecnico, abbiamo l’immagine sulla Presidenza, con inquadratura fissa sul banco. Quando parlerete voi per le domande, si sentirà esclusivamente il sonoro. In ogni caso, la seduta sarà registrata, catalogata e ricercabile.

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania, dottor CARMELO ZUCCARO

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania, dottor CARMELO ZUCCARO.

È un onore per noi averla qua. La ringraziamo della sua presenza.

Procuratore, se nel suo speech in alcuni punti riterrà necessario secretare, e quindi non rendere pubblico quanto sta dicendo, non avrà che da informarne gli uffici e noi chiuderemo la pubblicità dei lavori.

Il Comitato Schengen è un comitato che vigila sull’attuazione degli accordi Schengen e sull’attività di Europol. È un comitato bicamerale, quindi sono presenti deputati e senatori.

Abbiamo avviato un’indagine conoscitiva sulla gestione dei flussi del fenomeno migratorio. È di questi giorni un dibattito che la interessa direttamente. Secondo quanto abbiamo appreso da notizie stampa, si sta occupando direttamente del tema, preciserò poi bene come – risulta non con aperture di fascicoli, ma con acquisizione di informazioni – relativo al ruolo delle ONG nell’ambito del salvataggio in mare.

Vorremmo affrontare con lei questa possibile ipotesi – non so come dirlo, perché non voglio usare termini atecnici, impropri – di collaborazione eccessiva tra alcune organizzazioni non governative rispetto ai trafficanti di migranti. Si tratta di accuse che sarebbero state già prospettate in due rapporti interni di Frontex (l’ex agenzia dell’Unione europea delle frontiere esterne, recentemente trasformata in una nuova agenzia europea) con riferimento a fenomeni tra alcune ONG e trafficanti sulle rotte migratorie dalla Libia all’Italia.

In uno dei rapporti si leggerebbe che i migranti irregolari in arrivo dal Nord Africa avrebbero ricevuto chiare indicazioni, prima della partenza, sulla direzione precisa da seguire per raggiungere le imbarcazioni delle ONG. Nell’altro rapporto, Frontex avrebbe segnalato un primo caso registrato in cui le reti criminali avrebbero trasportato i migranti direttamente sull’imbarcazione di una ONG. Non viene specificato quale.

Più recentemente, in un filmato trasmesso su internet e ripreso in una trasmissione televisiva, Striscia la Notizia, il blogger Luca Donadel avrebbe tracciato la rotta delle navi della Guardia costiera italiana e di organizzazioni non governative in transito dalla Sicilia alla Libia per soccorrere i migranti, notando a suo dire alcune anomalie, come da ultimo riportato dalla stampa MeridioNews 16 marzo 2017.

Secondo questa ricostruzione, in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, le persone salvate in acque internazionali avrebbero dovuto essere portate nel porto sicuro più vicino. Nei casi presi in esame dal videoblogger, le navi italiane avrebbero dovuto dirigersi verso Zarzis, in Tunisia, che dista 90 miglia nautiche dal punto in cui sarebbero stati recuperati i migranti, che invece sarebbero stati portati in Sicilia, a 250 miglia nautiche, superando anche Malta, distante dal punto esaminato 180 miglia.

Risulta al Comitato, come riferito anche da notizie di stampa (la Repubblica 17 febbraio 2017), che lei stesso avrebbe dichiarato che da parte della procura da lei diretta non c’è nessun fascicolo, ma solo l’acquisizione di informazioni da parte di un gruppo specializzato della procura a livello di studio

(«Finora, abbiamo raccolto informazioni su 13 ONG, ma il lavoro non è ancora ultimato», MeridioNews 16 marzo 2017), spiegando anche che il proliferare di nuove piccole ONG «è un fenomeno che stiamo studiando da tempo e che non riguarda certo le ONG importanti da tempo impegnate in una grande opera umanitaria».

Secondo quanto risulta al Comitato, lei avrebbe anche affermato di recente che avete osservato con dati anche messi a disposizione da Frontex un aumento di piccole ONG impegnate nel salvataggio di migranti con alle spalle ingenti capitali. «Vogliamo capire chi ci sia dietro e che cosa nasconda questo fenomeno. Stiamo facendo un ragionamento molto attento, ma non ci sono gli elementi per aprire un fascicolo, soltanto per proseguire la nostra analisi.» Le saremmo grati se volesse commentare queste parole e spiegarci un po’ a che punto è dell’osservazione del fenomeno.

Inoltre, sappiamo che lei si è occupato del fenomeno tragico della tratta delle donne. Da notizie stampa (Live Sicilia del 13 novembre 2016) si apprende che, a suo giudizio «È un fenomeno che stiamo affrontando in maniera più incisiva e sistematica da circa un anno […] nel corso del 2016 abbiamo proceduto a 30 arresti per reati di tratta, mentre l’anno scorso – 2015 – soltanto a 5. Quindi vi è stato un incremento notevolissimo e non perché il fenomeno sia cresciuto ma perché vi dedichiamo una maggiore attenzione e vi abbiamo dedicato alcuni magistrati che se ne occupano in maniera specifica».

Secondo quanto lei ha affermato, si tratterebbe di un fenomeno «strettamente intrecciato con il fenomeno migratorio. Abbiamo minori, provenienti soprattutto dalla Nigeria, che arrivano in Italia percorrendo tutta la rotta africana guidati da questi trafficanti che non sostengono i soldi del viaggio che vengono sostenuti dagli organizzatori e che però poi rimborsano le spese del viaggio attraverso l’attività di prostituzione a cui sono costretti a prestarsi appena arrivano in Italia».

Naturalmente, la ringraziamo se ci esporrà il suo lavoro su questo tema. Le chiederemmo anche di aiutarci a capire, dalle informazioni eventualmente in suo possesso, se ci sono collegamenti tra sbarchi di migranti e organizzazioni terroristiche.

Un’audizione del vicedirettore di Europol, il dottor Wil van Gemert, si è svolta di fronte al

Comitato il 18 gennaio scorso, a seguito degli attacchi verificatisi nel novembre 2015 a Parigi. Il Consiglio europeo avrebbe esteso il mandato antiterrorismo di Europol all’istituzione, in modo da farla diventare un punto di raccordo dell’intelligence europea.

Effettivamente, da quest’audizione, e anche da notizie stampa (Live Sicilia del 13 novembre 2016), risulterebbe che anche a suo giudizio non vi sarebbero prove di un collegamento diretto tra i clandestini e i terroristi, ma abbiamo ragione di ritenere che parte dei proventi del traffico delle migrazioni clandestine finisca in mano a organizzazioni terroristiche o paraterroristiche.

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CARMELO ZUCCARO: Una delle prime volte che mandammo delle nostre unità navali a sequestrare un’imbarcazione, una nave madre, all’epoca intercettammo delle conversazioni: coloro che si trovavano sulla nave madre si mettevano in contatto con gli organizzatori, rimasti nelle terre di origine, e questi li tranquillizzavano dicendo loro di stare tranquilli, che non potevano far loro nulla perché in acque internazionali non si può intervenire, il reato non è commesso, non c’è la giurisdizione italiana. Con loro grande stupore, invece, intervenimmo, sequestrammo il natante e traemmo in arresto coloro che si trovavano a bordo di quel natante. Da allora, a seguito dell’affermazione di questa giurisdizione, si sono organizzati in maniera molto diversa. Adesso, come sappiamo, non arrivano più barconi con gli organizzatori, ma soltanto i piccoli barconi con i migranti.

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Da ultimo, c’è una mia considerazione personale, che faccio sempre, probabilmente allo stato non attuale, ma vorrei che ci aiutasse a capire se secondo lei sono già in essere o potrebbero esserlo degli interessi delle organizzazioni criminali nazionali relativamente agli sbarchi. Probabilmente, lei ci potrà già dire qualcosa sul percorso d’accoglienza sul territorio. Anche relativamente al traffico di esseri umani vede delle problematicità?

