Il Presepio è alle radici della nostra cultura. Conviene ricordarlo, documenti alla mano, mentre andiamo accorgendoci che cosa comporta la sudditanza.
Può sembrare stravagante ritornare sul Presepio, mentre i paesaggi europei sono attraversati da tutt’altro che cori angelici. Conviene chiedersi se quando avviene oggi sia conseguenza anche delle amnesie sulle vere radici dell’Europa. D’altronde illustri lettori – e colti – di OltreLaNotizia dubitavano che il Presepio (come noi lo conosciamo) avesse un retroterra anteriore a san Francesco. Il retropensiero di taluni potrebbe spingersi ad ascrivere a san Francesco una sorta d’«invenzione» del Presepio, così sconnettendolo dalla Natività, l’evento centrale del Cristianesimo. La banalizzazione del Natale, con l’incessante tentativo di cancellarlo a favore di “feste del sostizio” o sciocchezze consimili, potrebbe fare base sulla parallela banalizzazione di san Francesco.
[cryout-pullquote align=”left” textalign=”left” width=”33%”]LEGGI anche: Qual è l’Origine del Natale?[/cryout-pullquote]Il tentativo di banalizzarlo passa attraverso un corto circuito ben descritto a suo tempo da Benedetto XVI:«Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità.»
Sorvoliamo sulla attualità di questa banalizzazione che si ripresenta dai piani più alti della Chiesa.
Il documento che OltreLaNotizia offre è questa volta per palati fini. È molto lungo ma merita la vostra attenzione perché, ancora una volta, riscoprire il nostro passato e le nostre radici comuni, quelle vere, ci consente di capire meglio quanto sta accadendo oggi e quanto si prepara per il futuro, senza tirare in ballo le convinzioni di ciascuno.
Questo è esattamente quanto vogliono impedire i padroni di quel preside ignorante che proibisce il Presepio, illudendosi di parere moderno, assieme alle maestrine padane, senza avvedersi d’essere le galline e il cappone del medesimo pollaio nel quale vorrebbero rinchiuderci.
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Origine dei presepi in Roma
Non ha molto fu espressa l’opinione che l’usanza, tanto comune in Occidente, di rappresentare il presepio colla Natività di N.S. sia derivata da una costumanza greca, di esporre nella festa di Natale dei quadri rappresentanti quel mistero.
Era difatti antico costume nella chiesa greca, in ciascuna delle teste di Gesù Cristo e della sua Madre, di esporre un’immagine del mistero celebrato in quel giorno, collocandola sul così detto proskynitarion alla vista dei fedeli per loro devozione ed istruzione. Così al 24 dicembre si metteva fuori il quadro del presepio di Betlemme, come ad es. per l’abazia greca di Grottaferrata presso Roma ce l’attesta il typikon, quivi stesso compilato nel 1300. Da cosiffatte immagini pertanto Roma, l’Italia, indi il resto dell’Occidente avrebbero imparato a raffigurare plasticamente il mistero della Natività di Cristo nei presepi, divenuti poi così popolari[1]. Tale la sentenza sopra accennata.
[cryout-pullquote align=”left|center|right” textalign=”left|center|right” width=”33%”]Questo articolo è tratto da «ARCHEOLOGIA DEL “PRESEPIO” IN ROMA (V-XVI Secolo)» di H. GRISAR S.I. apparso su “ Civiltà Cattolica” 4/1908[/cryout-pullquote]Il fatto è però che l’origine della pia costumanza del presepio è molto più ragguardevole e accompagnata da circostanze tali, che mostrano molto meglio l’indipendenza e l’originalità di Roma e dell’Occidente.
Similmente essa rimonta un bel pezzo più in su di San Francesco d’Assisi, al quale lo ascrive una opinione molto divulgata, ma senza fondamento. Poiché la notizia autentica – che è quella riferita da San Bonaventura nella vita di San Francesco – non pretende per niente che la devota usanza sia stata introdotta dal serafico santo, ma dice semplicemente così: «Tre anni avanti la sua morte fece egli fare un presepio per memoria della nascita di Cristo e per eccitamento di devozione, avendone prima implorata e ottenuta licenza dal papa[2]. Ora l’esempio d’un tanto così caro al popolo dette nuovo e vigoroso impulso a quella divozione, ed a Roma in particolare nella chiesa d’Aracoeli per opera dei frati Minori, che vi risiedono da secoli, la divozione del presepio di Gesù Bambino portò graziosi fiori di pietà e d i poesia. Oggi stesso la vediamo dura re quando nelle foste di Natale il popolo su per la ripida scala della veneranda chiesa concorre a sentire gl’ingenui discorsini e le strofette che i bambini romani recitano al Bambino Gesù giacente sulla paglia tra i pastori.
[cryout-pullquote align=”right” textalign=”justify” width=”33%”]È naturale a questo proposito ricercare quali siano i più antichi esempi del presepio rappresentato dall’arte cristiana. L’anzianità pare qui che spetti ad un bassorilievo dell’anno 343, probabilmente d’un sarcofago, del quale non ci rimane però che un disegno. La sua data è determinata da un’iscrizione consolare: PLACIDO ET ROMVLO CO… In esso è il Bambino con la Madre, i pastori, il bue e l’asino e la stella.[/cryout-pullquote]Ma fin dal primo millennio altri santuari romani erano andati innanzi nella rappresentazione del presepio del Signore. La basilica vaticana possedeva già sotto Giovanni Vll (705-707) un «praesepe sanctae Mariae» come lo chiama il Liber pontificalis, ed era un oratorio che sorgeva al luogo dove si fece poi la porla santa, decoralo da quel papa di ricchi mosaici e in grazia d’una grande immagine di Maria nell’abside chiamato anche «domus» oppure «oratorium sanctae Dei genitricis.»[3] Di quest’oratorio, demolito nella rifabbrica di s. Pietro, e della sua decorazione abbiamo degli studi di ricostruzione fatti dal p. Garrucci e dal De Rossi[4].
