Il corriere.it apre così sulla sentenza del tribunale de L’Aquila: «Storica condanna per i membri della commissione Grandi rischi: sei anni di reclusione per tutti gli imputati, sei esperti e il vice direttore della protezione civile, Bernardo De Bernardinis. È questa la decisione del giudice unico Marco Billi che ha condannato i componenti della commissione Grandi rischi, in carica nel 2009. I sette avevano rassicurato gli aquilani circa l’improbabilità di una forte scossa sismica che invece si verificò alle 3.32 del 6 aprile 2009». Che sia una condanna storica non v’è dubbio; un po’ meno certo è se inciderà sulla storia del diritto. Vediamo di capire perché.
Il diritto è fatto di parole “ordinate”. La scienza si esprime attraverso fatti a loro volta ordinati.
L’ordine che (col)lega le parole del diritto è generato dalle norme grammaticali e sintattiche, nonché dalle fonti legislative, a loro volta ordinate secondo una scala prioritaria. Tale ordine è (o dovrebbe essere) univocamente determinato.
La necessità dei differenti gradi di giudizio testimonia tuttavia che le sentenze sono soggette a un relativismo, quindi a un’incertezza che si cerca di stemperare affidando i giudizi successivi a tribunali mano a mano più autorevoli.
La sentenza de L’Aquila ci pare di quelle, come tant’altre, clamorosa e sconvolgente nel primo grado, destinata tuttavia a essere riformata in appello e ancor più in Cassazione, non senza aver prima procurato gli sconquassi che già si palesano nei commenti prima ancora che nei fatti.
L’ordine che (col)lega i fatti della scienza è solo apparentemente più deterministico di quello della giustizia. Il secondo principio della termodinamica – il calore passa da un corpo più caldo a uno più freddo – appare molto deterministico quando stringiamo la mano gelata d’una signora infreddolita; non è deterministico affatto per i moti molecolari; lo è alquanto bizzarramente nei macroscenari vulcanici, quelli che hanno causato la catastrofe de L’Aquila.
Il fisico Clausius certificò:”È impossibile una trasformazione il cui unico esito sia il passaggio di calore da un corpo a una data temperatura a un altro a temperatura maggiore”. L’incertezza che rende probabilistica questa legge di natura risiede nella possibilità che un altro evento concorrente porti all’incremento di energia di un corpo già energeticamente sovrastante.
I nostri poveri scienziati sono incappati in una giustizia che reputa il determinismo delle parole del diritto come lo specchio d’una realtà deterministica a sua volta? Orbene nelle viscere di Madre Terra queste convinzioni circolanti nei tribunali di provincia conterebbero poco.
Le domande sono: la Commissione grandi rischi ha fatto un onesto apprezzamento della situazione? Come ha determinato che un sisma distruttivo imminente fosse improbabile?
“Improbabile” può significare che l’evento distruttivo sia stato stimato largamente al di sotto del 10% di probabilità. Questo tuttavia non esclude che esso possa realizzarsi.
Un giocatore di poker sa che una scala reale (cinque carte ordinate senza discontinuità e dello stesso seme) è un evento con probabilità inferiore a 0,01%, cioè meno d’una probabilità su 10mila mani di poker.
Un giocatore saggio tuttavia non valuta la possibilità che il suo avversario abbia una scala reale tenendo conto solo della probabilità. Egli valuta anche una quantità di fattori incommensurabili, come i segnali che percepisce dagli altri giocatori, la plausibilità dell’evento, la propria disponibilità ad affrontare il rischio, ecc. Il giocatore mette tutto sulla bilancia e poi decide. La differenza fra il nostro giocatore e i malcapitati scienziati de L’Aquila è nell’autorità decisionale.
Nel caso del poker, il giocatore valuta e decide. Nel caso de L’Aquila, gli scienziati valutano e i politici decidono: qui è la differenza, la quale sarà certamente messa in luce nei giudizi successivi.
Nell’attesa dei giudizi di grado superiore domandiamoci perché queste situazioni approdano in tale maniera nelle aule di Giustizia e ne escono ammantate di un diritto tanto fittizio quanto effimero.
Una prima causa possiamo ricercarla nel facile presenzialismo televisivo dello scienziato, spesso impegnato a promuovere la propria immagine dando della scienza letture pseudo elementari e, allo stesso tempo, presentandosi quale deus ex machina, ammantato d’una autorevolezza più presunta che reale. All’inizio di questa parabola possiamo collocare le innocenti comparsate televisive del fisico Antonio Zichichi, cui però seguirono quelle di vari personaggi che proprio su terremoti e fenomeni geologici hanno venduto fumo, talvolta pure fiamme e frane, gabellandosi alle telecamere come salvatori della patria e autorità indiscusse.
Al politico indolente, ancor più spesso ignorante e incline alla fuga dalle responsabilità non è parso vero di giovarsi d’una cortina di scienziati, così come ai ministri della difesa talvolta fa gioco avere la copertura degli stati maggiori.
La funzione degli scienziati de L’Aquila infatti è stata analoga a quella dello stato maggiore d’un esercito, il cui compito è prendere in esame i vari elementi di situazione, correlarli, valutarli, analizzarli e quindi indicare al comandante supremo – nel caso italiano, il ministro – le varie possibilità. Il ministro, dopo aver letto la relazione del suo stato maggiore, dà gli indirizzi necessari attraverso il suo capo di stato maggiore della difesa. Per L’Aquila doveva essere il presidente del Consiglio, attraverso il capo del Dipartimento della Protezione Civile ad assumersi la responsabilità d’una decisione. Agli scienziati competeva solo la valutazione aleatoria che essi hanno dato, giusta o sbagliata che fosse. Se fosse stata giusta avrebbe comportato riconoscimenti e onori, se sbagliata può nuocere solo alla loro carriera e alla loro fama non certo comportare responsabilità civili e penali.
