Dopo oltre mezzo secolo di decadenza, stragi, tradimenti, ladrocini trasversali, non si può più fingere. Caligola nominò senatore Incitatus, Impetuoso, il suo cavallo preferito. I borghesucci italiani emanano cadaverina. Oggi la scelta è fra somari e iene: politici, giornalisti, imprenditori, ammiragli, generali (più o meno trotskisti), un’intera classe dirigente e i loro lacchè. Si va così verso un atroce scoppio di violenza.
Il totale silenzio degli interlocutori ebrei ha accolto il secondo articolo su S.S. Pio XII. Tacciono pure due (ex?) amici generosi di contumelie; poco male. Li aspetto alla prossima ondata di calunnie contro S.S. Pio XII. Un’amica(?) ebrea, Paola Farina, sottrattasi ripetutamente alla discussione, all’ennesima insistenza risponde: «A me Pio XII sta sui c…», un manifesto sionista, ricco di significati. Eppure costei sa quanto l’antisemitismo diventi refrattario a ogni civile contromisura proprio grazie a odio e falsità, sparsi anche da parte ebraica, dalla sua gente, da lei stessa in questo caso.
Noi cattolici godiamoci il pesante e stupendo vantaggio di non mentire e non odiare, costi quel che costi, neppure quando ci oltraggiano. È questa, dopo tutto, la radice della civiltà. Mi domando quando lo comprenderà Sergio Nicolò Gebbia, generale dei carabinieri, comunista. Merita d’essere citato perché è solo lui con Paola Farina dopotutto a parlarmi chiaro. Egli fu ottimo investigatore, oggi svelandosi soi disant comunista trotskista. Da pensionato è brillante scrittore di gialli e mi perdonerà se dubito abbia letto un rigo di Trotzki oltre Wikipedia e il manuale di filosofia al liceo. Mi sollecitò ripetutamente il secondo articolo su S.S. Pio XII. Glielo inviai con una quantità di documenti. Rispose su Facebook: «Di recente ho fatto amicizia con Piero Laporta, attivo sul web molto più di me. Siamo già prossimi al divorzio per motivi religiosi, perché io a Sarajevo sono diventato ortodosso mentre lui è un integralista cattolico ed ha in corso una crociata per rifare l’immagine di Papa Pio XII, screditata nel mondo occidentale per una certa sua acquiescenza al nazismo, per una non provata indifferenza allo sterminio degli ebrei, e per il ruolo avuto nell’organizzazione Odessa che, finita la guerra, riuscì a salvare tanti nazisti in accoglienti paesi del Sudamerica, principalmente il Paraguay e l’Argentina del generale Peron. Secondo lui sono tutte, ed integralmente, falsità. Vuole costringermi a leggere le sue controdeduzioni, asseritamente suffragate da prove documentali, mentre io, pur avendoci provato, mi sono fermato dopo poche righe». Integralista? Crociata? S.S. Pio XII nella rete Odessa? Un investigatore, vocato all’oggettività, soi disant comunista trotskista, inanella sciocchezze, dopo avermi più volte sollecitato l’articolo. Perché dovrei litigare, com’egli paventa, se si è «fermato dopo poche righe»? Son certo sia in grado di leggermi più attentamente e persino imparare qualcosa sulla punteggiatura. Lo invito a riflettere su quanto possa pesare la sua personale decadenza narcisa, vanamente sublimata di trotskismo, con gli sfasci che l’Arma palesa da tempo e sempre più intensamente. Il soi disant comunista trotskista indagava su avversari politici e ne mena sconcio vanto sbirresco. Aspetto, dunque. Egli mi dà tuttavia agio di rammentare la sagacia d’un vecchio proverbio cattolico: esiste l’«ottavo sacramento», l’ignoranza, a salvare tutti, anche i più pervicaci. Costoro non hanno bisogno della “virtute” né della “conoscenza”; basta l’ideologia a supplire al cervello.
Sono molto grato a questi miei fedeli amici, offrendomi la foto dell’odierna media borghesia, incapace di lavar via ideologismi sessantottardi (antisionista, anticattolico, anticomunista, antifascista (trotskista?), anti omofobia, anti qualcosa purché sia), producendo cadaverina: infiammabile, putrescente, effimera quanto tossica. Le stupidaggini dei cicisbei politici pantografano il medio borghese italiano. Una poliglotta, con vaste, rilevanti esperienze e un generale dei carabinieri, rivelatisi incapaci nel contraddittorio, a null’altro adatti se non all’oltraggio gratuito e volgare, s’accostano ai rimanenti amici(?) ebrei: l’astio ideologico prevale, silenzioso o flatuleggiante che sia.