D’un altro presepio fa memoria il Liber pontificalis, cioè quello eretto da Gregorio IV (827-S t.4) nella basilica di s. Maria in Trastevere. Esso era adorno di lastre d’oro e d’argento, ed è notato espressamente che era disposto secondo il modello di quello di s. Maria Maggiore «ad similitudinem praesepii sanctae Dei genitricis, quae appellalur maioris», come dice l’autore nel suo cattivo latino[5].
Questo terzo ed ultimo presepio di Roma cristiana antica a noi conosciuto, cioè il presepio di s. Maria Maggiore, era il più famoso e insieme il più aulico, prendendo, ben inteso la parola presepio nel senso d’un luogo ossia cappella, che rappresentasse la grotta della Natività. Prima s’era ritenuto che esso rimontasse al più a papa Teodoro (642-649); ma della sua esistenza è già fatta menzione un secolo innanzi nell’atto di donazione della «gloriosissima femina Flava Xanthippe» del quale atto il testo ci è pervenuto in un’iscrizione. Da questa apprendiamo che fin d’allora la chiesa di s. Maria Maggiore era denominata correntemente col titolo «ad praesepem», ovvero «ad praesepe». Il Marini nei suoi Papiri diplomatici assegna al testo la data della metà del secolo sesto incirca.[6] Dal presepio di s. Maria Maggiore pertanto dobbiamo prendere le mosse per venire a conoscere qualcosa di più sicuro anche intorno agli altri presepi di Roma nel primo millennio.
Questo celebre e venerato santuario consisteva in un piccolo oratorio, che ritraeva esattamente la forma della grotta di Betlemme. Nei documenti che ne parlano esso è designato non solo col nome di presepe, ma talora altresì con quello di oratorium[7], e nell’iscrizione sepolcrale del cardinal Gonsalvo nella navata destra della basilica (a. 1299) è chiamato «antrum praesepis». Secondo il Liber pontificalis esso aveva un’entrata propria e un altare velato di drappi preziosi con una confessione; inoltre in certi tratti delle pareti interne risplendeva d’argento, ed era stato arricchito dai papi di altri doni di nobili metalli[8]. Per rappresentare la grotta di Palestina il luogo era relativamente assai ristretto; ed essendo, come pare, situato alquanto sotto al livello della chiesa, doveva essere circondato d’una mistica oscurità, che dà ragione anche della frequente menzione dei lumi all’ingresso e all’interno.[9]
Questa sacra cripta servì da nascondiglio al cartulario bizantino Mauricio, allorquando sollo il papa Teodoro egli cercava scampo dall’ira dei persecutori, giustamente per altro sollevatisi contro di lui[10]. Ivi ancora nel 649 doveva, secondo le macchinazioni bizantine, aver luogo l’attentato contro papa Martino I, sebbene poi andasse a vuoto. E più tardi assai Gregorio VII, mentre celebrava la messa, fu quivi sorpreso e imprigionato[11]. Egli stava allora, nel giorno di Natale per l’appunto, celebrando in quella cappella e vi teneva la prima stazione, quella di mezzanotte. Difatto oggi stesso il messale romano ritiene per questa messa l’indicazione «Ad primam missam in media nocte statio ad sanctam Mariam maiorem, ad praesepe» mentre per la terza messa di Natale, tenendosi la stazione all’altar maggiore della basilica, dice semplicemente «Statio ad sanctam Mariam maiorem».
Ma se si domandano notizie precise sull’origine della cappella del presepio e del suo sito primitivo, non abbiamo documenti né per l’una cosa né per l’altra.
Quanto al tempo dell’origine, ebbi già altra volta a proporre in queste note della Civiltà Cattolica l’ipotesi che essa rimonti fino a Sisto III (432-440).[12] Questo papa diede alla basilica quella maestosa forma che nei suoi tratti colle sue magnifiche colonne di marmo pario tuttora si conserva. Il summenzionato documento di Flavia Santippe ci conduce fino al secolo seguente, cioè al sesto, e ci fa sapere che allora il nome di sancta Maria ad praesepe era già del tutto usuale. Ora siccome Sisto nella ricostruzione della basilica volle farne un monumento del concilio efesino in onore della divina maternità di Maria, cosi gli veniva molto naturale di erigere una memoria della grotta di Betlemme allora cresciuta in grande venerazione, anche in grazia della fama che riportavano dai luoghi santi i numerosi ragguardevoli romani, che vi andavano in pellegrinaggio, come p. e. Girolamo e Paola, i quali addirittura vi rimasero. Era così invalso il pio costume di mettersi dinanzi agli occhi quei venerati santuari della Palestina, per via d’imitazioni ovvero d’immagini, che li ritraessero, cercando in queste un compenso per chi non li poteva visitare in persona.
Al qual proposito è da osservare ancora che tra gli splendidi mosaici che papa Sisto collocò sull’arco trionfale in s. Maria Maggiore, e che sempre si conservano, egli non rappresentò né il presepio (forsanche perché non s’adattasse) né l’adorazione dei pastori e degli angeli; e ciò potrebbe essere stato fatto avvisatamente, perché forse il Gloria in excelsis compariva nell’abside, dappoi demolita, e la scena del presepio era riservata al santuario stesso della grotta.