Signor procuratore, le cedo la parola. Dopo il suo discorso, lascerò la parola ai colleghi per delle domande.

CARMELO ZUCCARO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. La ringrazio, presidente, perché mi dà l’occasione di presentare l’esperienza del nostro ufficio, che sin dal novembre 2013, quindi a ridosso delle tragedie che costarono la vita a numerosi migranti al largo di Lampedusa, ha costituito un gruppo con lo specifico compito di occuparsi del contrasto non al fenomeno migratorio clandestino soltanto, ma a coloro che organizzano il traffico di questi migranti. Siamo convinti, infatti, che per poter incidere più efficacemente a livello giudiziario – mi rendo conto che il livello giudiziario in questo caso è particolarmente limitato per risolvere il problema – sia necessario occuparci di coloro che questo traffico organizzano e ne traggono gli utili più rilevanti. All’epoca, il mio predecessore, l’attuale procuratore generale di Roma Salvi, ebbe l’idea di costituire questo gruppo, di cui io assunsi il coordinamento da procuratore aggiunto dell’epoca.

Attualmente, il gruppo è coordinato e diretto dal collega Bonomo, qui presente con me.

Nel corso del tempo, ci siamo occupati di analizzare l’evoluzione di questo fenomeno. Posso dire che abbiamo anche inciso sulle diverse modalità che nel corso del tempo gli organizzatori hanno assunto per conseguire il loro obiettivo.

Quando il gruppo è stato costituito, c’era il problema delle navi madri che portavano in Sicilia i barconi con i migranti. Ricordo che all’epoca ci è capitato anche di occuparci di alcuni esponenti della criminalità organizzata locale, i quali noleggiavano delle barche che mettevano a disposizione delle navi più grandi, che non potevano avvicinarsi sino a riva, per farvi sbarcare i migranti che arrivavano nelle nostre terre.

All’epoca, in effetti abbiamo registrato da parte di qualche esponente criminale… Non ci risulta che, però, lo abbia fatto nell’ambito dell’organizzazione mafiosa di appartenenza. In quell’ipotesi, si trattava della famiglia catanese di Cosa nostra. Risultava, comunque, essere un esponente di quel gruppo, e certamente quindi si avvaleva anche di alcuni mezzi e strumenti che gli derivano dall’appartenenza a quel gruppo.

Il fenomeno da allora si è molto evoluto. Come procura di Catania e come gruppo specializzato, siamo riusciti ad affermare un principio, adesso riconosciuto dalla Corte di cassazione pacificamente e dai nostri tribunali di merito, e cioè la giurisdizione italiana su quello che avviene in alto mare nelle acque internazionali.

Ricordo che una delle prime volte che mandammo delle nostre unità navali a sequestrare un’imbarcazione, una nave madre, all’epoca intercettammo delle conversazioni: coloro che si trovavano sulla nave madre si mettevano in contatto con gli organizzatori, rimasti nelle terre di origine, e questi li tranquillizzavano dicendo loro di stare tranquilli, che non potevano far loro nulla perché in acque internazionali non si può intervenire, il reato non è commesso, non c’è la giurisdizione italiana. Con loro grande stupore, invece, intervenimmo, sequestrammo il natante e traemmo in arresto coloro che si trovavano a bordo di quel natante.

Da allora, a seguito dell’affermazione di questa giurisdizione, si sono organizzati in maniera molto diversa. Adesso, come sappiamo, non arrivano più barconi con gli organizzatori, ma soltanto i piccoli barconi con i migranti.

Tuttavia, nel corso dell’operazione «Mare Nostrum», attraverso la collaborazione soprattutto delle unità navali più attrezzate, dotate anche di apparecchi di ricognizione, riuscimmo ad avere delle informazioni e un aiuto molto valido per individuare e perseguire gli organizzatori. Anche a mutata modalità di trasporto di queste organizzazioni, infatti, accanto ai barconi piccoli, che non avevano più la nave madre, vi era una serie di natanti più piccoli che svolgevano la funzione di facilitatori, cioè apprestavano le vettovaglie, davano indicazioni circa la rotta che doveva essere seguìta, e magari sul barcone vi erano persone più sprovvedute che non disponevano di nozioni di navigazione tali da poter affrontare il viaggio in alto mare.

Attraverso l’assetto navale di «Mare Nostrum» siamo riusciti a individuare alcuni di questi facilitatori e ad acquisire notizie, che ci hanno consentito anche di individuare alcuni organizzatori a livello, se non apicale, comunque vicino al vertice. Abbiamo anche avviato delle attività di rogatoria internazionale, con l’Egitto in particolar modo, per ottenere la loro assistenza, che ci consentisse di acquisire notizie su questi organizzatori, che operavano a livello medio-alto, e, avendo ottenuto un provvedimento restrittivo, anche per eseguire il provvedimento restrittivo stesso.

Purtroppo, le rogatorie si sono fermate soltanto a livello informativo basso, in quanto l’Egitto ci ha dato alcune indicazioni molto limitate, peraltro anche fornendoci, almeno in prima battuta, delle indicazioni errate, forse dovute a confusione, omonimie e così via, su alcuni di questi organizzatori. Al momento in cui, però, è stato richiesto di poterli trarre in arresto, ci è stato detto che la loro Costituzione non consentiva la consegna di queste persone nonostante l’Egitto fosse tra coloro che avevano firmato vari trattati, da quello di Montego Bay alla Convenzione di Palermo. Quest’aiuto da parte degli assetti navali nell’individuazione del livello degli organizzatori è scemato con il venir meno di questa missione, che d’altra parte per i suoi costi, com’è noto, non poteva protrarre la sua attività troppo a lungo. Con l’assetto navale organizzato da Eunavfor Med, vi sono state sin dall’inizio alcune difficoltà, dovute al fatto che il fronte delle navi che operava all’inizio in alto mare era troppo vicino alle coste dei Paesi da cui queste navi partivano per poterci consentire di individuare dei facilitatori.

Sostanzialmente, dei facilitatori non vi era bisogno, perché, almeno all’inizio, ci si avvicinava un po’ troppo alle frontiere delle acque territoriali della Libia, che era il Paese dal quale proveniva la maggiore corrente di traffico che interessava il nostro distretto catanese.

C’è stata un’interlocuzione in varie sedi e ho avuto modo di rappresentare alla Direzione nazionale, in presenza dei vertici della missione, questo disappunto: una missione nata con il precipuo compito di contrastare il fenomeno non riusciva a raggiungere inizialmente quest’obiettivo proprio per il modo in cui veniva organizzato l’assetto.

Anche da qui sono intervenute delle modifiche. In questo momento, le navi di Eunavfor Med si trovano in una linea arretrata rispetto alla linea iniziale di intervento. Attraverso un’interlocuzione anche con il comandante in nave della missione, l’ammiraglio Berutti Bergotto, si è realizzata una collaborazione, che è stata, nei limiti in cui poteva essere, piuttosto proficua per acquisire informazioni e notizie sugli assetti che andavano a mano a mano realizzando in alto mare.

A partire dal settembre-ottobre del 2016, abbiamo invece registrato un improvviso proliferare di unità navali di queste ONG, che hanno fatto il lavoro che prima gli organizzatori svolgevano, cioè quello di accompagnare fino al nostro territorio i barconi dei migranti.

Abbiamo registrato la presenza, nei momenti di maggiore picco, nelle acque internazionali di 13 assetti navali, come lei, presidente, ricordava. Ci siamo voluti interrogare, cercando di essere attenti all’evoluzione del fenomeno, sulla strategia migliore per poterlo contrastare, cercando di capire perché mai vi fosse stato un proliferare così intenso di queste unità navali. Soprattutto, abbiamo cercato di capire come si potessero affrontare costi così elevati senza disporre di un ritorno in termini di profitto economico.

