OltreLaNotizia rende omaggio a Licio Giorgieri, generale dell’Aeronautica, a trent’anni dal suo assassinio per mano criminale delle Brigate Rosse.
30 anni sono trascorsi da quando il Generale dell’aeronautica italiana Licio Giorgieri fu freddato da 5 colpi sparati da due giovani a volto scoperto che affiancarono con decisione la sua autovettura, la sera del 20 marzo 1987, mentre questi stava rincasando presso la sua abitazione romana di via del Fontanile Arenato, nel quartiere Aurelio.
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Giuseppe Angiuli, avvocato pugliese, noto per i successi nelle battaglie legali contro gli abusi delle banche. E’ responsabile delle relazioni internazionali per il movimento politico RISORGIMENTO SOCIALISTA. Ama seguire la ricostruzione delle vicende politiche italiane che hanno segnato la fine della c.d. “prima repubblica”. [/cryout-pullquote]
Triestino di nascita, laureato in ingegneria navale e meccanica, il Generale Giorgieri era Ufficiale del Genio aeronautico e a quel tempo ricopriva il grado apicale di Direttore Generale del “Costarmaereo”, il settore del Ministero della Difesa con funzioni di sovrintendenza sulla costruzione delle armi aeree e degli armamenti aeronautici ed aerospaziali.
Più in particolare, al tempo del suo omicidio Giorgieri si stava occupando della progettazione del velivolo EFA (European Fighter Aircraft), velivolo multiruolo, bimotore, caccia intercettore che avrebbe dovuto marcare la superiorità aerea nel sistema di difesa europea.
La strane Brigate Rosse UCC
L’assassinio del Generale Giorgieri fu presto rivendicato dalle Brigate Rosse UCC (Unione dei Comunisti Combattenti), ossia da quella fazione brigatista autoproclamatasi come “seconda posizione” e costituitasi nell’ottobre 1985, nel periodo immediatamente successivo alla crisi irreversibile delle BR storiche, quelle capeggiate da Mario Moretti e Barbara Balzerani.
Le UCC ebbero una vita assai breve e passarono alla storia del terrorismo rosso per due soli episodi eclatanti: il ferimento di Antonio da Empoli, consulente economico del Governo Craxi e, per l’appunto, l’assassinio del Generale Licio Giorgieri.
Al giorno d’oggi, quantunque in tanti siano indotti a credere che la “lotta armata” maturata a cavallo degli anni ’70 e ’80 del novecento negli ambienti ideologici dell’extra-sinistra costituisca prevalentemente un materiale per studiosi, è nondimeno ancora un tabù l’avventurarsi in possibili ricostruzioni di tale fenomeno che puntino a smascherarne la matrice occulta, aldilà dell’etichetta esteriore marxista-leninista a suo tempo utilizzata dai suoi ideatori e burattinai di varia natura.
Dopo che per decenni, osservatori attenti come Sergio Flamigni[1], Giuseppe De Lutiis[2] e Giovanni Fasanella[3] con i loro lavori meticolosi ci hanno fornito numerose chiavi di comprensione del fenomeno brigatista che si distanziano alquanto dall’apparenza e che pongono più di un serio dubbio sulla reale “purezza rivoluzionaria” dei vertici delle Brigate Rosse, ecco che oggi sembrerebbero aprirsi delle condizioni inedite per inaugurare finalmente un nuovo metodo di ricerca della verità depurato da certe ataviche incrostazioni ideologiche.
Tale svolta potrebbe essere favorita anche dalla pubblicazione della recente clamorosa inchiesta sul delitto di Aldo Moro a firma di Paolo Cucchiarelli (Morte di un Presidente, edizioni Ponte alle Grazie): questo libro, unito al significativo lavoro di indagine messo in atto dall’attuale Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni, appare ormai vicino a fornirci un contributo decisivo per approdare ad una più realistica comprensione delle dinamiche politiche perverse ed occulte sottese al fenomeno brigatista, che ancora oggi – nonostante le apparenze – condizionano pesantemente, ancorché sottotraccia, la vita democratica del nostro Paese.
Il quesito di fondo che in pochi riescono ancora oggi a porsi con franchezza è il seguente: erano le Brigate Rosse realmente una formazione di marxistileninisti genuinamente dediti a realizzare il mito della rivoluzione proletaria qui in Italia oppure erano un subdolo strumento funzionale a poteri occulti (italiani e stranieri) per interferire con mezzi sporchi nella dialettica democratica del nostro Paese?
E ancora: l’individuazione degli specifici obiettivi da colpire era solo il frutto della discussione politica che si sviluppava spontaneamente tra i dirigenti delle organizzazioni brigatiste oppure la scelta delle vittime veniva in qualche modo loro suggerita da qualche “mente raffinatissima”, che fosse contigua o interna a quelle stesse organizzazioni?