Oltracciò si può congetturare che il presepio fosse collocato dietro l’altar maggiore, per due ragioni. Prima perché cotale disposizione corrispondeva a quella della basilica costantiniana di Betlemme, dove la storica grotta riusciva appunto sotto all’altare maggiore e tuttora si vede. In secondo luogo perché quella posizione centrale era la più acconcia nel riguardo architettonico e liturgico. S’aggiunga la particolare configurazione del suolo in quel punto della chiesa; dove la ripida pendenza del colle Esquilino rendeva necessarie delle grandi sostruzioni, mascherate oggi dalla grandiosa gradinata che conduce al tempio prendendo l’erta del colle poco sopra l’obelisco. E quelle cavità sotterranee dietro l’altare parevano offrire un luogo molto adatto alla riproduzione della grotta di Betlemme.
Checché si voglia pensare di quest’ipotesi, certo è che la fabbrica di s. Maria Maggiore in quel punto si scostava singolarmente dalla disposizione solita delle altre basiliche. La chiesa aveva quivi due absidi, una dopo l’altra comunicanti per mezzo di cinque arcate in giro.[13] Tra le due absidi adunque correva un intervallo, che era riservato a cospicue matrone, durante l’ufficiatura divina (matroneum). Delle predette absidi però ai giorni nostri rimane solo l’esterna, e nemmeno coi propri materiali antichi, perché da Nicolò IV fu ricostruita quando anche fu adornata dei suoi mosaici colla magnifica coronazione di Maria che risplende in mezzo alla conca. Essa inoltre conserva sempre il suo proprio arco trionfale. Ma l’abside interna nel corso del tempo fu soppressa, e solo ne conserva traccia l’arco suo proprio, opera di Sisto III col suo nome e coi suoi mosaici. Se dunque la grotta del presepio era situata in mezzo allo spazio dietro l’altare, allora poteva forse il portico stesso servire d’entrata alla medesima. In qual condizione si trovasse al tempo di Pasquale I (817-824) si può argomentare in qualche modo dal Liber pontificalis, il quale riferisce come riuscendo il luogo assegnato alle donne troppo vicino alla sede del papa, la quale stava in fondo all’abside interna, Pasquale per non essere disturbato, mentre celebrava, dai «consortia populorum», fece alzare la sedia e disporvi intorno alcuni gradini, e in quell’occasione stessa fu altresì sollevato alquanto l’altare. Quanto alla fabbrica odierna della basilica di s. Maria Maggiore, abbiamo ammesso pocanzi che essa sia dovuta a Sisto III. A tal proposito facciamo qui di passaggio alcune osservazioni. Fu opinione spesso ripetuta che la chiesa nella sua forma presente sia opera di Liberio. Contro tale sentenza però ed in favore di Sisto sembra stare l’antica iscrizione dedicatoria di Sisto medesimo, quando essa venga debitamente interpretata. Essa principia cosi:
Virgo Maria tibi Xystus nova tecta dicavi
Digna salutifero munera ventre tuo.
Ora queste parole non avrebbero il loro giusto valore se Sisto avesse solamente coperto con un nuovo tetto l’edificio di Liberio e adornatone l’interno; laddove una nuova e sontuosa basilica riusciva un donativo degno della Vergine glorificata pel frutto delle sue viscere. Una nuova fabbrica ancora richiedeva una nuova dedicazione, al che sembrano alludere le parole nova tecta dicavi, mentre una nuova dedicazione non era necessaria pel solo rifacimento del tetto e per gli ornamenti aggiunti. E fu una buona ventura per Sisto di ritrovare in quelle vicinanze la doppia serie di colonne belle e preparate, col loro architrave rettilineo, quali egli prese probabilmente dal portico di Livia, splendida costruzione di Augusto.
Non è perciò men vero che ivi stesso la prima chiesa fu eretta da Liberio; ma essa era denominata semplicemente basilica Liberti, dicendo il Liber pontificalis che egli eresse questa basilica al suo nome «Hic (Liberius) fecit basilicam nomini suo, iuxta macellum Libiae», espressione conforme allo stile classico antico[14]. E sul conto di Sisto III il medesimo libro soggiunge a luogo suo: «Hic (Xystus) fecit basilicam sanctae Mariae, quae ab antiquis Liberii cognominabatnr, iuxta macellum Libiae, ubi et obtulit hoc…» e qui segue la lista dei doni e dell’entrate date da questo papa alla basilica novellamente rifatta[15]. In quei principi poi la fabbrica era anche detta Sicininum; il qual nome propriamente era la designazione topografica di quella regione nel quarto secolo, come fu confermato recentemente da un frammento d’iscrizione ritrovato nel 1899 col nome di un Aeliocrates (tabernarius) De Sicinino. Dal luogo poi la denominazione passò alla basilica, la quale ebbe forse la sua prima sede in qualche edificio profano preesistente.
Ai tre presepi di s. Maria Maggiore, di s. Pietro e di s. Maria in Trastevere s’aggiunse, nel secolo XIII probabilmente, e per effetto dell’esempio e della tradizione di San Francesco, il presepio dell’Aracoeli così caro al popolo di Roma. Gli accresceva ancora venerazione ed attrattiva popolare l’opinione appoggiata ad una poetica leggenda, che in quella chiesa stessa si conservasse pure l’altare che Augusto imperatore, in seguito d’una visione del divino Infante, gli avrebbe innalzato, dedicandolo «al figlio di Dio». La bella leggenda divulgata largamente dal libro dei Mirabilia[16], s’era talmente impressa negli spiriti che persino in tempi più recenti si usava collocare accanto al presepio la figura dell’imperatore pagano, reminiscenza dell’antica graziosa tradizione. Dal presepio poi la navata della chiesa, dove sarebbe avvenuta la visione d’Augusto, avrebbe preso il nome di navata del presepio[17].
