F-35 sì, F-35 no. Acquistarli o non? Ridurne l’ammontare? Risponde Vincenzo Camporini, generale, già capo di stato maggiore della Difesa.
Il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, alle prime polemiche nel momento più caldo del dibattito politico su spending review e sacrifici, ha tagliato la quantità dei caccia F-35. Ma scendere a 90 esemplari (dai 131 chiesti da Aeronautica e Marina) non è bastato per chiudere definitivamente la discussione né all’interno delle Forze armate né fra i politici, soprattutto alla vigilia delle elezioni: pesano sempre i 7 miliardi (contro i dieci preventivati) dell’investimento nel gioiello tecnologico dell’americana Lockheed Martin, un caccia multiruolo di quinta generazione monoposto, a singolo motore con ala trapezoidale stealth invisibile ai radar.
Ne parliamo col generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa, oggi vicepresidente dell’ Istituto Affari Internazionali, fondato da Altiero Spinelli nel 1965 e casa natale delle politiche italiane euroatlantiche con attenzione sul Mediterraneo.
D. Generale, quanto costa il supercaccia F-35?
R. Prima vorrei spiegare che cosa è, altrimenti non si comprende il costo. L’F-35 è l’innovazione, punto focale della rivoluzione in corso nelle operazioni militari. Esso incide sulla capacità operativa delle forze, di tutte non solo quelle aeree; esso incide ancor più sul livello politico, cioè sulla decisione strategica delle operazioni.
D. Possiamo spiegarlo nel dettaglio?
R. Il pilota combattente, il Top Gun reso celebre da Tom Cruise, è una delle funzioni del pilota di F-35, neppure la più importante. L’F-35 è un occhio, un orecchio e un cervello hitech, integrati che ricavando volumi immensi di informazioni, elaborandole in tempo reale, le trasformano in opzioni operative, per il pilota, per il suo diretto comandante e per il comando strategico, dislocato dall’altra parte del mondo oltre che per il comandante delle truppe sul terreno. È un vettore aereo dotato di intelligenze artificiali che consentono la massima integrazione con le reti operative, intelligence e strategico politiche. Tu hai l’F-35? Allora sei nel sistema e contribuisci alle sue decisioni; tu non hai l’F-35? Allora sei fuori e subisci le decisioni altrui.
D. Perché acquistare 90 supercaccia F-35? Non ne basterebbero 60 oppure 30?
R. Per disporre con certezza d’una decina di velivoli occorre avere una ridondanza adeguata. Con la riduzione imposta all’AM e alla MM il nostro orizzonte operativo si restringe.
Furono chiesti 131 F-35 non per capriccio. “131” è punto d’equilibrio fra la sostenibilità finanziaria, impegni operativi plausibili e quantità di velivoli da rinnovare, combinati con il prevedibile livello di impiegabilità – intorno al 75% – a sua volta influenzato dalle perdite in operazione, dai cicli di manutenzione e da quelli d’ammodernamento. Quest’ultimi inevitabili per macchine destinate a durare quasi mezzo secolo.
D. Non abbiamo ancora detto quanto costa e quanto sarà il costo dell’F-35 a regime…
R. Costa 70-80 milioni di dollari, ma abbiamo detto poco. È un falso problema. Nessuno può predire quanto costerà l’F-35 fra dieci anni. Una quantità di variabili incidono, a cominciare dai differenti possibili allestimenti. L’avionica inoltre è soggetta a evoluzioni fulminanti, i cui costi oscillano senza possibilità di previsione a medio termine. Abbiamo però una certezza fondamentale: l’F-35 è l’aereo militare più innovativo che l’uomo abbia mai concepito. Innovazione significa sempre risparmio, investimento e occupazione.
D. Facile a dirsi, ma proprio sul risparmio i dubbi sono legittimi, non crede?
R. No, non lo credo affatto. Il costo d’un aereo come questo, così come per un Typhoon o un Rafale, è aleatorio perché dipende da che cosa si voglia includere. Il costo di produzione fly away, cioè del velivolo senza manutenzioni, logistica e armamento, come ho detto è 70-80 milioni di dollari. È una stima media perché il costo iniziale di produzione decresce col tempo, incrementandosi il costo/efficacia della produzione industriale secondo la learning curve. Il costo per l’intera vita del sistema, il life cycle cost, è tre volte il costo di acquisizione, spalmato su 30-40 anni durante i quali l’aereo rimane in servizio.