Questi i borghesucci italiani. Non stupisce quindi il borghesuccio Matteo Salvini a gabellarci affinità con Enrico Berlinguer. È ridicolo, prima che stupido. Marcello Veneziani a sua volta involontariamente comico, prendendolo sul serio: «I valori del Pci non sono, non possono essere i valori della gente che la vota» redarguisce Salvini «Perché il Pci era un partito legato a doppio filo a Mosca, da cui prendeva soldi, ispirazione e ordini, fino agli anni Settanta. Perché il Pci sognava un modello di società egualitaria e collettivista che non sono certo i riferimenti, e tantomeno gli ideali, degli italiani che la votano e delle partite Iva. E se non sono di destra, sono ex-democristiani e anticomunisti, in conflitto aperto non solo col vecchio Pci di Togliatti ma anche col Pci di Berlinguer».
Borghesucci un tempo solo corrotti ora pure ridicoli
Berlinguer comunista? Berlinguer legato a doppio filo a Mosca? I soliti piccolo borghesi italiani, Gebbia o Veneziani che siano, dividono il mondo in destra e sinistra, i capponi manzoniani, l’un contro l’altro. Il ricco è di destra, lo scalcagnato è di sinistra. A sinistra la cultura, a destra l’ignoranza. A sinistra il lavoro, a destra la rendita. Dall’assassinio d’Aldo Moro è sempre più evidente la finzione ad uso dei gonzi come voi, caro Veneziani. La legge di Mummydem è invece semplice, in un solo rigo: il denaro verso l’alto, il letame verso il basso. La tessera d’un partito o d’un altro vale purché rispetti questa legge. Enrico Berlinguer lo sapeva molto bene, avendola respirata in famiglia. Questo consentì a Berlinguer la disinvoltura di convivere con Mosca che finanziava il PCI, il quale partito — con la benedizione di Gianni Agnelli, Giulio Andreotti e del Dipartimento di Stato USA — fece spendere al governo italiano una montagna incalcolabile di miliardi. Nel 1967 finanziammo Togliattigrad con 250 miliardi di lire. Passano dieci anni. Siamo nel 1977, alla vigilia dell’uccisione di Aldo Moro. Lo scontro fra NATO e Patto di Varsavia è apparentemente allo spasimo. Eppure affioravano, per chi voleva vederle, singolari trasversalità, non così evidenti come ora, tuttavia ben concrete, come concreti furono i 650 milioni di dollari che l’indebitatissima Italia concesse nel 1977 all’Unione sovietica a tasso agevolato. Ripeto: 650 milioni di dollari, nel 1977, cioè esattamente quanto ci prestò il Fondo Monetario Internazionale. Il tasso d’inflazione italiano nel 1977 era al 17 per cento, quando Giulio Andreotti regalò a Mosca 650 milioni di dollari. In quegli anni uno dei suoi parenti più cari, cui non piacciono granché le donne, studiava al Massachusetts Institute of Technology.
Il ministro del tesoro statunitense, Michael Blumenthal, dette il benestare a Giulio Andreotti, capo del governo, per svenare l’Italia e dare soldi al nemico sovietico. Bizzarro, non vi pare? I soldi collegarono Giulio Andreotti, Mosca, Washington, Berlinguer, Kissinger e Gianni Agnelli. Non lambirono Aldo Moro, assassinato e povero. I soldi, montagne di soldi; soldi senza odore né colore politico. Quale obiettivo per tanti soldi? Quale lo scopo inconfessabile, al quale Berlinguer s’adattò dopo l’attentato subito a Sofia il 3 ottobre 1973? Un segreto davvero atroce se ancor oggi i cicisbei pennivendoli del PCI alzano cortine di fumo sulla questione.
Nel 1977 iniziò la marcia verso gli euromissili e la costruzione della base di Comiso. Gli appalti, un’altra montagna di soldi, furono preceduti da trattative fra l’ammiraglio Fulvio Martini, inviato da Francesco Cossiga (lo statista di altri stati) e la mafia. Appalti aggiudicati alle cooperative emiliane. Bizzarro vero? La base a Comiso fu un non senso militare, un costosissimo non senso a stritolare Aldo Moro, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa e Piersanti Mattarella. Il fratello di quest’ultimo, Sergio, imparò la lezione e rimase nell’ombra. Enrico Berlinguer, di schiatta più antica, la lezione la conosceva da sempre: commemorò e s’indignò in silenzio, a costo zero. 1977, un anno prima dell’assassinio di Aldo Moro. Il debito complessivo verso l’Italia, degli scalcagnati paesi del Patto di Varsavia era di 4,5 miliardi di dollari. Un anno prima del teatro sanguinoso di via Fani e dell’assassinio di Aldo Moro. Lo statista leccese, oggi raffigurato con l’Unità in tasca, sarebbe morto perché Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, Benigno Zaccagnini ed Enrico Berlinguer erano democristiani e comunisti con valori peculiari? Veneziani è più ridicolo di Salvini, contribuendo al culto d’un ulteriore falso mito, dopo quello dello “statista” per conto di altri stati, Francesco Cossiga.