Ciascuno degli altri presepi sopra nominati aveva pure il suo titolo o prerogativa particolare d’onore. A s. Maria in Trastevere per es. era famosa la tradizione della fonte d’olio scaturita alla nascita di Cristo nel luogo della chiesa e di là scorsa fino al Tevere. S. Maria Maggiore si gloriava d’essere essa sola una Betlemme novella, e di possedere sotto il suo altare le reliquie della grotta santa, le quali consistevano in parte di pietre del luogo santificato da Cristo. Il presepio di s. Pietro poi vinceva gli altri per lo splendore artistico e per la ricchezza del decoro, dovuta alla generosità di Giovanni VII e d’altri papi.
È naturale a questo proposito ricercare quali siano i più antichi esempi del presepio rappresentato dall’arte cristiana. L’anzianità pare qui che spetti ad un bassorilievo dell’anno 343, probabilmente d’un sarcofago, del quale non ci rimane però che un disegno.[18] La sua data è determinata da un’iscrizione consolare: PLACIDO ET ROMVLO CO… In esso è il Bambino con la Madre, i pastori, il bue e l’asino e la stella.
Segue a questo, con data cronologica approssimata, un dipinto nelle catacombe di s. Sebastiano vicino a Roma ed appartiene, a quanto pare, ai primi decenni del V secolo.
Diversi altri sarcofaghi romani e galli, del V secolo parimente, se non più antichi, riportano l’immagine coi suddetti particolari. Bue ed asino non mancano mai; essi costituivano un elemento sensibile e popolare, al quale dettero occasione non solo le parole di S. Luca, che Maria depose il Figlio in un presepio, i passi d’Isaia 1, 3: «Cognovit bos possessorem suum et asinus praesepe domini sui»; e di Habacuc 3,2 (vers. dei Settanta)[19]: «in medio duorum animalium»; ma ancora lo Pseudo evangelo di Matteo (c. 14), dove si dice che per l’adorazione del Bambino fatta dall’asino s’erano adempiti questi detti della Scrittura.
Il presepio di s. Maria Maggiore dal secolo XIII in poi
Dopo che Nicolò IV ebbe condotto a termine i suoi grandi lavori a s. Maria ad praesepe verso la fine del secolo XIII, massime intorno alle cadenti absidi, fu chiamato a Roma anche il celebre scultore ed architetto Arnolfo di Cambio, il quale tra gli altri lavori che fece in città ebbe l’incarico di importanti opere intorno al presepio, che indussero notevoli mutamenti. Il Vasari ne scrive così: «In santa Maria Maggiore fece la cappella di marmo, dove è il presepio di Gesù Cristo “. E più tardi dice: «La cappella di marmo dove è il presepio di Gesù Cristo fu dell’ultime sculture di marmo che facesse mai Arnolfo, che la fece ad istanza di Pandolfo Ipotecorvo l’anno dodici, come ne fa fede un epitaffio, che è nella facciata al lato della cappella[20]. La stessa cappella del presepio si trova oggidì a s. Maria Maggiore sotto l’altare del Sacramento nella grande cappella eretta da Sisto V. Là infatti si vedono tuttora gli avanzi dell’opera di Arnolfo nelle statue di marmo conservate in una nicchia dietro l’altare del presepio in s. Maria Maggiore, e sono una Madonna col Bambino, di quella maniera dei pisani in cui riappariva la tendenza classica, S. Giuseppe ed i Magi. Anche i profeti scolpiti in bassorilievo sull’arco d’ingresso alla cappellina ritengono grazioso e devoto fare d’Arnolfo; ed al tempo di lui appartengono parimente al piccolo altare ornato a mosaico e il pavimento a disegni di marmo.
Ora si presenta la questione, come queste opere d’arte, come l’altare e il presepio, così modificati venissero a prendere posto sotto l’altare del Sacramento.
Ma per procedere con ordine nella ricerca si richiede anzitutto di esaminare lo stato del presepio nei tre ultimi secoli e lo stato presente: allora solo potremmo rimontare a ritroso e domandare se mai, per via di congetture, si possa scoprire qualche cosa sulle condizioni della medesima nell’alto medio evo. Ecco frattanto un saggio di ricostruzione del presepio disegnato e proposto dall’architetto inglese H. W. Brewer[21] sul fondamento degli elementi superstiti, ricostruzione che riprodurrebbe la cappella del presepio quale era molto probabilmente avanti il secolo XVI (fig. 1).
A Sisto V, l’energico papa al cui senso artistico è dovuta la magnifica cappella del Sacramento in s. Maria Maggiore, denominata da lui cappella Sistina, è dovuta similmente l’odierna disposizione del presepio nel mezzo della stessa cappella sotto il livello del pavimento. Egli ebbe però tanto di venerazione alla disposizione antica del piccolo santuario, che volle a qualunque costo fosse trasportata integralmente senza scomporla, di modo che si potesse dire che, tranne l’ubicazione, essa era sempre quella.
Egli affidò pertanto la difficile impresa al suo valente architetto Domenico Fontana, il quale non solo la condusse a termine conforme al volere del papa, ma ne lasciò una descrizione di propria mano da lui stesso illustrata d’interessanti disegni, che ci mettono sott’occhio tutti i particolari del difficile e delicato lavoro[22]. La detta descrizione fu dal Fontana posta in appendice a quella del famoso trasporlo dell’obelisco vaticano. E la traslazione del presepio fu annoverata ancora tra i fasti di Sisto V negli affreschi della biblioteca vaticana.