Progetti criminali eppure poco genuini
Per la verità, simili interrogativi inquietanti sono stati già sollevati nel corso del tempo a proposito di numerosi delitti della stagione degli anni di piombo, a partire da quello di Aldo Moro ma anche a proposito di Walter Tobagi, Vittorio Bachelet e Roberto Ruffilli, tutte vicende nelle quali le motivazioni ideologiche pubblicamente propalate dalle Brigate Rosse non sono mai riuscite a dimostrarsi del tutto persuasive e convincenti, anche per chi abbia provato ad immedesimarsi nella mente di persone che in quegli anni dichiaravano di agire per l’instaurazione del comunismo nella nostra società.
I dubbi sulla genuinità del progetto rivoluzionario delle formazioni brigatiste acquistano viepiù consistenza giusto a proposito della breve – e, sotto diversi aspetti, singolare – storia del filone UCC delle BR.
Il fine politologo Giorgio Galli[4], autore del libro-inchiesta Piombo rosso, solleva qualcosa di più che un semplice sospetto sulla veridicità delle ragioni a suo tempo addotte dall’Unione dei Comunisti Combattenti all’atto di rivendicare l’omicidio del Generale Licio Giorgieri nel marzo del 1987.
Galli adombra senza mezzi termini il coinvolgimento di entità occulte in quella vicenda, parlando del delitto Giorgieri come di qualcosa che “ha caratteristiche tali da rappresentare un nuovo episodio nei rapporti tra lotta armata e servizi segreti”.
E nel mentre il comunicato di rivendicazione del delitto a firma delle UCC faceva riferimento alle presunte responsabilità di Giorgieri “da lui esercitate in seguito all’adesione italiana al progetto delle guerre stellari”[5], il Ministro della Difesa dell’epoca Giovanni Spadolini smentì subito pubblicamente che il Generale potesse avere avuto qualsiasi rapporto diretto con quell’iniziativa di difesa strategica.
Sempre a proposito del contenuto della rivendicazione brigatista, è ancora Giorgio Galli a rilevare che “la motivazione ideologica può apparire anomala per un gruppo che intendeva legare la sua <<seconda posizione>> alla situazione sindacale”.
Quel che è certo è che il Generale Giorgieri non aveva alcun tipo di visibilità presso l’opinione pubblica né costituiva un simbolo politico come presunto “nemico del proletariato” e pertanto, a distanza di 30 anni dal delitto, è senz’altro lecito ancora oggi porsi il seguente quesito: quale presunta finalità “rivoluzionaria” poteva mai perseguire chi in quel momento, dichiarando di agire secondo una logica sovversiva di stampo marxista-leninista, decise di colpire a morte un alto Ufficiale dell’Aeronautica semi-sconosciuto alle masse ma con un delicatissimo ruolo tecnico nella progettazione degli armamenti?
L’EFA volava e i suoi sostenitori cadevano
Già nel 1987, lo scrittore Saverio Tutino, esperto di movimenti di guerriglia e attento studioso del fenomeno brigatista, aveva osservato che appena due anni prima del delitto Giorgieri, nei primi mesi del 1985, allorquando i ministeri della Difesa francese, italiano, inglese, tedesco e spagnolo avevano raggiunto un sostanziale accordo sui requisiti tecnici per l’avvio del programma EFA, pur segnalandosi il dissenso di Parigi sulla individuazione dello specifico modello di aereo da costruire, ebbene “in quei mesi cadevano come birilli i direttori degli armamenti dei ministeri della Difesa francese (René Audran, 25 gennaio 1985) e della Spagna (capitano di fregata Escrigas Estrada, 25 luglio) e il responsabile per il ministero della Difesa di Bonn (Ernst Zimmermann, 5 febbraio 1985)”[6].
Altri omicidi sospetti di uomini con grandi responsabilità nel settore degli armamenti si erano poi registrati tra il 1986 e l’inizio del 1987, in Italia con l’ex Sindaco di Firenze Lando Conti (un delitto che porta la firma delle BR-PCC), stretto collaboratore di Giovanni Spadolini, in Germania con Karl Heinz Beckurts (uomo di grandi responsabilità nella società Siemens, attiva nella produzione di armamenti, assassinato a Monaco di Baviera il 9 luglio 1986) e in Svezia con l’ex ammiraglio Karl Fredrick Algernon (figura di rilievo all’interno del Ministero degli Esteri svedese con poteri di autorizzazione all’esportazione di armi, ucciso a Stoccolma il 15 gennaio 1987).