Quello che è emerso dagli esiti della prima indagine conoscitiva che abbiamo fatto è che il Paese europeo che ha dato vita alla maggior parte di queste ONG è la Germania, alla quale fanno capo ben 5 di queste ONG: SOS Méditerranée, Sea Watch Foundation, Sea-Eye, Lifeboat, Jugend Rettet. Sono ben sei navi presenti, perché SOS Méditerranée può contare su una nave, Aquarius, che batte bandiera di Gibilterra, una nave guardapesca; Sea Watch Foundation ha due unità navali, una che batte bandiera neozelandese e l’altra che batte bandiera olandese; Sea-Eye può contare su un’unità che batte bandiera olandese; Lifeboat su un’unità che batte bandiera tedesca; l’ultima, Jugend Rettet, su un peschereccio che batte anch’esso bandiera olandese.

Per quello che abbiamo potuto ricavare dai primi accertamenti, i costi mensili o giornalieri che affrontano queste ONG sono effettivamente elevati.

Per quanto riguarda, per esempio, Aquarius, la nave di SOS Méditerranée, ci risulta che ammonta a circa 11.000 euro al giorno il costo di gestione della missione. Per quanto riguarda, per esempio, il peschereccio Jugend, i costi mensili ammontano invece su base mensile a circa 40.000 euro. Per quanto riguarda la ONG MOAS, fondata nel 2013, che ha sede a Malta, abbiamo due unità: la Phoenix, che batte bandiera del Belize; la Topaz Responder, che batte bandiera delle isole Marshall.

Sono certamente sospetti anche i Paesi che danno bandiera a questi assetti navali.

I costi mensili che si affrontano, compresi i soli costi di spedizione di noleggio di due droni – hanno anche dei droni ad alta tecnologia, dati in noleggio dalla Schiebel, un’azienda austriaca che produce questi apparecchi sofisticati, che svolgono attività di ricognizione, e quindi sono in grado di individuare in alto mare, ma a volte anche in territorio libico, i barconi che si trovano in acqua – ammontano a circa 400.000 euro. In questi costi non sono compresi, ovviamente, quelli per l’acquisto delle navi… Sto parlando dei costi mensili dell’ONG MOAS. Questi sono dati piuttosto approssimativi, ma che hanno un’approssimazione abbastanza affidabile.

Dicevo che cinque sono le ONG tedesche. Non voglio considerare Medici senza frontiere, che opera con due unità (la Bourbon Argos e Dignity I), e Save the Children, che opera con un’unità. Le altre sono due navi di una ONG spagnola, che prima si occupava anche di salvare i migranti siriani che tentavano di raggiungere l’isola greca di Lesbo partendo dalla Turchia. Adesso, operano tranquillamente nel Mediterraneo. La loro unità navale batte bandiera panamense. Una è di Malta. Non abbiamo, quindi, trovato ONG, né ci aspettavamo di trovarne, di nazionalità non europee. Non ci aspettavamo di trovarne, perché sarebbe stato ingenuo pensare che questo potesse avvenire. Queste unità navali, vi dicevo, a volte operano all’interno del territorio libico. In ogni caso, quasi sempre operano in acque internazionali, proprio nell’immediato confine del territorio libico. Se volete dei dati che vi diano un’idea del fenomeno, nel corso del 2016 – tenete conto che queste ONG hanno cominciato a operare in maniera così numerosa soltanto a partire dal mese di settembre-ottobre – circa il 30 per cento dei salvataggi i cui migranti siano poi approdati nel distretto catanese era da riferire a salvataggi effettuati dalle ONG. Questo 30 per cento si è prodotto soltanto negli ultimi quattro mesi del 2016. Nel corso del 2017, in cui c’è un proliferare di sbarchi veramente incredibile, abbiamo almeno il 50 per cento dei salvataggi effettuato da queste ONG.

Parallelamente a questo, registriamo un dato che ovviamente ci desta molta preoccupazione: i morti in mare nel corso del 2016 e del 2017 – parlo solo di dati ufficiali – hanno raggiunto un numero elevatissimo. Nel corso del 2016, mi risulta che oltre 5.000 persone, dati ufficiali, sarebbero morte in mare nel tentativo di entrare in Europa. Per quanto riguarda il nostro distretto, quello catanese, abbiamo più di 2.000 morti nel triennio 2013-2015, e questo numero di morti non accenna a diminuire. Vi ho detto che nel 2016 siamo arrivati a quella cifra.

Questo mi induce a ritenere che la presenza di queste organizzazioni, a prescindere dagli intenti per cui operano, non ha attenuato purtroppo il numero delle tragedie in mare. Sono convinto che i dati ufficiali di questi morti rispecchino soltanto in maniera molto approssimativa il dato effettivo delle tragedie che si verificano in alto mare.

Noi stiamo constatando che, effettivamente, i barconi su cui questi migranti vengono fatti salire sono sempre più inadeguati al loro scopo, sempre più inidonei. Le persone che si pongono alla guida di questi barconi sono sempre più inidonee. Ormai, non sono più appartenenti, sia pure a livello basso, all’organizzazione del traffico. Stiamo parlando di persone che vengono scelte all’ultimo momento tra gli stessi migranti, a cui viene data in mano una bussola, quando viene loro data, un telefono satellitare, quando viene loro dato, e si dice loro di seguire una determinata rotta, che tanto prima o poi è certo che – è quello che viene detto a loro – li soccorrerà una ONG.

Io sono convinto che, per quanto possano essere numerose quelle ONG, non riescano a coprire tutto l’intenso traffico che sta avvenendo in questo momento, dalle coste della Libia in particolare, il mio osservatorio principale.

Resta il fatto che coloro che hanno la fortuna di salire su queste unità navali affrontano il viaggio in condizioni certamente ottimali. Proprio ieri, sono sbarcati da noi, a Catania, circa 1000 migranti, che sono stati tratti in salvo dalla SOS Méditerranée: nel corso del viaggio, una delle migranti è riuscita a partorire felicemente un bimbo, quindi non c’è dubbio che quelli che riescono a essere salvati affrontano il viaggio in condizioni ottimali. Tuttavia, vi sono tutti gli altri, le cui speranze vengono alimentate dal fatto di poter contare sul salvataggio, che poi molte volte non si realizza. Che cosa comporta questo per quanto riguarda la nostra attività giudiziaria? I cosiddetti facilitatori, cioè le imbarcazioni che accompagnavano nei primi tratti delle acque internazionali questi barconi di migranti, oggi ci possiamo dimenticare di poterli identificare. Neanche ai facilitatori, quindi neanche a questo livello medio basso dell’organizzazione del traffico, riusciamo più ad arrivare, perché queste ONG indubbiamente hanno fatto venir meno quest’esigenza.

In un solo caso siamo riusciti, di recente, a individuare e trarre in arresto dei facilitatori, perché si è verificato un evento del tutto atipico: una clientela un po’ particolare, un po’ privilegiata, di siriani, molti dei quali, come sapete, dispongono di risorse economiche maggiori, era riuscita a ottenere un trasporto in condizioni migliori su un barcone che non ospitava un numero trasbordante di migranti. In quel caso, a quel barcone si affiancava – avendo pagato una certa cifra ed essendo una committenza un po’ particolare, potevano pretendere un po’ di più da questi organizzatori del traffico – un’unità navale di facilitatori. Il motore di quest’unità navale va in avaria e non si riesce a muovere. I migranti riescono a ottenere di non allontanarsi, come pure avrebbero potuto fare chiedendo aiuto agli altri organizzatori che navigavano lì vicino, perché appunto comunque sarebbero stati in difficoltà qualora non fossero stati accanto a loro, vicini, quelli che erano in grado di fornire loro indicazioni sulla rotta.