Secondo le misure del Fontana stava l’antico silo della cappella lontano 70 palmi, cioè metri 17,50 incirca, dalla nuova sede ove fu trasportata. Varie e gravi erano le difficoltà da sormontare. Anzitutto la cattiva qualità della muratura, vecchia e disgregata e sparsa di lacune[23]; poi le grandi aperture ossia vani interposti alle parti massicce della fabbrica, cioè il grande arco d’entrata di marmo, e la volta rivestita di mosaico, inoltre un altro ingresso laterale ad arco tondo. Tutto ciò domandava un grande apparato di mezzi meccanici del tutto straordinario per quei tempi, coi quali l’ingegnoso artista riuscì a salvare ai posteri la celebrala cappellina. Il piccolo edifizio venne lutto intorno rinserrato di un’armatura di travi e bandelle di ferro, con una travata che passava da un lato all’altro sollo i muri della cappella, ed un’altra sopra la volta, ed ancora munito internamente d’una controarmatura di centine e puntelli che spingevano la muratura contro il robusto telaio esterno, di guisa che la cappella stava tra le due armature «ristretta come dentro d’un torchio, e… non poteva risentirsi in parte alcuna. Poi quando fu bene rinchiusa… e sprangata di ferri in diversi luoghi… si tagliò attorno attorno dai fondamenti, e sotto di mano in mano vi si ponevano de’ curri (rulli), e quando fu finita di tagliare… si cominciò a tirare con due argani fino al luogo, dove doveva stare al medesimo piano; e poiché si doveva calare a basso fino a palmi dieci sotto terra» fu circondata d’ogni intorno di canapi grossissimi e mediante le taglie e gli argani fu sollevala in modo che «restò tutta in aria sopra le corde; poi si andarono allentando li canapi a poco poco, fino che ella si posò sana e salva sopra li fondamenti quivi fabbricati: quest’impresa riuscì così felicemente, che, pare, che essa Cappella sia stata fabbricata nel medesimo luogo, dove oggi si vede». Intorno alla cappella in giro, al medesimo livello sotterraneo, fu lasciato un corridoio di passaggio, ma sulla pianta del Fontana non si veggono ancora disegnate né la nicchia dietro l’altare dove sono le statue di Arnolfo, né il passaggio laterale verso l’altare dove fu già il sepolcro di Pio V.
L’ingresso anteriore è oggi quello stesso che sotto Sisto V, solamente il quadro di marmo, bislungo, disegnato nella nostra fig. 1, sopra l’arco della fronte, oggi non si vede più, avendo dovuto cedere il posto quando fu collocato sull’altare sovrapposto alla grolla il grande e sontuoso tabernacolo del Sacramento. L’ingresso laterale alla cappellina, che prendeva tutta la sinistra parete, fu sotto Sisto V medesimo chiuso con una piccola balaustra, ed una somigliante venne col tempo sostituita alla cadente parete di destra. La volta della cappella e la nicchia sull’altarino sotterraneo non sono più rivestite di mosaici o di marmi, ma dipinte a imitazione di mosaico. Con tutto ciò in questo piccolo santuario abbiamo sempre in sostanza l’antichissima cappella quale Sisto V aveva trovata; anzi molto verosimilmente essa in qualche modo è ancora quella del suo predecessore omonimo Sisto III.
Ben è vero che tra i due Sisti corre la bellezza di undici secoli e mezzo d’intervallo; ma se nella medesi ma chiesa di Maria Maggiore le lettere ond’è scritto il nome di Sisto III e i suoi stupendi mosaici colle storie dell’infanzia di Cristo ci sono pervenuti quasi intatti, perché dovrebbe tanto stupirci che ci sia stata conservata pure l’imitazione del presepio? Non bisogna dimenticare lo spirito conservatore onde la Chiesa di Roma è stata solita in ogni tempo custodire i suoi santuari, venerati dal mondo intero. Una propria difficoltà rimane solo per il tempo d’Arnolfo, poiché, allora il presepio non fu solamente rinnovato, ma trasportato come tosto diremo, fuori della sua sede primitiva. Quando infatti da Sisto V esso fu trasferito nella novamente eretta cappella Sistina, esso non era più in fondo all’ abside principale della basilica come abbiamo supposto che fosse in antico, ma già aveva preso posto nella serie delle altre cappelle applicate alla muraglia esterna della navata destra della basilica. Tale è l’ubicazione che gli assegna la pianta pubblicata dal De Angelis sulla basilica Esquilina del tempo anteriore a Sisto V[24]. L’entrata è segnata non lungi dal presbiterio, ed era di fatto a 70 palmi incirca di distanza dalla posizione presente. Ora è probabile che a cotale trasloco abbiano dato occasione le trasformazioni fatte alle absidi da Nicolò IV; giacché soppresso coll’abside interna di Sisto III anche il recinto, dove s’apriva l’entrata al presepio, conveniva per discenderci traversare tutto il presbiterio, passare quindi anche direttamente dinanzi alla cattedra episcopale, ivi in fondo collocata, con grande disturbo delle funzioni. L’unico rimedio per salvare la divozione popolare al presepio del Signore, che era da secoli ornamento e vanto di questa basilica, era trasmutarlo altrove. E si può ben presupporre che a tale effetto s’adoprasse ogni diligenza e tutti i mezzi che l’arte d’allora poteva sopperire.