D. Allora, dov’è il risparmio?
R. È duplice, almeno. L’acquisto della macchina più innovativa assicura la vita operativa più lunga e pertanto una spesa spalmata su un periodo più lungo. Il secondo risparmio è ancora più incisivo. A suo tempo acquisimmo 100 Tornado e 136 AMX, ormai obsoleti e da sostituire a breve. L’Aeronautica Militare aveva chiesto 110 F-35. Il rateo di sostituzione sarebbe stato di 2,14 aerei vecchi per uno nuovo. È come una famiglia che ha due auto e si mette in condizione di fare tutto con una sola.
D. In tal caso il risparmio è maggiore, visto che acquistiamo 90 invece di 110.
R. Solo apparentemente. Il taglio a 90 esemplari, deciso dal ministro Di Paola, comporterà il ridimensionamento drastico delle possibilità operative. Se con 131 aerei F-35 avremmo schierato cinque Gruppi di Volo di 16-18 velivoli, 4 gruppi dell’Aeronautica e 1 della Marina, con 90 saranno solo quattro, e di dimensioni più ridotte. Nella stessa misura sarà ridotto il contributo italiano alle missioni internazionali, con ovvie negative conseguenze politiche ed economiche. Richiamo la domanda cruciale: hai l’F-35? No? Allora sei fuori.
D. Non pochi sono convinti che ce ne faremmo una ragione…
R. La crisi economica, come abbiamo scoperto nel 2001, è anche se non soprattutto una crisi di sicurezza. Sia chiaro: lo sapevamo almeno dalla crisi di Suez del 1956. Se rinunciamo allo strumento aereo ovvero ne manteniamo uno obsoleto, noi perdiamo capacità di garantire sicurezza a noi stessi e contribuire a quella degli alleati. Ben presto scopriremmo di vivere in un mondo cinico e spietato, dove sono lasciati al loro destino, non solo paesi e banche insolventi, anche alleati non affidabili nella sicurezza. Certo, si fa presto a dire: facciamo a meno degli aerei, così risparmiamo. Osservi la pirateria, i cui costi stiamo pesantemente pagando in modo diretto e indiretto. Osservi l’aumento dei noli marittimi, dei premi per le coperture assicurative, dell’allungamento delle rotte per evitare i mari a rischio. Possiamo, certo, decidere che è troppo oneroso mantenere adeguate forze navali nell’Oceano Indiano; possiamo ritirarle, con consistenti risparmi; nessuno ce lo impedirebbe. Ben presto scopriremmo che i prezzi del petrolio e di tutti i beni, viaggianti sul mare verso i nostri porti, per noi aumenterebbero vertiginosamente e infetterebbero tutti i nostri rimanenti listini.
Vorrei aggiungere che un risparmio ulteriore, questo sì giustificato, sarebbe tuttavia possibile se Marina e Aeronautica adottassero logistiche comuni , rinunciando a obsoleti concetti di proprietà esclusiva, con poco più di 30 velivoli STOVL (Short Take Off and Vertical Landing), sarebbero soddisfatte le esigenze di entrambe per questa tipologia di velivoli, con considerevole risparmio, sia nell’ acquisizione sia per il supporto.
D. Il Pentagono ha intanto ridotto drasticamente la quantità di velivoli da acquisire…
Non è esatto. Il Pentagono acquista i sistemi d’arma di anno in anno, in base alle necessità e alla disponibilità di fondi in bilancio, con l’obiettivo di raggiungere la quantità che risponde alle esigenze operative. Anche noi dovremo imitare il Pentagono, acquistando annualmente quanto occorre e ci possiamo permettere. Il punto è: ogni anno il dibattito sarà così accartocciato com’è oggi? Questo ci impedirebbe agevolazioni e sconti poiché i fornitori paventerebbero la nostra discontinuità.
D. Ha detto: F-35 è anche occupazione. Quale occupazione?
R. Le autorità politiche e militari hanno abilmente negoziato ruoli importanti per l’industria nazionale della difesa. Quanto spendiamo, direttamente o indirettamente resta in Italia. Quanto spenderemo all’estero sarà compensato dalle produzioni per altri paesi; per esempio, produrremo le ali e l’Olanda avrà velivoli assemblati in Italia.