Questo ha consentito a una nostra unità della missione EUNVAFOR MED di intervenire e di trarli in arresto. Se, però, non si fosse verificato questo caso del tutto atipico con una committenza del tutto particolare, non l’avremmo potuto più fare, e infatti non riusciamo più a individuare neanche i cosiddetti facilitatori.

Quelli che riusciamo a prendere sono soltanto gli scafisti, ma l’indicazione che ho fornito, ovviamente dopo una consultazione con il gruppo di lavoro specializzato e avendo preso atto che coloro che si trovano alla guida erano né più né meno che migranti individuati a caso, è stata che non si doveva più richiedere alcuna misura cautelare nei loro confronti. La gravità della condotta loro ascrivibile sicuramente non era tale da giustificare questa misura, essendo da considerare migranti a tutti gli effetti, come gli alti, soltanto individuati per porsi al timone. In questo momento, quindi, registriamo una sorta di scacco che la presenza di queste ONG provoca nell’attività di contrasto al fenomeno degli organizzatori del traffico.

Sostanzialmente, questo è il dato oggettivo che vi rappresento. Che cosa si propone di fare il nostro ufficio? Non siamo abituati, infatti, a registrare un fenomeno senza cercare di individuare possibili strategie di contrasto.

Noi riteniamo ci si debba porre il problema di capire da dove provenga il denaro che alimenta, che finanzia questi costi elevati. Da questo punto di vista, la successiva fase della nostra indagine conoscitiva sarà quella di capire quali sono i canali di finanziamento.

Certo, ci rendiamo conto che la circostanza per cui alcune di queste ONG possono contare anche sulla donazione del 5 per mille detraibile fiscalmente anche in Italia, oltre che in altri Paesi, rende più difficile individuare in tutti i modi tutte le forme di finanziamento possibili. Ci rendiamo conto che il fatto che alcune di queste unità battano bandiera di Paesi non propriamente in prima fila per la collaborazione con le autorità giudiziarie, ci renderà più difficile questo compito.

Tuttavia, credo che questo compito debba essere svolto. La procura di Catania lo farà – ovviamente, abbiamo una sfera di competenza ben limitata – in relazione a quelle ONG che porteranno dei migranti del nostro distretto. Non ci potremo certamente estendere ad altri distretti. L’altra cosa che vogliamo cercare di capire è se da parte di queste ONG vi è comunque quella doverosa collaborazione che si deve prestare alle autorità di polizia e alle autorità giudiziarie al momento in cui si pongono in contatto con l’autorità giudiziaria italiana.

Come lei ricordava, presidente, già il fatto che venga disattesa l’applicazione della Convenzione di Ginevra e delle altre convenzioni internazionali che prevedono il soccorso in alto mare nella misura in cui non si approda nel porto più vicino, ma in quello che costituisce la meta intermedia agognata, quantomeno dei migranti, e cioè l’Italia, e la Sicilia in particolare, indubbiamente è un’anomalia che va registrata.

Se poi, come purtroppo registriamo in alcuni casi, questo scambio informativo, che io giudico assolutamente doveroso, non si realizza, e cioè non ci danno indicazioni su che cosa hanno potuto vedere in quel momento, se si rifiuta qualunque forma di collaborazione, questo è un punto che, laddove documentato, come non è sempre facile, darà luogo da parte del nostro ufficio a iniziative giudiziarie calibrate sul tipo di rifiuto, di non collaborazione che dobbiamo registrare. Allo stato, mi sento di dire questo per quanto riguarda la nostra indagine conoscitiva sulle ONG. Passo direttamente alle altre tematiche su cui lei mi sollecitava.

PRESIDENTE. Posso fare una piccolissima domanda? State anche valutando dove stanno le teste di queste organizzazioni? Avete anche acquisito informazioni relative proprio ai trafficanti?

CARMELO ZUCCARO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. Per quanto riguarda il MOAS, sappiamo che quelli che hanno finanziato questa ONG sono degli imprenditori italo-americani, Christopher e Regina Catrambone, i fondatori del MOAS. Sappiamo anche quali sono i loro principali sponsor, la stessa Schiebel, l’azienda austriaca che produce i droni di cui quest’organizzazione si avvale, Caritas Germany, Unique Maritime Group e così via. Sono i principali sponsor del MOAS.

Anche SOS Méditerranée, che si avvale in larga misura anche di personale di Medici senza frontiere, è stata ideata dall’ex ammiraglio della Marina tedesca Klaus Vogel, che appunto ha pensato di dar vita a questa ONG. Il Sea-Eye è di un imprenditore tedesco di Ratisbona. Per quanto riguarda l’unità navale Astral, uno yacht trasformato in vascello di salvataggio, utilizzato da Proactiva

Open Arms, l’organizzazione spagnola, risulta essere stata donata dall’imprenditore italiano Livio Lo Monaco. Ripeto che siamo a un primo livello conoscitivo. D’altra parte, è da poco che abbiamo iniziato quest’indagine, e quindi altri elementi in questo momento non sono in grado di fornirveli. Quello della tratta è un altro dei fenomeni criminali che abbiamo potuto constatare essere particolarmente consumato, perpetrato nel nostro territorio. Il fenomeno della tratta, soprattutto di ragazze minorenni provenienti dal centro Africa, è emerso in tutta evidenza nel corso del 2016, ma certamente già era stato avviato negli anni precedenti. Abbiamo deciso, infatti, di dedicarvi un gruppo di lavoro specializzato, che, avvalendosi della dedizione di una collega del mio ufficio, la dottoressa Lina Trovato, sta facendo emergere numerose situazioni di illegalità.

In questo caso, abbiamo potuto intercettare, almeno per la parte che riguarda delle conversazioni che interessano il territorio italiano, che però partono dai Paesi di origine, la programmazione di questo traffico. Sostanzialmente, sin dall’inizio le famiglie sono indotte, attraverso determinate promesse di una migliore vita per le loro figlie, a consegnare agli organizzatori di questo traffico le ragazze, spesso minorenni, alle quali viene consentito di viaggiare senza sopportare alcun costo per tale viaggio, ma già durante il viaggio debbono subire dei trattamenti che servono ad affermare la volontà sopraffattrice degli organizzatori del traffico. Sono costrette, quindi, a subire già prestazioni sessuali non volute e condizioni di trasporto molto disagiate.

Quando arrivano nelle connection house – anche loro ci passano, il tragitto che percorrono è uguale per tutti i migranti normali, oltre che per loro – vengono sottoposte ancora una volta a vessazioni. Quelle più recalcitranti vengono sottoposte a riti magici, allo juju, una forma di vudù specifica del territorio centroafricano, che secondo loro serve ad annientare la volontà di resistenza di queste vittime, e purtroppo molte volte l’effetto psicologico si produce realmente.

Sappiamo di alcune modalità di questo rito, perché vi è sempre un’inventiva particolare da parte di questi organizzatori, che adesso prevede l’utilizzo di alcuni oggetti particolari per rafforzare l’assoggettamento delle vittime di questo traffico. Quando giungono in Italia, vengono prese in carico dalle maman che operano nel nostro territorio, sempre della stessa nazionalità delle vittime designate del traffico. Sono persone che, dopo aver estinto il loro debito attraverso le prestazioni sessuali, godono di una limitata sfera di autonomia e si mettono a gestire i nuovi arrivi, ovviamente partecipando ad una parte dei proventi di questo traffico.

Il traffico quindi è gestito in questo caso interamente da organizzazioni straniere, non ci risulta (sul punto abbiamo condotto numerose indagini, quindi riteniamo di avere una conoscenza del fenomeno oggi abbastanza completa) il coinvolgimento di elementi appartenenti a organizzazioni mafiose locali.

