In attesa al capolinea Atac del 38 in piazza dei Cinquecento a Roma. Venticinque minuti: l’autobus non arriva. Ho tempo d’osservare il cantiere che restaura l’orribile monumento a Giovanni Paolo II; una sorta di garitta su cui campeggia una testa malamente accostabile al modello ispiratore. Prima del restauro e dopo il restauro, la differenza fra i due orrori è solo nel crescendo della spesa. Trascorro così altri cinque minuti e il mio autobus latita ancora.
È curioso: lungo le strade di Roma (alcune) trovi i cartelli elettronici che certificano quanti minuti manchino all’arrivo del prossimo autobus; al capolinea invece vi sono solo cartelli tradizionali, di ardua lettura, che nulla possono dire del prossimo arrivo. Insomma, al capolinea, dove più necessaria sarebbe l’informazione su partenze e arrivi, l’informazione non c’è. Un autista Atac mi suggerisce di “chiedere all’ispettore”, il signore intento a scriver misteriose annotazioni, fermo sul marciapiede del capolinea, come tutti i miei compagni di sventura. Rinuncio ad interpellarlo quando lo vedo privo di ogni mezzo di comunicazione e con la mano sulla fronte, come un pellerossa, a contrastare il generoso sole di Roma, per vedere se il 38 fosse in arrivo.
L’autobus arrivò dopo ulteriore attesa, quando il mio appuntamento era in malora. Non serve un esprit mal tourné per capire che l’assenza di informazioni in tempo reale al capolinea occulta l’ora effettiva di inizio servizio, a vantaggio d’uno che s’è levato tardi o ebbe di meglio che portarmi a destinazione. I dirigenti Atac sanno che c’è un Gps, che consente di controllare un automezzo lungo un itinerario? Sanno che è una realtà da venti anni? Eviterò di prendere il 38, risparmiandomi due orrori, il minore dei quali è quel monumento.
[pubblicato con altro titolo su Il Corriere delle Comunicazioni]
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