Non posso esimermi dal lanciare un appello: penso che tutti quelli che si occupano di comunicazione dovrebbero lanciare una richiesta di moratoria. La moratoria dell’eufemismo, la peculiarità più diabolica del nostro tempo. Occorre restituire alle cose il loro nome. Questo è l’atto più rivoluzionario che esista.Mi direte: che bisogno c’è di una moratoria “della Crusca”? Le denominazioni politically correct sono già sbeffeggiate ogni giorno. Certo, ma per fare dell’ironia, in elzeviri compiaciuti, come se fosse un problema di stile, di educazione. Così si perde di vista la devastazione operata dall’eufemismo.
L’eufemismo è estremamente pericoloso: già in passato ha permesso ai banalissimi esecutori del male di autoassolversi (senza eufemismi – per intenderci – il “normale” Eichmann non avrebbe potuto fare quello che ha fatto). Se un ebreo lo chiami cinquanta volte cane, cessa di essere un uomo. E lo sterminio diviene naturalmente una semplice “soluzione”.
Dai il nome opportuno a qualcosa e ogni azione diviene lecita a piacimento. Basta definire diritto una qualsiasi pretesa della più ristretta minoranza e di colpo quel comportamento è inattaccabile. Anche se nessuna assemblea ha mai sancito quel diritto, anche se la balla dell’inalienabile diritto l’ha tirata fuori dal cilindro un singolo attivista o il giornalista al seguito.
Pensate alla custodia cautelare, questo termine così amorevole: cura, custodia. Com’è carezzevole, sembra alludere a un sollecito ricovero, a un deposito in bambagia. Si dica carcere preventivo invece, e vedrete quanto una società civile possa tollerarlo. La nostra società non è in grado di tollerare più nulla che non sia confezionato in questo gergo da confezione natalizia. E ognuno di questi termini ha vita brevissima. La sostanza viene sempre fuori dal suo bel pacchetto, così in poco tempo handicappato – termine all’inizio così neutro nella lingua straniera – è divenuto un insulto e via di corsa a cercare nuova carta da pacchi, sempre più ridicola, sempre più lunga: dove bastava una parola ce ne vogliono due, tre, un’intera frase, una coperta infinita come i rotoloni Regina, ma sempre troppo corta. Nulla ci è più comprensibile: detti, proverbi, la saggezza popolare, il mondo classico, la Bibbia. Chi va col diversamente deambulante impara a diversamente deambulare. Vi sembra proponibile? Così negli ospedali si è cancellata la parola Primario, che pure aveva resistito fino a pochi anni fa, perché gli altri medici trovavano umiliante Aiutare o Assistere. Ora il Primario di chiama Dirigente di II livello. Secondo livello, come seconda scelta: non solo uno tra tanti ma addirittura un sottoposto. Naturalmente il paziente tenderà a dare più credito a un Assistente, che sul badge porta scritto Dirigente di Primo Livello. Primo, ovviamente il più importante.
Il potere del nominare è immenso. Si tende a pensare che le parole cambino dopo che la realtà è cambiata. Non è mai così: non può cambiare nulla nella società, non c’è rivoluzione possibile, se prima una élite non impone un nuovo lessico. Quando si intende imporre una nuova legislazione, si cambiano i termini della questione: il resto segue. Se si decide di rinominare mamma e papà Progenitore A e Progenitore B, c’è un motivo preciso: si ha chiaro in mente un percorso distruttivo per la famiglia tradizionale che non può prescindere da uno stravolgimento lessicale. Può essere un procedimento legittimo ma tutti devono essere consapevoli, se avallano queste derive, della propria responsabilità.