Per quanto riguarda queste persone, noi riusciamo in alcuni casi ad ottenerne la collaborazione, e in questo caso riusciamo a risalire a tutti gli anelli della catena, almeno fino a coloro che operano nei Paesi di origine di queste persone, però spesso queste persone dimostrano una volontà non collaborativa, anche perché si spaventano non solo del fatto di essere state sottoposte al rito vudù, ma anche delle ritorsioni che possono essere poste in essere sulle loro famiglie nei Paesi d’origine, perché molte di loro lasciano i loro familiari nel territorio di origine.

La percentuale di collaborazione è comunque significativa, soprattutto se paragonata alla collaborazione che ci offrono molte vittime di estorsione nel nostro territorio catanese, ma tuttavia sarebbe auspicabile che possa essere ancora superiore.

Per quanto riguarda il coinvolgimento delle organizzazioni criminali locali nel traffico dei migranti, abbiamo detto che per quanto riguarda le tratte non ci risulta, per quanto riguarda invece l’organizzazione del traffico, a parte il fatto che oggi abbiamo questi dati che sono incompleti e

insufficienti a causa della modalità con cui questo traffico avviene, non ci risulta un coinvolgimento di organizzazioni criminali catanesi o comunque operanti nel nostro distretto (parlo del circondario delle procure di Catania, di Siracusa, di Ragusa e di Caltagirone) in questo traffico, se non per fenomeni che pure sono presenti, ma il coinvolgimento delle organizzazioni è marginale, nello sfruttamento del caporalato.

Lì in alcuni casi abbiamo visto che tra gli intermediari per la messa a disposizione di migranti a soggetti che li utilizzano nelle campagne ovviamente in condizioni di sfruttamento palese le attività di mediazione ci risultano essere state svolte da soggetti che appartengono a organizzazioni mafiose locali, ma – ripeto – è un fenomeno marginale, almeno in base ai dati di cui disponiamo. Per quanto riguarda il resto, invece, quello che abbiamo potuto constatare dalle indagini che abbiamo compiuto è il grosso interesse che hanno le organizzazioni criminali locali, anche quelle di tipo mafioso, a intercettare il flusso di denaro che si muove intorno ai centri di assistenza dei richiedenti asilo, della prima accoglienza, flusso di denaro che è particolarmente cospicuo e interessante e, siccome queste organizzazioni mafiose sono abituate a intercettare tutte le risorse economiche più ingenti, è ovvio che anche a questo fenomeno non sono rimaste indifferenti. Nell’indagine che abbiamo compiuto in relazione alla vicenda del CARA di Mineo abbiamo potuto vedere che queste organizzazioni quantomeno hanno preteso l’utilizzazione di imprenditori a loro vicini o comunque a loro collegati, per ottenere l’appalto di alcuni servizi da parte delle cooperative che gestiscono il CARA di Mineo.

Questo è sicuramente un coinvolgimento delle organizzazioni mafiose molto più interessante dal punto di vista dei profitti di quello che si può ricavare in altro modo da questi migranti, ma su questo punto mi sono soffermato già in altra sede parlamentare nell’illustrare la vicenda del CARA di Mineo e quindi, salvo che non vi sia un interesse particolare, farei rimando a quel verbale.

Credo di aver dato indicazioni in ordine ai vari punti che lei mi segnalava, salvo quello del terrorismo. Per quanto riguarda il terrorismo, le indicazioni che nascono dalle nostre indagini sono quelle per cui effettivamente alcuni dei soggetti che giungono nei nostri territori sembrano già in qualche modo radicalizzati, nel senso che quando abbiamo potuto sequestrare dei telefonini o della documentazione in loro possesso alcuni di loro avevano video e immagini che riprendevano scritti e parole d’ordine che sono propri dell’Isis o Daesh.

In questo caso ovviamente siamo intervenuti e abbiamo aperto dei procedimenti nei loro confronti, però si tratta di casi isolati. Il più delle volte abbiamo potuto constatare invece un fenomeno di radicalizzazione successiva all’ingresso in Italia di questi migranti. Lo registriamo nell’ambito della popolazione carceraria, da cui indubbiamente ci giungono segnalazioni molto concrete di fenomeni di reclutamento, di radicalizzazione che vedono come promotori alcuni di questi migranti tratti in arresto perché ovviamente dediti ad attività illecite, che a loro volta cercano di fare proselitismo all’interno delle carceri.

Questo è un fenomeno che almeno nelle due carceri di Catania è piuttosto sviluppato. L’altro fenomeno di radicalizzazione lo registriamo in quei centri in cui viene utilizzata la manodopera dei migranti nelle attività agricole delle serre, e mi riferisco soprattutto al territorio del ragusano, dove vi sono diverse le serre in cui vengono utilizzati i migranti, e alcuni di loro ci risultano aver avuto contatti con soggetti che poi sono risultati più o meno collegati con organizzazioni terroristiche. Riteniamo (ma sul punto non abbiamo indicazioni documentali certe) che una parte dei proventi del traffico di migranti clandestini finisca nelle mani di soggetti che hanno delle organizzazioni militari o paramilitari, e tra queste non si possono escludere organizzazioni collegate con il mondo del terrorismo, ma, mentre di quello che vi ho detto prima abbiamo una contezza documentale, di questo fenomeno invece abbiamo soltanto delle indicazioni a livello indiziario.

PRESIDENTE. Grazie infinite, procuratore, la sua relazione è davvero illuminante. Cedo la parola all’onorevole Frusone del Movimento 5 Stelle.

LUCA FRUSONE. Grazie, presidente. Ringrazio anche i nostri ospiti per queste informazioni molto interessanti e molto puntuali. Ci avete dato una mano anche a mettere a regime determinate informazioni che venivano da fuori e avete anche dimostrato che questo aspetto per quanto riguarda le ONG era comunque già sott’occhio da parte della procura e che sono già state fatte indagini. Mentre per quanto riguarda la questione delle ONG tutto mi è stato piuttosto chiaro e, anche leggendo alcuni articoli su quei famosi rapporti Frontex, mi era chiaro, sulla questione delle morti, laddove abbiamo visto che sono aumentate anche perché è diminuita le qualità delle imbarcazioni, mi chiedevo – è una mia curiosità per capire ancora meglio questo aspetto delle ONG – rispetto ai luoghi se questi naufragi siano molto vicini, se siano nelle acque territoriali libiche, al confine o ci siano stati casi in cui hanno superato questo cosiddetto «blocco navale» delle ONG e quindi abbiamo avuto delle tragedie al di fuori di questo cordone che si è creato con il tempo. Questo potrebbe essere un dato utile per capire se vi sia una correlazione, se vi sia veramente questa comunicazione da terra alle ONG, che, se qualcuno scappa, forse non funziona bene. Avevo solamente questa curiosità, perché su tutto il resto è stato molto chiaro e la ringrazio.

PAOLO ARRIGONI. Grazie, procuratore, per questa importante audizione. La procura di Catania che lei dirige ha avviato questa indagine conoscitiva, ci risulta che anche Frontex a dicembre abbia accusato queste organizzazioni umanitarie di svolgere queste attività poco chiare, quindi volevo sapere se da parte della sua procura ci sia una collaborazione con i funzionari di Frontex…

PRESIDENTE. Della nuova Frontex …

PAOLO ARRIGONI. Sì, esatto. Lei ha parlato dell’operazione navale Eunavfor Med, ma non ha citato Triton, che ritengo sia ancora vigente come operazione navale. Lei ha parlato di percentuali di attività di soccorso svolte da queste ONG che stanno crescendo: il 30 per cento, nonostante abbia operato solo nel terzo quadrimestre 2016; il 50 per cento in questi due mesi e mezzo da inizio anno. Ma come avviene la distribuzione delle operazioni di salvataggio? Non ci dovrebbe essere una centrale operativa che raccoglie i segnali di soccorso? Vorrei capire come avviene l’attribuzione delle operazioni di salvataggio, posto che ci sono le navi di Triton, le navi della Guardia costiera e queste ONG. Si è innescata una sorta di competizione? Alla luce di queste criticità, mi domando se le indicazioni da qui in avanti non debbano essere rivolte alle navi che fanno parte dell’operazione Triton.