Ma notizie dirette sulla forma e disposizione del santuario nel XIV e XV secolo, non ne abbiamo per niente. La pianta del De Angelis summentovata è così imperfetta che raffigura la cappella del presepio come tutte le altre, un rettangolo con un altare e basta. L’opera del Valentini non contiene niente di meglio[25]. È da notare solamente l’altare di s. Gerolamo dal De Angelis collocato in mezzo alla navata laterale dinanzi all’entrata del presepio, e che oggi del pari si trova a sinistra di chi entra nella cappella Sistina[26]. Ora il santo dottore aveva un giusto titolo da ritrovarsi così vicino al presepio: perché siccome egli aveva trascorsi presso la grolla di Betlemme gli ultimi suoi anni e accanto a quella si era eletta la sepoltura, cosi a Roma s’era voluta onorare la memoria del suo riposo con un altare accanto a quello del presepio.
Più individuale è il disegno della cappella medievale nell’opera dell’Adinolfi Roma nell’età di mezzo. Esso proviene a quanto pare dal Becilli, e riporta uno spazio anteriore e una piccola grotta dietro (spelunca et praesepe), poi l’ampio arco dinanzi e l’arco d’ingresso laterale; ma il disegno è sbagliato e arbitrario. L’arco d’entrata è circondato di pietre rozzamente tagliate per ricordare forse la grotta scavata nel masso e che possono anche essere una reminiscenza di qualche antica disposizione del santuario medesimo[27].
Due artisti dai quali si sarebbe potuto aspettare qualche idea sulla figura del presepio di Roma erano Mino da Fiesole e Pietro Cavallini. Ora il primo, tra i bassorilievi che scolpì per l’altare di s. Maria Maggiore, ne dedicò uno alla nascita del Bambino nella stalla, ma non vi pose alcuna allusione al presepio della chiesa, eccetto la divisione naturale dello spazio in due parti, una anteriore e una posteriore[28]. Il Cavallini poi ha dipinto la natività di Cristo in forma drammatica nella basilica di s. Maria in Trastevere, e non dimenticò il miracolo del fonte dell’olio; ma non vi riporta alcun tratto che ricordi il luogo reale della nascita o il presepio di quella chiesa stessa, fatto a somiglianza di quello esquilino.
3. Il presepio esquilino nell’antichità. Conclusioni e congetture
Se dalle cose predette appare che intorno alle condizioni del presepio di s. Maria Maggiore nell’antichità ci dobbiamo rimettere a indizi solo più tardi conosciuti, tanto maggior interesse debbono presentare alcune osservazioni circa tal soggetto, in quanto che esse in qualche modo riguardano l’antico stato della grotta di Betlemme.
Rifacciamoci anzitutto dall’entrata. L’arco ribassato che vi si apre sopra (fig. 1) deve manifestamente ricordare la forma della grotta o meglio ritrarre da quella stessa la propria figura. Abbiamo differenti oggetti antichi, sui quali è rappresentata la grotta di Betlemme, e in cui il ritorno persistente della medesima particolarità difficilmente potrebbe essere casuale. Ecco (fig. 2) in primo luogo una miniatura del IX secolo circa, appartenente al tesoro del Sancta Sanctorum recentemente scoperto[29]. Essa è tratta dal coperchio d’una cassettina di reliquie di Palestina, sul quale sono dipinti vari misteri di N. S. e i luoghi corrispondenti. Quivi la grotta è raffigurata con un’apertura ad arco similissimo a quello del presepio romano.
In forma del lutto somigliante si stende l’arco sulla scena del presepio in una miniatura del codice siriaco di Rabula[30], conservato alla Laurenziana in Firenze; e di nuovo in una delle ampolle di Monza, quei notissimi vasetti di piombo appartenenti al VI secolo e fregiati di preziosi rilievi figurati, che i pellegrini riportavano pieni dell’olio che ardeva dinanzi ai luoghi santi[31].
Per quel che spetta la distribuzione interna, nel presepio di s. Maria Maggiore lo spazio dinanzi è più grande e nettamente distinto dallo spazio posteriore, e non si può dubitare che il rapporto delle grandezze non ritragga quello dell’originale. La prima area che nella fig. 1 si scorge dietro l’inferriata, oggi soppressa, sarebbe ciò che a Betlemme gli antichi ragguagli chiamarono «spelunca»; mentre la piccola nicchia di sfondo era designata dai pellegrini col nome di «praesepe» propriamente[32]. Nella spelunca Maria avrebbe dato alla luce il divin Salvatore, e nel presepio l’avrebbe deposto. È questa una distinzione notevole, che occorre già presso Origene, e che noi ritroviamo sull’Esquilino[33]. Nella basilica di Betlemme il praesepe conserva anche oggi la forma tonda absidale, come nella piccola cappella di s. Maria Maggiore, ma la spelunca nel corso del tempo fu a Betlemme notabilmente ampliata. Tanto più importanti sono le misure del facsimile romano: la profondità della cappellina dalla fronte esterna alla parete di fondo m. 1,54 appena – larghezza della fronte tra i pilastri dell’arco m. 2,96 – altezza fino al vertice dell’arco m. 2,20 – larghezza della nicchia m. 1,40.