Pertanto, l’omicidio del Generale Licio Giorgieri potrebbe essere riletto, a 30 anni dalla sua consumazione, alla luce di queste suggestive ma per nulla peregrine chiavi di lettura tutte riconducibili alla lotta tra i governi di alcuni Paesi europei a quel tempo divisi sulla scelta decisiva se avallare o meno il nuovo caccia EFA, con la Francia gelosa del proprio sistema di difesa aerea già brevettato e perciò restia a dare il disco verde al progetto a cui stava lavorando Giorgieri.
Un’altra possibile chiave di interpretazione del movente del delitto Giorgieri è stata individuata da chi ha fatto riferimento al suo pregresso ruolo in seno al RAI, il Registro aeronautico italiano (oggi inglobato nell’ENAC) e sul punto in questione si è da più parti insinuato che anche quella dell’Ufficiale triestino potrebbe far parte della lunga lista di morti sospette in connessione alla custodia dei segreti sulla tragedia del Dc9 dell’Itavia esploso nei cieli di Ustica con 81 passeggeri a bordo la sera del 27 giugno 1980, tragedia per la quale sono stati in tanti a sostenere un coinvolgimento diretto dei servizi segreti francesi, all’epoca interessati ad eliminare il leader libico Muammar Gheddafi[7].
Ed a proposito di un possibile coinvolgimento dei servizi segreti nell’assassinio di suo marito, Giorgia Pellegrino, vedova del Generale Giorgieri, 30 anni fa affermò: “Non ho le prove ma ne sono sicura”.
Tre pregiudicati tignosi dalla vita agiata
In sede giudiziaria, per questo omicidio dai contorni così anomali furono condannati a pene detentive, tra gli altri, Paolo Persichetti, oggi scrittore saggista e curatore del blog Insorgenze, Geraldina Colotti, oggi firma importante de Il Manifesto e Claudia Gioia, attuale dirigente del MACRO, l’importante museo di arte contemporanea di Roma.
L’inchiesta penale della magistratura romana ed il successivo dibattimento evidenziarono la pervicacia delle BR-UCC nel tentare ad ogni costo di uccidere il Generale Giorgieri, avendovi provato già per ben due volte nei mesi precedenti all’agguato letale e avendo fallito in tali tentativi la prima volta per un incidente in moto in cui furono coinvolti i brigatisti, la seconda a causa dell’inceppamento dell’arma nel momento decisivo dell’agguato.
Paolo Persichetti, grande amico e sodale dell’ex leader di Autonomia Operaia Oreste Scalzone, si è rifugiato per diversi anni a Parigi, dove per qualche tempo ha anche ottenuto la cattedra di insegnante di sociologia politica presso l’Università di Paris VIII, fino a quando il governo francese non ha deciso di porre fine alla cosiddetta dottrina Mitterand, quella nota prassi che per lungo tempo ha consentito alle autorità transalpine di negare l’estradizione a numerosi estremisti italiani coinvolti in fatti di terrorismo, latitanti a Parigi ma protetti sotto la comoda definizione di prigionieri politici.
Nel 2002, in coincidenza con l’inserimento del suo nominativo tra gli indagati per il delitto di Marco Biagi ad opera delle nuove Brigate Rosse, Persichetti è stato arrestato a Parigi e subito estradato in Italia, dove ha scontato alcuni anni di carcere soltanto per concorso morale nell’omicidio Giorgieri, mentre alcuna sua responsabilità nell’assassinio di Biagi ha mai trovato conferma in ambito giudiziario.
Oggi dalle pagine del suo blog Insorgenze colpisce il sistematico accanimento con cui l’ex brigatista taccia semplicisticamente di “dietrologia” e di “complottismo” ogni e qualsivoglia tentativo di ricostruzione della storia degli anni di piombo che appaia in qualche modo disallineato rispetto alle verità processuali già consacrate nelle sentenze penali della Magistratura.
Quanto a Claudia Gioia e Geraldina Colotti, per comprendere le loro personalità conviene ascoltarne le rispettive audizioni nel corso del dibattimento nella fase di secondo grado del giudizio per l’omicidio del generale Giorgieri, svoltosi nel 1991 dinanzi ai giudici della Corte d’Assise d’appello di Roma, reperibili negli archivi online di Radio Radicale.
Fredde e algide, si avvalsero entrambe della facoltà di non rispondere ed approfittarono della platea processuale per rifugiarsi in proclami ideologici rivendicativi delle ragioni storiche della “lotta armata”, senza rispondere a nessuna delle domande loro poste dai magistrati della Corte.
Entrambe – sia la Gioia che la Colotti – attualmente rivestono ruoli di visibilità e di prestigio e godono di un discreto riconoscimento sociale in circuiti e salotti della Roma politico-culturale che conta.