In ordine alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, lei ha citato che potrebbero essere attuate delle violazioni di questa convenzione da parte delle ONG, visto che, fatto il soccorso al limite delle acque territoriali libiche, anziché portare i migranti salvati a Zarzis, vengono a portarli in Sicilia. Non ricorrono gli estremi per aprire già qui un’inchiesta giudiziaria?

Sulle donne e la nazionalità di provenienza, c’è solo la Nigeria oppure ce ne sono altre? I clienti sono principalmente immigrati oppure italiani?

Infine, gli interessi delle organizzazioni criminali locali. Lei ha detto che ci sono degli interessi per quanto riguarda i servizi afferenti ai centri di prima accoglienza. Le risulta, se c’è collaborazione con altre procure italiane, dove sia stato verificato un interesse particolare di organizzazioni criminali nella gestione dei centri di prima accoglienza o per subappalti o anche per la gestione dei centri di accoglienza straordinaria, che rappresentano, fatto 100 il sistema di accoglienza, l’80 per cento, posto che il 20 per cento è afferente a strutture governative o a posti SPRAR? Grazie.

GIORGIO BRANDOLIN. Anch’io la ringrazio. Sono turbato dalle informazioni che ci ha dato, anche se quel video, che ho ricevuto anch’io da un amico della Lega del Friuli, che era fatto bene e sembra molto preciso, in particolare dal punto di vista tecnico e tecnologico, mi aveva aperto gli occhi su questo.

La prima domanda, che riguarda la collaborazione con altre procure, l’ha già fatta il mio collega. Volevo capire anch’io se rispetto a questa particolarità di questo lavoro che le ONG stanno facendo negli ultimi cinque o sei mesi stiate monitorando con precisione e con puntualità, se venga fatto da altre procure e se vi sia un coordinamento anche a livello nazionale con il Ministero.

La seconda domanda è stata già posta dal collega Arrigoni. Noi avevamo capito che nelle varie strutture di salvataggio che nel tempo hanno operato da Mare Nostrum in poi vi fosse una centrale operativa nel Lazio, che «distribuisse» gli interventi scegliendo chi dovesse andare in un posto, se una nave, un elicottero, un sottomarino (tutte le cose che abbiamo sentito dal comandante di questa struttura). Le ONG fanno parte di questo pacchetto di navi e di strutture che vengono pilotate, organizzate, indirizzate da questo comando o operano autonomamente? Altrimenti non capisco come mai si sia passati dal 30 per cento di immigrati salvati negli ultimi due mesi addirittura al 50 per cento, sembra quasi che si faccia a gara a chi salva di più (forse sto usando dei termini impropri), mentre il vostro comando mi sembrava preciso e puntuale nel fornire una serie di indicazioni precise e puntuali, per cui era tutto sotto controllo da Roma.

Sul discorso dei finanziatori lei ha fatto dei nomi che non conosco, i soldi mi sembrano tanti, quindi lei come interpreta questo fenomeno? Dal punto di vista umanitario, sociale e forse anche politico c’è una volontà di creare «corridoi sicuri» per portare questi migranti della Libia in Italia, anche se i morti sono migliaia o c’è qualcos’altro?

Non so se è una domanda che posso fare o un’informazione che posso avere, ma abbiamo discusso tanto su come intervenire su un fenomeno che ovviamente è strutturale e non emergenziale, se fare questi corridoi soltanto sulla terraferma in Africa o anche via mare, quindi questa è una domanda che pongo per capire se queste ONG abbiano un preciso obiettivo umanitario o, come qualcuno insinua, un obiettivo di altro tipo.

Quale idea vi siete fatti attraverso questa vostra attività, se posso fare questa domanda?

CARMELO ZUCCARO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. Vi sono veramente grato perché sono alcune cose che vanno messe a punto anche nel mio discorso, scendendo nel concreto su problematiche specifiche, e con queste domande mi date l’occasione di farlo.

Dove avvengono questi naufragi? Il punto è questo: un tempo noi registravamo i naufragi (quando vi ho fornito il dato di oltre 2.000 morti verificatesi nel distretto catanese tra il 2013 e il 2015 mi riferivo a quello) in alto mare, ma comunque in zone ben controllate dagli assetti navali (Mare Nostrum e Mare Sicuro), e lì sì che possiamo disporre di dati attendibili.

Si trattava quindi di naufragi vicino alle nostre acque territoriali, anche se ancora in acque internazionali, naufragi che hanno colpito maggiormente l’opinione pubblica, perché per esempio quello che si è registrato nel corso del 2015 con circa 800 morti al largo del territorio catanese, ma sempre nelle acque internazionali, ha scosso le nostre coscienze ed è stato deciso dal Governo di compiere un’azione umanitaria di recupero del relitto.

Il punto è che oggi di questi naufragi non abbiamo documentazione, perché noi li ricaviamo indirettamente dal fatto che le persone che salviamo ci parlano di persone con cui viaggiavano che sono morte e ci raccontano dei naufragi avvenuti, ma questo ce lo dicono quelli che sono riusciti a scampare alla morte e sono stati soccorsi.

Abbiamo ragione di ritenere fondatamente che, laddove invece il naufragio si sia verificato in maniera totale, perché l’intervento non è stato tempestivo, purtroppo non avremo mai notizia del numero di persone coinvolte, e quello che ci preoccupa è che non ci sono viaggi con meno di 500-600 persone, quindi ogni volta perdiamo un dato su circa 500 persone che non ce l’hanno fatta. Questo mi induce a ritenere che i dati ufficiali di cui disponiamo siano largamente insufficienti.

Con Frontex, che pure ha segnalato questo come un fenomeno preoccupante, noi abbiamo da tempo avviato un rapporto di proficua collaborazione. A Catania opera una sede di Frontex perché, dato il fenomeno particolarmente diffuso di sbarchi nel nostro distretto e il particolare impegno che la nostra procura ha voluto riservare al contrasto di questo fenomeno, è stato ritenuto da Frontex utile poter agire interfacciandosi con la procura di Catania.

La riflessione sul fenomeno, che poi è stata esternata da Frontex nel dicembre di quest’anno, è una riflessione che è comune alla nostra procura, a Frontex e anche agli operatori di Eunavfor Med, perché il fenomeno ovviamente lo abbiamo registrato tutti e tutti ci siamo posti le stesse domande sulle ragioni che hanno fatto nascere questo fenomeno.

La collaborazione quindi con Frontex, nei limiti in cui oggi può essere, è sicuramente totale, l’abbiamo avuta anche perché per lungo tempo ha operato a Catania un magistrato di collegamento della Gran Bretagna, che ha ritenuto di dovere aprire un ufficio a Catania per poter dialogare con la nostra procura, in modo da scambiare informazioni sulle correnti di traffico che riguardavano Paesi di interesse della Gran Bretagna.

Il punto è che oggi noi disponiamo di tante informazioni che attengono a quello che avviene nei Paesi di origine, ma non disponiamo di informazioni processualmente utilizzabili, da spendere per perseguire determinati soggetti. Questo Frontex non è in condizione di darcelo, come non è in condizione di darcelo nessuna delle missioni navali che sta operando. Io ho citato soprattutto Eunavfor Med perché, dato lo specchio di mare attenzionato da questa missione, il Mediterraneo centrale (come sapete, ciascuna di queste missioni si è ripartita una fetta del mare e del territorio), abbiamo maggiore possibilità di contatti con i vertici di Eunavfor Med, a volte ci giungono indicazioni dagli operatori di Mare Sicuro, ma la maggior parte delle indicazioni e della nostra collaborazione è con Eunavfor Med.