Tutto quanto è stato sin qui scritto ha valore a una sola condizione: che non vi sia nella sentenza la prova provata della malafede dei componenti della Commissione Grandi Rischi. Senza quella prova provata ad essi può essere imputata solo una valutazione legittima ma errata alla prova dei fatti. La decisione di sgomberare L’Aquila o aspettare gli eventi competeva al Presidente del Consiglio e al Capo Dipartimento della Protezione Civile.
Secondo Il Fatto Quotidiano la Commissione grandi rischi sparse rassicurazioni non sulla base d’una valutazione scientifica ma in conseguenza di un ordine politico. Se così fosse, chi è causa del suo mal… poiché l’obbedienza non è sempre una virtù. E così torneremmo a parlare di scienziati che si beano di ruoli inappropriati sotto le luci della ribalta politica o televisiva.
Comunque si concluda questa è una storia con la fine scontata: pessima.
in questo sfortunato paese si bocciano le sentenze prima di averne letto il dispositivo.
Nello stesso sfortunato paese non sono mai mancati gli scienziati caudatari impegnati a compiacere il signore. Di questo, una volta tanto, si è occupato il giudice.
Spero molto che francidag abbia torto, ma temo invece che buona parte della verità sia dalla sua. La macchina dello Stato nel suo intero si sta accartocciando – come addita Ugo – e queste sentenze non contribuiscono a rimetterla in sesto, perché si inseriscono in un quadro a dir poco ambiguo. Se la colpa vera è non aver dato l’allarme, allora occorreva processare prima Mario Bertolaso e poi gli scienziati, se non altro perché Bertolaso, in quanto sovraordinato alla Commissione Grandi Rischi, è depositario di responsabilità ben maggiori, delle quali andrebbero verificati quanto e come sono state onorate.
Questa sentenza, cadendo solo sugli scienziati – quantunque “caudatari”, come lei li definisce – rende tuttavia meno evidenti le eventuali responsabilità di Bertolaso. Aspettiamo, d’accordo: è una vicenda che comunque finirà male.
Sfugge il confine fra storia, cronaca e attualità giudiziaria. La prescrizione non è più un istituto del diritto, ma una categoria dell’anima, un fatto di coscienza. Non devi darti per vinto. Nulla deve restare di impunito. Gli armadi si devono aprire quando servono e così pure gli archivi di ogni genere che si sbobinano all’occorrenza. Sicuramente esiste un fascicolo aperto sull’assasinio di G. Cesare, per poi non parlare del suicidio di Cleopatra al quale nessuno crede.
Oramai per vedere se una scienza è asatta o meno,basta operare una ricerca fra gli archivi delle sentenze di una delle tante magistrature esistenti e vedrete che qualcosa salta fuori. I sentimenti sono solo quelli riconosciuti e- naturalmente – passati in giudicato. Nessono si ammala più e muore in un asocietà che ha accreditato il diritto all’immortalità. In primo grado tutti possono avere una chance e dopo che viene il bello. E’ così che le società evolvono.
Il problema è che la nostra è una “democrazia” giudiziaria, nella quale il magistrato pensa che la legge si possa sostituire alla scienza, al buon senso ed alla ragion di stato e un colpevole ci deve essere sempre. Siamo sicuri che qualche bravo giudice non abbia aperto un fascicolo a carico di ignoti per l’omicidio di Oetzi? In fin dei conti nel cadavere dell’uomo del Simulaun è stata trovata una punta di freccia, e ci sono crimini che non cadono in prescrizione, come sanno bene certi azzeccagarbugli.
Non sono d’accordo sulla “democrazia giudiziaria”. La magistratura ha numerose pecche ma molte di esse derivano dalla inconsistenza di troppe componenti della politica, dello Stato, della società civile. Nel caso de L’Aquila può esserci una sovraesposizione del magistrato ma prima ancora c’è una Commissione che appare essere andata ben oltre le funzioni consultive che le competevano. Quello che mi pare criticabile in questa vicenda è che l’indagine su Guido Bertolaso non sia conclusa e questa Commissione sia stata nel frattempo sottoposta a processo. Doveva essere processato prima Guido Bertolaso, in quanto responsabile sovraordinato alla Commissione e poi la Commissione stessa, la quale invece in questo modo fa ancora velo al Dipartimento della Protezione Civile.
Poi dicono che all’estero ridono di noi perché Berlusconi raccontava le barzellette. Sai le risate in Giappone quando leggeranno di questa sentenza.
Ma viene da dire anche ‘ben gli sta’: se la gente si crede immortale, svincolata dalla natura, dal Fato e dal demonio – salvo errori od omissioni dello scienziato o del medico di turno – la colpa è anche degli pseudoscienziati.
Più che della sentenza in Giappone rideranno di un Dipartimento della Protezioone civile dai costi stratosferici, non di meno bisognoso per assumere decisioni operative d’una Commissione, costosa del pari, giungendo a una decisione sbagliata alla prova dei fatti. La funzione distorta degli scienziati telegenici contribuisce tuttavia a offrire alle masse le illusioni laiciste della felicità e dell’immortalità – Paoloni ha pienamente ragione – finché brandelli significativi di tali masse non si costituiscono parte civile profittando della vulnerabilità del sistema davanti alla magistratura oppure semplicemente perché all’immortalità e al diritto alla felicità han finito per crederci davvero e ne chiedono conto a coloro che li hanno illusi.
condivido pienamente e aggiungo che ben ci meritiamo tutto ciò in un paese che – ormai – si è dotato di un “apparato” autogestito e fuori controllo che non più giudica ma pontifica e legifera in vece di una classe politica ormai supina e dedita alla deboscia istituzionale.