La Colotti, nativa di Ventimiglia, dalle colonne de Il Manifesto celebra spesso le gesta degli attivisti No Borders che proprio nei pressi della cittadina ligure hanno agito di recente con azioni mirate di disturbo in danno delle forze dell’ordine impegnate nel pattugliamento dei confini nazionali, risultando così perfettamente funzionali a quei Poteri Forti che da tempo impunemente perseguono il loro occulto disegno teso a favorire un’immigrazione di massa irregolare ed incontrollata nel nostro Paese e in tutta Europa.
Geraldina Colotti, la bionda pasionaria già membro della direzione strategica delle Brigate Rosse – UCC, all’epoca del suo impegno come “rivoluzionaria di professione” era incaricata di tenere le fila dei rapporti internazionali dell’organizzazione, che ai tempi d’oro della “lotta armata” vedeva in Europa nella francese Action Directe e nella tedesca RAF i suoi alleati in un triste patto di sangue.
Mai pentita né dissociata, oggi la Colotti si destreggia come instancabile attivista nel mondo dell’attivismo politico a favore dei governi più radicali della sinistra latinoamericana e, al minimo accenno di discussione sulle possibili infiltrazioni di servizi segreti all’interno delle organizzazioni dell’estrema sinistra degli anni ’70 e ’80, la stessa reagisce con un immediato riflesso pavloviano di nervosismo misto a malcelato fastidio[8].
Non sarebbe inopportuno che i tanti militanti della sinistra radicale che ancora oggi trattano la attivissima Colotti col rispetto e timore reverenziale che solitamente si riserva ad un capo, le chiedano di fornire almeno a loro dei chiarimenti su che tipo di appoggi politici e logistici lei e i suoi compagni di “lotta armata” godettero allorquando trovarono rifugio in Francia nei primi anni ‘80, in quegli stessi anni in cui le BR storiche di Moretti e Gallinari (con dietro nell’ombra la mai ben chiarita figura di Corrado Simioni) cedevano il passo alle formazioni brigatiste di nuova generazione tra cui, per l’appunto, le UCC.
E dunque, mentre i pesanti dubbi sulla genesi dell’omicidio del Generale Licio Giorgieri restano nient’affatto sopiti a trent’anni di distanza dalla sua consumazione, un certo attivismo politico-culturale odierno di alcuni tra i più diretti protagonisti di quella triste vicenda, che mai hanno avvertito il dovere di fornire spiegazioni anche sugli aspetti più opachi di quella stagione politica, assume oggi un significato tanto beffardo quanto inquietante.
[1] Per tanti anni massimo studioso del caso-Moro, l’ex senatore del vecchio P.C.I. ha dato alle stampe numerosi testi dedicati al fenomeno del terrorismo di matrice rossa, tra cui spiccano – entrambi pubblicati con Kaos Edizioni – La tela del ragno e La sfinge delle Brigate Rosse, una biografia non autorizzata dedicata al capo delle BR storiche Mario Moretti. Tra i massimi esperti del funzionamento dei nostri servizi segreti e già consulente della Commissione Stragi presieduta dal senatore Pellegrino, Giuseppe de Lutiis, recentemente scomparso, ha pubblicato Il Golpe di via Fani e I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all’intelligence del XXI secolo (entrambi editi da Sperling & Kupfer).
[2] Tra i massimi esperti del funzionamento dei nostri servizi segreti e già consulente della Commissione Stragi presieduta dal senatore Pellegrino, Giuseppe de Lutiis, recentemente scomparso, ha pubblicato Il Golpe di via Fani e I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all’intelligence del XXI secolo (entrambi editi da Sperling & Kupfer).
[3] Cfr. Che cosa sono le BR (BUR, scritto a quattro mani con Alberto Franceschini) e Il misterioso intermediario (Einaudi 2003, con co-autore Giuseppe Rocca).
[4] Cfr. G. Galli, Piombo Rosso – La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 a oggi, Baldini Castoldi Dalai editore, pag. 226 e seguenti.
[5] Il testo integrale del comunicato di rivendicazione dell’omicidio Giorgieri a firma delle BR-UCC si trova pubblicato a questo indirizzo: http://www.sebbenchesiamodonne.it/rivendicazione-delliniziativa-contro-licio-giorgieri/
[6] Saverio Tutino, Il piombo delle ali, Linus, maggio 1987, pag. 37-40
[7] Cfr. Silvio Maranzana, Giorgieri ucciso 25 anni fa. Ma i misteri restano aperti, articolo pubblicato su Il Piccolo il 21 marzo 2012
[8] Si osservi la reazione infastidita di Geraldina Colotti al discorso di Antonino Galloni pronunciato nel corso del convegno dal titolo Nelle vene dell’America Latina, organizzato dal nuovo P.C.I. a Roma il 10 dicembre 2016 (video consultabile al seguente indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=Mm0OYpuNbcs)
bellissimo studio l’ho certamente condiviso
grazie