Mi è stato chiesto come funzioni il sistema della richiesta di soccorso e di distribuzione del salvataggio, cosa che può fornire qualche risposta sui collegamenti tra queste organizzazioni e gli organizzatori del traffico. Da una parte vi è da dire che le ONG sono quasi sempre più vicine al luogo del soccorso di qualsiasi altro peschereccio o imbarcazione che si trovi a operare nel Mediterraneo, il che è facilmente comprensibile perché lo scopo delle ONG è proprio quello di andarli a cercare, mentre gli altri natanti hanno ben altro tipo di scopo (vanno a pescare o a svolgere altre attività commerciali).

Poiché la zona interessata è facilmente individuabile, è evidente che le unità navali delle ONG si trovano prima e, siccome il principio che si segue quando viene compulsata la centrale operativa operante nel Lazio è quello della nave più vicina al luogo in cui si verifica l’emergenza, è evidente che le ONG avranno sempre un vantaggio rispetto alle altre unità navali, che tra l’altro neanche cercano questo vantaggio, perché si tratta di essere distolte dalla loro attività e quindi di subire anche dei danni economici.

GIORGIO BRANDOLIN. (fuori microfono) I militari no …

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CARMELO ZUCCARO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. Le unità navali, come dicevo all’inizio, stanno cercando di arretrare il loro fronte perché la loro missione principale non è il salvataggio. Eunavfor Med non viene infatti creata dall’Unione europea per il salvataggio, ma viene creata per contrastare e, se operassero a ridosso, non potrebbero operare il contrasto, quindi hanno arretrato rispetto all’iniziale assetto delle loro navi. Le ONG invece avanzano. Il discorso è un altro: sono convinto che non sempre comunque sia stata la centrale operativa a chiamare le ONG. Io ritengo che poiché i punti di contatto con le ONG si desumono anche dalle fonti aperte – se andiamo su internet, possiamo riuscire a reperire anche numeri di telefono e punti di contatto di queste ONG – come si fa ad escludere che siano state chiamate direttamente?

_________. (fuori microfono) … è stato provato?

CARMELO ZUCCARO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. Ecco, questo è il punto. Questo non è stato provato, ma non è stato neanche escluso. Quello che è provato è che certamente quando vengono chiamate le ONG sono sempre più vicine. Quello che noi cerchiamo adesso di comprendere – questo è uno dei punti che stiamo cercando di comprendere, per questo dico che è molto interessante la questione che avete sollevato – è proprio questo. C’è probabilmente da indagare sul fatto che qualche volta questo contatto possa non essere stato mediato dalla centrale operativa.

Vedete, sul punto, sembra facile poterlo accertare, ma è tutt’altro che facile. Lo dico perché se qualcuno chiama prima una ONG e l’ONG interviene e poi ci si mette al sicuro chiamando anche la centrale operativa, io non saprò mai esattamente qual è stato il primo contatto, perché ovviamente non ho sotto controllo i telefoni che vengono chiamati. Quindi, è oggetto di una nostra indagine, ma non è facile riuscire ad accertarlo, eppure varrebbe la pena di farlo perché questo ci darebbe indicazione non necessariamente – attenzione – di un coinvolgimento, ma del fatto che effettivamente la possibilità di accedere facilmente, attraverso la consultazione di internet, a questi punti di contatto fa scattare un collegamento di fatto, obiettivo, tra gli organizzatori del traffico e queste ONG.

Intanto, sui centri di accoglienza mi si chiedeva circa la collaborazione con altre autorità giudiziarie sui fenomeni di malaffare che si sono verificati in relazione alla gestione di questi centri di accoglienza. Noi abbiamo una collaborazione e un coordinamento molto intenso con la Procura di Caltagirone, li abbiamo avuti in relazione all’indagine che riguarda il CARA di Mineo. Abbiamo scambi di informazioni, che non sono, però, coordinamenti investigativi con altre procure della Sicilia, che pure ci segnalano episodi di mala gestio e di ingerenze illecite nell’assegnazione degli appalti. Sul punto non posso dire altro perché ovviamente si tratterebbe di parlare di materiale che riguarda altre autorità giudiziarie.

Per quanto riguarda la cooperazione con altre procure nella indagine sulle ONG, siamo consapevoli del fatto che certamente la procura di Palermo e di Cagliari, che ne hanno dato indicazione specifica, ma forse anche altre procure stanno svolgendo un’attività conoscitiva in tal senso. Qui non si può parlare di un vero e proprio coordinamento di indagini perché ancora una notizia di reato non l’abbiamo e quindi non abbiamo potuto attivare il meccanismo previsto dal 371 del codice di procedura penale. Tuttavia, vi è questa consapevolezza reciproca che si sta cercando tutti insieme di capire qual è il fenomeno. Quando, invece, dovessi arrivare a poter iscrivere un fascicolo giudiziario al registro delle notizie di reato (noti o ignoti poi lo si vedrà) a quel punto è chiaro che si solleciterà – anche la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che svolge una funzione di coordinamento anche in questo campo veramente molto importante – una riunione di coordinamento con la Direzione, cosa che ora mi sembra però prematuro fare.

Vengo al discorso della volontà di creare corridoi sicuri. Qual è la volontà che anima le ONG? Noi abbiamo ovviamente fatto un ventaglio di ipotesi. Si può partire da quella peggiore, che è quella di un consapevole accordo che sarebbe potuto intercorrere tra le ONG e queste organizzazioni. Questa, che è l’ipotesi sicuramente peggiore, non dà al momento alcun riscontro, ma è ovvio che ci lavoriamo.

La volontà di creare corridoi sicuri è certamente un dato oggettivo. Loro stanno creando oggi un corridoio che consente un accesso in Italia, che sicuramente è del tutto anomalo, perché siamo interessati da correnti di traffico che certamente non ci sarebbero state se le ONG non avessero creato questi corridoi. Allora, io mi chiedo, ma sicuramente ve lo chiederete voi prima di me, perché è il vostro compito: è consentito a delle organizzazioni private di sostituirsi alle forze politiche e alle volontà delle nazioni nel creare questi corridoi e nello scegliere le modalità per creare questi corridoi? È consentito che siano loro a sostituirsi agli Stati? Io credo che questo sia un problema di carattere politico che voi vi dovete porre. Il problema che mi pongo è il seguente: questi soggetti, a prescindere dal fatto che ancora non ci risulta e probabilmente non perseguiranno profitti privati, si rendono comunque responsabili del reato quantomeno di cui all’articolo 12 della cosiddetta «Bossi-Fini» oppure no? Per questo vi dico che non appena si verificherà un caso che mi dia la possibilità di farlo, su questo aprirò un’indagine, perché evidentemente si può dubitare del fatto che sia lecito scegliere comunque il porto di approdo e portare in Italia dei migranti che non dovrebbero finire in Italia. Questo è il dato oggettivo che io debbo in questo momento certificare. Non so se tu, Andrea, su questo punto disponi di dati maggiori.

PRESIDENTE. Prego.

ANDREA BONOMO, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. Il procuratore ha già detto benissimo tutto.

PRESIDENTE. Scusi, posso presentarla? Tra l’altro, l’avremmo ovviamente ringraziata della presenza. Lei è il dottor Andrea Bonomo, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. [interruzione audio]

ANDREA BONOMO, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. Ormai ne faccio parte dal 2013, da quando appunto la tratta era dall’Egitto, come ha detto il procuratore. Da sempre, prima il procuratore Salvi, ora il procuratore Zuccaro, abbiamo cercato di colpire, come anche prima chiedeva la presidente, i capi delle organizzazioni.