C’è poco da ironizzare su questa perniciosa pratica: l’eufemismo è un delitto. L’eufemismo uccide la verità (termine grosso, sì, potete utilizzare il più neutro realtà, non incorrerete nel peccato di eufemismo) poi ci permette di sopprimere la vita. Ascoltate una donna incinta che parla di una gravidanza che intende portare a termine. Si rivolge al contenuto del suo grembo come a un bambino, da subito. Già nei primi giorni ne parla designandolo con un nome proprio, quello che gli darà al battesimo. Nell’altro caso, invece, si parla di embrione, feto, o, meglio ancora, non lo si nomina del tutto. Si tenta di considerarlo un’escrescenza, una cisti. Così un omicidio diventa faccenda di donne, confuso tra perdite, mestruazioni e ritardi, quelle robe lì. Se lo si chiamasse bambino non si potrebbe evitare di chiedere il parere – almeno “consultivo”, formula ipocrita che sta in tanti atti amministrativi – di chi, qualche mese dopo si vedrebbe investito fino alla morte, in qualità di padre, da responsabilità giuridiche, economiche, morali.
Se usi il termine appropriato, permetti anche alla ragazzina incinta di essere consapevole. Consapevole davvero, non intronata dalla speciosa terminologia adoperata dalle riviste femminili e dai quotidiani progressisti.
Intendiamoci, non si tratta di fare del terrorismo psicologico, anche se a volte pare che per scuotere le coscienze assonnate non ci sia altro modo. Non è necessario definire l’aborto un omicidio: basta usare termini comuni, normalissimi, che in passato sarebbero stati giudicati neutri, tecnici. Come aborto, appunto. Se soltanto, in un colloquio al consultorio, senza cambiare una sola virgola di quello che sono i normalissimi approcci, si usassero le parole aborto e bambino, invece di alludere a quell’incomodo come a una cisti, il numero di aborti diminuirebbe automaticamente. Occorrerebbe bandire, perciò quelli anestetizzanti come IVG. E tante altre orrende pericolose sigle. Le sigle sono l’ultima moda in fatto di eufemismo, l’eufemismo perfetto.
Ogni ambito della vita pubblica sarebbe vivificato dall’esattezza lessicale. La limpidezza, l’attenersi al termine appropriato, consacrato da una tradizione che non è soltanto letteraria, è un imperativo morale. Il neologismo va cercato e accettato quando ci regala più significato, non quando diminuisce o nasconde.
Volendo anche “moratoria lessicale” è un eufemismo, preferibile sarebbe “divieto di metter le mutande alle parole”.
Con stima
Caro Paoloni,sei un ragazzo intelligente,hai perfettamente ragione. io ho 85 anni,sono avvocato e vivo all’estero dal
1979, per capire un paese,la sua storia, il modo di pensare e
di vivere della sua gente ho impiegato 10 anni e non ho an
cora finito,invero c’è sempre qualcosa da imparare anhe alla
mia età. Ho lavorato in tanti paesi,ho conoscuto popoli di-
versi, quelli che usavano sposarsi tra cugini o consanguinei
hanno delle tare inguaribili, il nostro paese ha gente stra
ordinariamente intelligente perchè è stato occupato da
eserciti di tutte le razze, hanno scopato molte donne e son
ripartiti, lascindo figli e figlie di sangue misto, con l’aggiun-
ta delle emigrazioni interne dal sud al nord che vi hanno poi contribuito ancora. La Natura ha i suoi segreti che
non abbiamo ancora compreso ; a 70 anni ho capito che a 50 anni non avevo capito gran che,adesso va meglio e ho fatto tante scoperte molto interessanti con modestia e sincerità. Se vuoi ti posso mandare un “quiz” rivelatore e ne sarai stupito. Voglimi bene, è essenziale. Ciao
Concordo pienamente. Un’ interessante opera sull’ argomento è “Le brutte parole; semantica dell’ eufemismo” , tesi di laurea di Nora Galli de’ Paratesi. Fu pubblicata nel 1964 ed ora è fuori commercio ma non è difficile da trovare qua o là.
Concordo pienamente. Un’ opera molto interessante sull’ argomento è “Le brutte parole; semantica dell’ eufemismo”, tesi di laurea di Nora Galli de’ Paratesia pubblicata nel 1964 ed ora fuori commercio ma non difficile da trovare qua o là.