Enrico Berlinguer
Suo nonno, Enrico pure lui, vedeva lungo. Discendente da marrani sefarditi, giunti dalla Spagna, poi investendo buona parte delle fortune finanziarie per acquistare un titolo nobiliare. Il suo primogenito, Mario (padre del Nostro) sposò Mariuccia Loriga, figlia di Giovanni Loriga e d’una figlia di Pietro Satta-Branca. Il 25 ottobre 1924 Mario bussò alla loggia Giovanni Maria Angioy di Sassari, del Grande Oriente d’Italia. Gli fu aperto. Aveva già stretto forte e duratura amicizia con Palmiro Togliatti fra i banchi del liceo Azuni di Sassari, scambiandosi favori in quantità, prima, durante e dopo la guerra. Aldo, il secondogenito, sposò Maria Pilo, figlia dell’avvocato Luigi Pilo, fondatore del fascio sassarese, intimo di Dino Grandi. Anche la copertura fascista fu così assicurata. Ines, la prima delle femmine, sposò Stefano Siglienti, in primo piano nella finanza internazionale, ministro del Tesoro nel primo governo repubblicano, legato a doppio filo agli azionisti e al Dipartimento di Stato Usa. Siglienti gestì i fondi del Piano Marshall. Una curiosità: le biografie ufficiali di Enrico Berlinguer oscurano la seconda moglie del padre, Corinna Adelaide Augusta Fidelia, detta Niki, già vedova di Carmelo Nicitra, direttore dell’Istituto di cultura Fascista, e i loro tentacoli fino a Salò.
Chiunque poteva vincere la guerra: la famiglia Berlinguer aveva vinto prima che iniziasse. Enrico Berlinguer militesente, ovvio, s’iscrisse al Partito Comunista Italiano ad agosto del 1943, col fascismo sfasciato. Prima d’allora il suo fascicolo nella fascista questura sassarese è vuoto. Dopo fu sotto l’ali di Togliatti, amico di suo padre. La battuta di Giancarlo Pajetta su Berlinguer: «Giovanissimo si iscrisse al Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano» ha tratto con quanto avvenne prima e dopo l’ingresso di Berlinguer nel PCI. È ancora più spiegabile con la morte d’Aldo Moro. In conclusione, è più facile che il generale Gebbia sia trotzkista (quantunque wikipediano) che Berlinguer comunista. Non di meno è un reale mito; è necessario rammentarlo in questi giorni, mentre altri potenziali miti s’affannano per il primo piano.
Quando Berlinguer sollevò la «questione morale», egli fu dunque parte della malattia di cui si proponeva quale terapia. La profondità e la gravità del corruttivo morbo ingravescente infettò tutta l’Italia, tutti i suoi strati sociali, dai più alti agli infimi, come oggi possiamo constatare. Quanti stanno per urlare delle malefatte democristiane e socialiste, si chetino. Dopo l’assassinio di Aldo Moro, “anche” per mano degli accattocomunisti, fu guerra incessante nel gineceo politico. Tangentopoli fu una momentanea vittoria dei pugnalatori di Aldo Moro. Dopo oltre mezzo secolo di decadenza, stragi, tradimenti, ladrocini trasversali, non si può più fingere. Caligola nominò senatore Incitatus, Impetuoso, il suo cavallo preferito. Oggi la scelta è fra somari e iene: politici, giornalisti, imprenditori, ammiragli, generali (più o meno trotskisti), un’intera classe dirigente e i loro lacchè. Si va così verso un atroce scoppio di violenza. L’Italia ha allevato in questi anni più d’una classe rivoluzionaria. Se ne sono finalmente resi conto anche nei ginecei di Mummydem. I cicisbei sanno d’essere condannati dalla loro stessa risibilità. Tremano, mentre ostentano sicurezza: gli italiani sanno quanto tali mostri siano ben decisi a difendere gli interessi dell’Italia fino all’ultima goccia di…profumo, col favore di Mummydem. Rimane una sola via per evitare il disastro, con un po’ di fortuna e soprattutto con l’aiuto di Dio. (11-continua)
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