Per rispondere anche alla domanda che lei faceva prima, sì, noi nel tempo – con l’Egitto soprattutto, quindi nel primo periodo – abbiamo anche individuato dei veri e propri capi di queste organizzazioni, abbiamo ottenuto degli ordini di custodia cautelare e la richiesta del Ministro della giustizia di estradizione. Purtroppo, la nostra opera si è fermata lì, perché – come ricordava il procuratore – l’Egitto si è rifiutato di estradare in Italia e quindi di rendere disponibili in Italia questi soggetti.

Poi abbiamo verificato ulteriori tratte. Quella dalla Turchia, che oggi ha avuto un decremento e che è rimasto un fenomeno marginale, di nicchia, di pochi siriani che con le barche a vela arrivano fino alle nostre coste; e poi il fenomeno dalla Libia, che è quello preponderante, che assorbe più del 90 per cento. Quello che vorrei dire del fenomeno dalla Libia è che oggi partono con dei gommoni cinesi e abbiamo registrato morti che avvengono durante il salvataggio, perché sono talmente stretti che appena si muovono si schiacciano l’un l’altro. Molte morti avvengono dentro il gommone per schiacciamento; alcuni sono affogati dentro lo stesso gommone che imbarcava acqua, quindi schiacciati affogano dentro il gommone, addirittura. Questo è registrato con autopsie, parlo di dati certificati. Quindi, i morti sono aumentati e certamente c’è un dato…

PRESIDENTE. Scusi, avete anche indagato su chi mette a disposizione questi gommoni?

ANDREA BONOMO, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. I gommoni di fabbricazione cinese non sappiamo… sono in Libia, naturalmente tutto ciò accade in Libia, quindi non abbiamo possibilità di sapere come se li procurano. Sicuramente hanno un costo bassissimo e questi gommoni sono molto insicuri.

Il fenomeno che è cambiato rispetto agli altri anni, e in coincidenza anche con la presenza delle ONG (senza volere creare una necessaria relazione), è che mentre nei mesi di dicembre, gennaio, febbraio, negli anni precedenti le partenze diminuivano moltissimo, in questi anni invece vi sono state moltissime partenze a novembre e dicembre, con 150 persone su un gommone che ne potrebbe contenere 10. Perché? Evidentemente la prospettiva è di percorrere un tratto di mare minore: lo dicono questi migranti, è evidente, si sa. Vengono messi alla guida un ghanese di venti anni… Per capirci, quelli che troviamo come driver, come vengono chiamati, di questi gommoni, parliamo di ragazzini 18, 19, 20 anni che hanno uno spessore criminale…

Da qui la circolare del procuratore, con la condivisione di tutto l’ufficio, di non procedere ai fermi e alle misure cautelari e di ingolfare ulteriormente la macchina della giustizia per processare un diciottenne ghanese al quale viene detto, cinque minuti prima della partenza, «guida il gommone fino a dove vedi le luci». Queste navi delle ONG hanno dei potentissimi fari – c’è anche da dire questo – e si vedono a miglia di distanza. Considerato che si mettono a poco più di 12 miglia dalla costa libica, capirete quanto è facile il tragitto.

Questo porta a partire anche con condizioni di mare forza 4, forza 5. In quelle condizioni, in realtà, questa operazione di fatto – senza voler attribuire responsabilità – certamente ha portato anche a un aumento del numero delle morti, in parallelo all’aumento delle partenze. Ecco, questo è un dato, per rispondere a quanto veniva chiesto prima.

Ora, i naufragi sono avvenuti sia dentro le acque libiche che al confine; alcuni casi rari ci sono stati anche di morti al di là, perché naturalmente il mare è molto grande, il tratto di mare è grande e gli eventi cambiano. Anche il numero delle ONG in mare è mutato; siamo arrivati da 11-12 navi a un periodo in cui ve ne erano 2-3 e sono aumentate di nuovo in questo periodo, anche perché magari ogni tanto vanno in porto, per manutenzione eccetera.

Da questo punto di vista, non posso che confermare il dato assolutamente preoccupante e il fatto che con la Libia anche in passato abbiamo fatto delle indagini anche tecniche, con intercettazioni, con testimonianze, per cercare di ricostruire il quadro complessivo. È sempre stato l’obiettivo che ci siamo proposti quello di colpire gli organizzatori, le associazioni, non il singolo, non il ghanese che guida il gommone, che interessa poco dal punto di vista dello spessore criminale.

Abbiamo raccolto anche dei dati, con nomi, numeri di telefono, dati molto rilevanti anche rispetto a organizzazioni operanti in Libia, lì naturalmente poi ci siamo dovuti fermare perché c’è un profilo di collaborazione con uno Stato… ci sono dei problemi politici nei rapporti con la Libia che non sto qui a dire perché immagino che li conosciate meglio di me. Da questo punto di vista, non so se il procuratore…

CARMELO ZUCCARO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. Restava un’ultima domanda a cui dovevamo dare risposta, che era quella della nazionalità dei soggetti che sono vittime della tratta. Nigeriani in gran parte, comunque del centro Africa quasi tutti.

Per quanto riguarda la clientela, è clientela locale. I clienti sono ovviamente del nostro territorio, non vi è un’organizzazione alle spalle che non sia quella del Paese di origine di queste donne. Il fenomeno a Catania ha assunto una dimensione talmente vasta, anche in ore pomeridiane e in zone della città abbastanza trafficate, centrali, che da parte dell’amministrazione comunale catanese è al varo un’ordinanza, previa interlocuzione anche con l’autorità giudiziaria, che vuole colpire e sanzionare il cliente che si ferma – creando condizioni di traffico e situazioni di pericolo alla circolazione – e si intrattiene a parlare con queste persone.

PRESIDENTE. Procuratore, accetta che le si faccia ancora una domanda?

CARMELO ZUCCARO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. Certo.

PAOLO ARRIGONI. Prima ho fatto una domanda, se queste ONG violano la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare in ordine al portare queste persone sulle nostre coste anziché su porti più vicini.

CARMELO ZUCCARO, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania. Chiarisco il mio pensiero. Intanto possiamo ritenere che vi sia un coinvolgimento, quindi un articolo 12 come reato da contestare, in quanto si parta dal presupposto che quindi non si sia agito nel rispetto delle convenzioni che prevedono il salvataggio in alto mare, perché di per sé la violazione della Convenzione non è sanzionata penalmente. Quindi, noi possiamo ritenere che vi sia una rilevanza penale nell’agire, se riteniamo che non si è agito come fanno le navi militari, i pescherecci eccetera che vengono chiamati in quanto hanno operato in una situazione di necessità e attenendosi alle indicazioni che vengono fornite dalle centrali operative, ma invece si opera agendo al di là di questi limiti posti dalle convenzioni.

In quel caso quale reato si potrebbe configurare? Penso che possa essere l’articolo 12. Ovviamente dobbiamo prima verificare l’esistenza di questi presupposti, di questi requisiti, e questo certamente cerchiamo di farlo. Ripeto, non credo che questa sia la soluzione del problema. Proprio in questo campo, purtroppo, il livello giudiziario di risposta ha dei confini e dei limiti molto precisi. Però, il resto – ed è per questo che sono ben lieto di essere venuto in questa sede – è una responsabilità credo vostra.

PRESIDENTE. Grazie infinite. Ringrazio il dottor Zuccaro, il dottor Bonomo e i colleghi presenti. Dichiaro conclusa l’audizione.

La seduta termina alle 10.20.

 

Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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Una risposta a Audizione del procuratore di Catania, CARMELO ZUCCARO

  1. Fabrizio scrive:

    Finché ci sono soldi a disposizione e la libertà di partire ci sarà sempre qualcuno che offrirà il passaggio. Il problema si contrasta stabilendo basi militari in Libia che provvedano a identificare i rifugiati per farli partire in modalità sicura e bloccare il viaggio degli altri.

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