La posizione reciproca della nicchia e dell’altare nella cappella di Roma sembrano corrispondere anch’esse all’originario tipo di Betlemme; e n’abbiamo notevoli indizi in antichi monumenti. È da notare soprattutto nell’altare del presepio romano (fig. 1) la grande inquadratura, che apparisce sul prospetto, la quale a principio doveva essere aperta o almeno munita di una grata e formava la così detta fenestella, come di frequente s’incontra negli altari romani e più generalmente nell’antichità cristiana. Ora nella miniatura già riportata del tesoro del Sancta Sanctorum, disgraziatamente non molto ben conservata, tra le due figure di Maria e di Giuseppe si vede apparire in fondo nel muro verticale sotto il Bambino per l’appunto un’apertura arcuata, delineata in bianco. In un’altra rappresentazione della Natività, sopra una lastra d’avorio appartenuta già alla cattedra di Massimiano a Ravenna (e ora nella collezione Stroganoff) che è del VI secolo, si vede ancora più chiaramente una simile apertura in forma di finestra nella parete che sostenta il Bambino. Cotali aperture sembrano costituire un singolare parallelo con la fenestella del nostro altare, o che volessero effettivamente alludere ad un altare disposto in modo da poter celebrare sulla superficie stessa del presepio, ovvero indicassero una nicchia da riporvi delle reliquie e altri oggetti di devozione al contatto con quelle sante memorie. In ogni caso queste immagini paiono confermare che nell’altare dell’Esquilino e nella sua grande fenestella abbiamo un’imitazione dell’originale.
Riprendendo la miniatura del Sancta Sanctorum (fig. 2), la sua composizione si può considerare come un tipo, nato probabilmente nei luoghi santi di Palestina, e seguito poi quasi universalmente nell’antica arte cristiana, massime dal sec. VI in poi, per rappresentare il mistero della nascita del Signore.
Nello stesso tesoro del Sancta Sanctorum p. e. esso ritorna altre due volte cioè nella croce smaltata e nella sua teca d’argento. Maria vi si presenta come puerpera adagiata sopra una stuoia o tappeto da una parte, e dall’altra siede San Giuseppe pensieroso col capo appoggiato ad una mano; nello sfondo tra loro due è il Bambino con un gran nimbo intorno al capo, e avvolto nelle fasce; presso a lui si scorgono le teste dell’asino e del bue; e dall’alto la stella attesta la divinità dell’infante. Un elemento singolarmente variabile è la forma del giaciglio ove riposa il Bambino. Quando è una vera mangiatoia, quando una specie di sarcofago di marmo, quando ancora una cassetta di legno delle forme più svariate, o anche una cesta ovale di giunchi o semplicemente un fastello di paglia.
Da tutte le cose fin qui esposte possiamo anche cavare alcun elemento per congetturare con buon fondamento, quale composizione o in affresco o in mosaico decorasse la grotta di Betlemme e la cappella di s. Maria Maggiore nell’antichità. La più probabile tra tutte ci sembra appunto la testé descritta rappresentazione della Natività; anzi è molto verisimile che da queste sante grotte appunto dell’antica e della nuova Betlemme quella scena prendesse le mosse per la gloriosa carriera, che le era riservata nel mondo dell’arte cristiana.
Non senza qualche verosimiglianza ancora si possono estendere le congetture all’abside della basilica di Betlemme, che rimonta all’età costantiniana, della quale non consta quali figure contenesse, ma certo doveva accogliere qualche soggetto solenne e pieno d’espressione. Qui di buon grado possiamo seguire il Dr. Baumstark, da noi citato a principio di queste pagine (v. n.1). Vogliamo dire una composizione proveniente da Terra Santa e riportata da una delle ampolle di Monza (v. fig. 3), la qual composizione nella sua unità e nell’altezza del concetto che rappresenta, ha tutta l’idea d’una grandiosa scena da mosaico atta a risplendere solenne dalla conca in fondo ad una basilica. Levando il gruppo dei capri saltellanti, che si vedono in fondo, e tralasciando l’iscrizione in giro; si consideri la sola scena accennata di mezzo, Maria in trono col Figlio adorato dai pastori e dai Magi, con gli angeli librati fra cielo e terra quali mediatori nelle primizie del culto reso all’uomo-Dio; tutto questo costituisce un solenne disegno, proporzionato alla dignità di quella veneranda basilica di Maria.
E da Betlemme ritornando a Roma, anche qui una composizione somigliante potrebbe avere magnificata la Madre di Dio nella basilica di Sisto III, almeno col Gloria in excelsis degli angeli e forse con l’adorazione dei pastori, perché i Magi avevano già il loro posto nell’arco trionfale.
H. GRISAR S.I.
[1] cfr. A. BAUMSTARK, Krippe und Weihnachtsbild, Köln. Volkszeitung 1907, Weihnachlsbeilage p. 15.
[2] Leggenda di S. Francesco, cap. 10; Opp. ed. Lugd. 1668, vol. 7, pag. 291.
[3] Liber pont. Ed. L. Duchesne, 1 pag. 385, Ioh vol. 7 n. 167 con la nota 2 dell’editore
[4] GARRUCCI, Storia dell’arte cristiana, tav. 279, 280, 281. DE ROSSI, Musaici nelle chiese di Roma, fascicolo 23. Ambedue fanno il catalogo degli avanzi dei musaici dispersi in diversi luoghi. Recentissimamente un frammento inedito è stato pubblicalo da Alfonso Bartoli nella città di Orte, cioè la metà superiore d’una Madonna, figura attribuita da lui con probabilità alla Scena della Natività. Si veda la sua descrizione nel Bollettino d’Arte del Ministero della P.I.
[5] Liber Pont. 2 pag.78, Gregor IV n.470 sq.
[6] Pag. 141; cr. 299, 301. Nella linea 31 della copia lapidaria dell’atto, conservata in s. Maria Maggiore si parla dei mansionari BASILICaE SCae DI GENETRICIS QA AD PRESEPEM. Il Q ed A coll’abbreviatura si deve leggere: quae appellatur.
[7] Liber Pont. 1 p. 418 Greg. Ill n. 196: Fecit ibidem (in ecclesia sanctae Dei genitricis ad Praesepem) in oratorio sancto, quod praesepe dicitur, imaginem auream Dei genitricis amplectentem Salvatoris.
