La meritocrazia è un disvalore, afferma Bergoglio davanti agli operai dell’ILVA di Genova. Un altro madornale errore dell’argentino, come spiega autorevolmente E. Gotti Tedeschi.
[cryout-pullquote align=”left” textalign=”justify” width=”33%”]Pubblicato sul quotidiano La Verità [/cryout-pullquote]
Ho letto il commento-intervista di Giordano Riello: “L’industriale al Papa :<Sulla meritocrazia sbaglia> “apparso ieri su La Verità. Per Riello, correttamente, la meritocrazia, come di seguito cercherò di definire e spiegare, non legittima affatto eticamente la diseguaglianza. Una certa meritocrazia è invece altamente educativa. Meritocrazia è, in un linguaggio comune un po’ rozzo, il contrario esatto di nepotismo. E l’espressione nepotismo, curiosamente, nasce proprio in casa della Chiesa. Nel medioevo i papi che non praticavano, con merito, la necessaria castità, facevano chiamare ‘nipoti’ i figli avuti, e subito i privilegi loro concessi si definirono nepotismo, contrario appunto di merito.
[cryout-pullquote align=”right” textalign=”justify” width=”33%”]«Un altro valore che in realtà è un disvalore è la tanto osannata ‘meritocrazia’. La meritocrazia affascina molto perché usa una parola bella: il ‘merito’; ma siccome la strumentalizza e la usa in modo ideologico, la snatura e perverte. La meritocrazia, al di là della buona fede dei tanti che la invocano, sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza»Begrgoglio, nel suo discorso agli operai dell’ILVA di Genova[/cryout-pullquote]
Meritocrazia, nel senso usato da Giordano Riello, direi che significa impegno responsabile, per il bene comune, il contrario di mediocrità e nepotismo. Suona anche esser un invito alla giustizia morale ed economica di chi opera contro la diseguaglianza con i fatti non con le parole. Perciò bravo Riello. In questi giorni è uscito un mio libro “Dio è meritocratico”, proprio per tentare di esser provocatorio e lievemente polemico verso chi sostiene che la grazia è scontata, concessa a tutti in qualsiasi condizione, solo per i meriti di Cristo, non per i propri. E per questi diseducatori è persino peccato di orgoglio presumere di voler cercare meriti propri. Ecco questa illusione, appunto diseducativa, non mi piace proprio. Il cattolico deve cercar di acquisire, e vivere, praticare esemplarmente, le virtù con meriti propri. La fede vuole opere, la fede va messa in pratica con le opere, altrimenti dove si vede che la fede c’è? dove si vede che il cattolico si sforza di imitare Cristo? nel Vangelo Gesù spiega che “nella casa di mio Padre ci sono tante dimore “. Sant’Agostino spiega questa frase con i vari gradi di beatitudine previsti per i vari gradi di santità acquisiti con vari gradi di merito e premio per le azioni virtuose compiute. Questo è educativo.
Se invece Dio fosse” meritocratico”, nel senso attribuito a tale espressione dalla cultura liberista, significherebbe che Dio valuterebbe le sue creature basandosi esclusivamente sui loro meriti o sul quoziente intellettuale ben esercitato. E ciò non può essere, i meriti che Dio apprezza, mi piace crederlo, son soprattutto i meriti cercati ed acquisiti, imparando a vivere in questo mondo cercando di santificarlo e perciò santificare se stessi nel proprio lavoro quotidiano (come insegnava San Escrivà). Consiste nel saper lottare contro il peccato e sapersi pentire. Altrimenti l’Amleto di Shakespeare sarebbe più generoso del Creatore. Infatti William Shakespeare, nell’Amleto appunto, immagina una conversazione tra tal Polonio ed Amleto, riferita a come trattare alcuni servi. Polonio dice: “li tratterò secondo del loro merito” Risponde Amleto : “ Se si trattasse ognuno a seconda del suo merito, chi potrebbe evitare la frusta?”.
E’ la miseria morale, il peccato che permette l’egoismo, l’avidità, l’indifferenza al prossimo. Non è l’iniquità (interpretata secondo qualche formula di teologia della liberazione) l’origine degli errori che comportano diseguaglianza e miseria materiale. Certamente non è l’economia ad uccidere, è l’uomo mal formato che la usa male che crea le condizioni di disagio economico. E chi è responsabile della formazione morale dell’uomo se non la Chiesa? Se l’uomo perde il senso delle azioni, perdendo il senso soprannaturale della vita, non è forse responsabilità di chi doveva insegnargliele? Cioè dei sacerdoti? Se gli strumenti economici hanno preso (peraltro come quelli scientifici) autonomia morale ed han creato disastri, la corresponsabilità di chi è se non di chi con il magistero, la preghiera, i sacramenti, non ha saputo ispirare il cuore dell’uomo? e si è invece occupato, “dal pulpito”, di disquisire di economia, di politica, di sociologia, senza neppure conoscerle magari? La chiesa è esperta di “anime “, di morale, non di impresa o economia. Benedetto XVI lo ha ben insegnato in Caritas in Veritate, caro Riello.
[cryout-pullquote align=”right” textalign=”justify” width=”33%”]Pubblicato sul quotidiano La Verità [/cryout-pullquote]