D. Taluni obiettano che le ali siano una produzione di scarso rango tecnologico…
Costoro immaginano le ali di un F-35 come quelle d’un aeroplanino di carta. Non hanno la più pallida idea delle Hitech in ogni centimetro delle ali di F-35. Obiezioni come questa non meritano attenzione.
F35 è la punta più avanzata dello sviluppo tecnologico e scientifico nel mondo. È pertanto strategico – ed è il maggiore vantaggio – il coinvolgimento della nostra industria, sia del gruppo Finmeccanica, sia delle PMI nella sua orbita: questo consente all’Italia di non perdere il passo. La nostra è economia di trasformazione, vincente nel mondo globalizzato solo se mantiene il vantaggio tecnologico sulle economie emergenti, quelle che possiedono materie prime e si giovano di manodopera a costi stracciati.
D. Non pochi obiettano che l’acquisizione dell’F-35 è incompatibile col licenziamento di migliaia di ufficiali e sottufficiali.
R. Se non acquistiamo l’F-35 e non innoviamo mezzi, personale e procedure, ben presto saranno licenziati anche i rimanenti. Non basta: chiuderemo ulteriori fabbriche e daremo altra benzina alla crisi economica che ci insegue, con esiti paralleli sull’economia come sulla sicurezza. Lo ripeto: l’innovazione è risparmio, investimento e occupazione; è la crescita, di cui si parla.
Articolo pubblicato con altro titolo sul settimanale economico Il Mondo del 28 Settembre 2012
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Tutte bufale.
Inoltre Camporini (PD) facendo una comparazione con l’Eurofighter l’ha sparata davvero grossa:
il jet europeo non reggerebbe al confronto con l’f35 nel ruolo di cacciabombardiere in cui invece viene ulteriormente superato dal temibile jet europeo.
Il generale dimentica volutamente (?) la superiorità del Tifone in termini di:
– Velocità
– Potenza
– Manovrabilità
– Carico bellico (e meno male che l’f35 è un cacciabombardiere!)
– Capacità BVR (caratteristica nella quale inizialmente era superiore lo F35) per cui ora il jet USA è stato surclassato grazie alla adozione per lo EF2000 del missile Meteor che lo ha reso letale…
Che dire…un mazzettone pagato dal PD agli USA in cambio di chissà quale contropartita.
Avevo finora sentito parlare molto bene del generale Camporini, anche se appresi con una certa sorpresa che era andato nel gabinetto di Frattini che non gode della mia considerazione e l’avevo attribuito a un surplus energetico suo ed alla convinzione – condivisa – che peggio di La Russa fosse difficile da trovare…
Non condivido l’entusiasmo del generale per l’F 35 , non dal punto di vista tecnologico, ma da quello politico.
Di partecipare a missioni alleate non ce lo ha ordinato il medico. Ha parlato di ricadute occupazionali che non sono un argomento strategico e sono tutte da dimostrare, non ho notizie di vantaggi economici ottenuti e il caso della pirateria somala è MAL posto.
Esiste una organizzazione privata inglese e una ” agrée” di Gibuti che , per poco peculio – certamente inferiore al mantenimento di una flotta – proteggono egregiamente le navi che ne fanno richiesta. Considera positivo se gli americani decidono di comprare di anno in anno, ma negativo se lo facciamo noi. Propongo un dibattito su questi temi – siamo appena stati ” piombati ” assieme alla Germania per oltre un miliardo proprio dall’alleato americano su un altro progetto – a meno che il confronto di idee non sia considerato ” accartocciarsi” . Capisco la frustrazione del generale nel confrontarsi con i nostri politici , ma non è un motivo per spalmarsi sull’alleato.
Camporini non è mai stato nel Gabinetto di Frattini. Ha lavorato – senza prendere un soldo – nella Farnesina subito dopo il suo ultimo giorno da capo di stato maggiore della difesa, prima di assumere la presidenza di IAI. Un volontariato alquanto inusuale, mi pare, di questi tempi e in questo paese. In quanto a “entusiasmo”, io vedo solo un serio argomentare tecnico. Se la scelta politica è di subire l’acquisto senza cercare un ruolo politico più incisivo, non mi pare che questo dipenda da Camporini, il quale anzi ha fatto una proposta di unificazione logistica che non dovrebbe cadere nel vuoto.