[8] Il Liber pontif. parla sotto Adriano I dell’altare ipsius Praesepii e della confessio dell’altare; sotto Leone III della vela ante Praesepe e d’una vestis intus Praesepe; sotto lo stesso Leone III delle regiae (porte) in ingressu Praesepii; finalmente sotto Sergio II della camera Praesepii, cioè del soffitto, che fu ornato di tavole d’argento: camera praesepii nostri Iesu Christi, quod basilicae beatae Dei genitricis dominae nostrae conectitur que Maior ab omnibus nuncupalur Dalla parola connectitur, si deduce che il presepio non era situato nella basilica stessa, ma nella sua periferia. Ciò sembra anche essere indicato dall’appellazione «S. Maria ad Praesepe».
[9] Un farus in modum retis ex argento purissimo, destinato ai lumi fuori della porta, è rammentato più oltre nel Liber pont. sotto Leone III.
[10] Liber pont. I p. 331, Theodorus n. 126: fugit ad beata Maria, ad Praesepe.
[11] Watterich, Pontif. Roman. vitae (Lipsiae 1862) 1 p. 819.
[12] Civiltà Catt. 1895, vol. 4, p. 472
[13] Rohault de Fleury, Les Saints de la Messe et leurs monuments, vol. 1 Les vierges, S. Marie-Majeure planche IV. –Duchesne Liber Pontificalis 2, p. 67, note 30. – cfr. ib. Paschal. I n. 477.
[14] Liber pont. 1 p. 108, n. 52, Liberius
[15] ibid. Xystus, n. 63.
[16] Mirabilia Romae ed. H. Jordan (Topographie der Stadt Rom. vol. 2, p. 607 ss) p. 619.
[17] «Cappella di s. Elena, detta anticamente del Presepio, è il luogo dell’Ara; nel 1130 fu ornata da Anacleto papa» Così la relazione inserita nello Stato temporale della chiesa di Roma, presso M. Armellini, Le Chiese di Roma 2 ediz. p. 545
[18] Garrucci, Stor. d’art. crist. Tav. 398 n. 8
[19] Missale rom. fer. VI in Parasceve, nel Tractus preso dall’antica versione itala.
[20] Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori ecc., ed. Firenze 1846, vol. I, p. 244, con la nota 3. L’anno dodici però deve essere una falsa lezione dell’iscrizione, perché Arnolfo morì nel 1310. Per i lavori indicati si confronti Venturi, L’Arte 1905 fasc.2.
[21] Disegno comunicatoci per favore, e pubblicato in una Vita di S. Ignazio di Loyola in inglese
[22]Della traslazione dell’obelisco ecc. in Castelli e Ponti di maestro Nicola Zabaglia, Roma 1743, fol. tav. 53, e 54.
[23] …essendo fatta di molti pezzi di mala materia, antica e piena di voti.
[24] Basilica Sanctae Mariae Maioris descriptio, Romae 1621 fol. tav.alla pag. 56.
[25] Valentini, La Patriarcale Basilica Liberiana, Roma 1839, fol.
Nella tav. 79 è il disegno della presente cappella del presepio e la pianta dell’antica cappelletta del presepe «dal Fontana trasportata». Ma l’ultima pianta ripete solo gli elementi del Fontana.
[26] Valentini, tav. 2 e pag. 90.
[27] Adinolfi, Roma nell’età di mezzo, Roma 1881, vol. 2, p. 186
[28] Riproduzione presso Venturi, La Madonna. Milano 1900, p. 244.
[29] L’immagine ha qui la grandezza vera dell’originale. — Cf. Grisar, Il Sancta Sanctorum, p. 165; ed. tedesca p. 115. Lo stesso tratta di una rappresentazione del Santo sepolcro eseguita sulla medesima cassetta nella Rassegna Gregoriana, Roma, 1907, n. 3-4; cf. la figura dell’edizione tedesca p. 117.
[30] Garrucci, tav. 130 n. 2.
[31] Garrucci, tav. 433 a. 8. Si vedano anche gli avanzi della scena di Betlemme dipinta nel sec. 12 incirca nel portico di s. Maria in Cosmedin.
[32] I testi relativi presso Grisar, Analecta Romana, vol. 1, p. 578 sg.
[33] Contra Celsum, l.1, c. 51, Migne P.G., vol. 2, p. 756
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Accidenti, Piero.
Più che un articolo chiarificatore, questa roba è un castigo di Dio! Me lo sono meritato.
Scherzi a parte. E’ ben circostanziato. Tuttavia non vorrei sembrare pedante oltre misura, ma non mi sembra dipanato il problema che ha portato ad assegnare tradizionalmente la nascita “dell’usanza di fare il presepio a Natale” a san Francesco. Assolutamente incontestabile l’origine della rappresentazione della Natività così come è stata dottamente ricostruita dall’articolista, ma fino alla performance di Francesco essa rappresentava solo l’espressione di arte sacra promossa dal clero. Luogo di culto, oratori, non certo usanza “spot” per celebrare il Natale. Non certo diffusa usanza dei cattolici nei giorni dell’Avvento. Penso sia solo questa la differenza.
La questione del contendere era:“La storiografia sull’argomento – unanimemente e indiscutibilmente – assegna la prima rappresentazione della Natività (il primo presepe) ad opera del Santo di Assisi.” Mi pare che questo articolo metta una pietra sopra alla questione “rappresentazione della Natività”. Come ho scritto in premesse – e ribadisco – ascrivendo a san Francesco una sorta d’«invenzione» del Presepio, lo si sconnette dalla Natività, l’evento centrale del Cristianesimo. Da qui probabilmente alcuni non casuali equivoci.