A che cosa servono la Repubblica, la NATO e la UE se uccidono l’economia, massacrano industria e lavoro, diffondono malattie e infine ci portano la guerra in casa?!? A inizio primavera, con le tramontane più robuste, attacchi nucleari sull’Ucraina, sul Donbass e sulla Russia occidentale saranno vantaggiosi per troppi farabutti. Le polveri radioattive andrebbero verso il Mediterraneo e anche verso l’Italia. Il popolo con le mascherine, già domato dalle esercitazioni Covid, risponderà con ordine e disciplina all’imperativo categorico: obbedienti, mascherati e resilienti. Sarà davvero così? Il futuro, si sa, è nelle mani di Dio, sebbene troppi vorrebbero sostituirlo.
BoJo, per esempio, convinto d’essere indispensabile, ha capito troppo tardi che Betty darebbe fuoco pure ai nipoti per tenersi il trono. Si divorano fra di loro, questo è l’aspetto positivo.
Che la prima bomba N sia russa o statunitense poco importerà. L’attacco nucleare inasprisce la guerra: cioè quanto desidera – è evidente fin dal giorno dell’invasione russa – una quantità di criminali, a cominciare da ebrei, cristiani e mussulmani apostati delle rispettive fedi, sparpagliati negli opposti fronti. Finché c’è guerra c’è speranza a casa dell’ineffabile Charles Schwab, della sciura Ursula von der Leyen, di Vladimir Putin e del geniale Joseph Robinette Biden, inteso Manomorta e del suo amico Erdogan.
Una bomba nucleare, ovunque e da chiunque sganciata, all’Italia regalerebbe un rinvio sine die delle elezioni politiche. Possiamo immaginare la disperazione di Quirinale, palazzo Chigi, Montecitorio e palazzo Madama. Come dubitarne? Dopo tutto sono persone affidabili, sincere e oneste.
Il Parlamento? Tale Graziano Claudio, già capo di stato maggiore della Difesa, certifica quanto il Parlamento davvero conti. Egli racconta come Berlusconi e Napolitano assassinarono gli interessi italiani in Libia. A teatro, sembra incredibile, ma andò proprio così, a teatro, il 17 marzo 2011, prima del Nabucco, direttore Riccardo Muti, nel teatro dell’Opera, Va’ Pensiero sull’Ali Dorate e hanno ucciso l’Italia: «Nel primo intervallo, appena appresa la notizia della Risoluzione dell’Onu, viene organizzata una sorta di riunione di governo in una sala riservata del teatro» Nel camerino del capocomico? Il Graziano non lo dice: «In quella sede viene espresso un parere favorevole per un pieno impegno italiano al fianco degli alleati per porre fine alle violenze contro i civili perpetrate da Gheddafi. Terminato il Nabucco, ci riuniamo di nuovo in una saletta del teatro, questa volta alla presenza del presidente Napolitano. Il ministro degli Esteri Frattini si collega telefonicamente».
Ed ecco i due gabellatisi poi quali vittime d’un “colpo di Stato”: «I ministri presenti (ndr tra cui il premier Berlusconi e quello della Difesa La Russa) contribuiscono per la loro parte di responsabilità. Quando usciamo dal Teatro dell’Opera, è stato dunque concordato che l’Italia interverrà militarmente in Libia».
Il Parlamento? Ai presidenti delle Camere, chessò una telefonatina, solo per dire:«Ciao! Come stai?… Noi andiamo in guerra, hai presente “Faccetta nera dell’Abissina”?!? Ecco, la chiamiamo come al solito missione di pace, che te ne pare?».
Gianfranco Fini avrebbe ricevuto la telefonata a Montecarlo, sorseggiando un doppio whiskey senza ghiaccio. Saputo quanto avvenuto nel camerino del capocomico del Teatro dell’Opera, che cosa fa il Fini Gianfranco? S’addormenta oppure chiama lo Schifani Renato, presidente del Senato: «Che facciamo? Convochiamo d’urgenza il Parlamento (sovrano), magari in seduta congiunta, per decidere lo stato di guerra, come prevede la Costituzione e lasciar decidere al Parlamento (sovrano) se dobbiamo farci derubare dei nostri interessi in Libia?»
Lo Schifani, sonnecchiante di suo, non ha capito nulla. Costituzione? Interessi nazionali? Parlamento sovrano? Quel Fini è il solito esagitato, e riprese a guardare “C’è Posta Per Te”, sorseggiando la tisana al finocchio, absit…
Andammo in guerra contro i nostri interessi nazionali, andammo in guerra mettendo in ginocchio il Parlamento (sovrano) grazie a inetti e traditori tuttora processabili, per reati gravissimi e imprescrittibili, commessi in associazione a favore di potenze ostili. Andammo in guerra a fianco di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna per pagare a usura l’energia di cui necessita la nostra industria. Migliaia di imprenditori suicidatisi, famiglie sul lastrico, lavoratori disoccupati e la Libia in un caos ingovernabile, coi pozzi derubati da Francia, Gran Bretagna e Turchia. Il ministro dell’Inferno dei profughi, è italiano. Ieri il Maroni e il Salvini, oggi Lamorgese. Fu deciso in un teatro.
Anche la guerra in corso è una guerra petrolifera, come tutte le precedenti, anzi un po’ di più, con reciproci vantaggi fra le fila degli opposti governi combattenti. Anche questa è una guerra finta coi morti veri, come quella del 6 Ottobre 1973, quando ebrei e cristiani apostati, venduti ai petrolieri, s’accordarono con mussulmani della stessa risma e finsero di non aver visto, al di là della linea di contatto sul Sinai, ben due divisioni corazzate, 2.220 carri armati e 1200 artiglierie semoventi. A tanti mezzi occorre un’area come i litorali da Rimini a Riccione per schierarsi. I satelliti non li videro.
Un carro armato del 1973 faceva più fracasso di trenta automobili a tutta manetta. Lì c’erano 2.220 + 1.200 = 3.400 rumorosissimi mezzi. Non li sentirono.
Ognuno di quei mezzi esigeva – a essere tirchi – non meno di 500 litri, cioè 1milione e 600mila litri di carburante, pari a 8mila fusti da 200 litri, ammucchiati a ridosso della prima linea. Non li hanno visti.
Puoi spalmare come vuoi nel deserto tutti quei mezzi e quei fusti di gasolio, li si vede eccome, anche coi satelliti del 1973. Non videro i mezzi, non videro i magazzini, non sentirono il fracasso di 3.400 mezzi di combattimento più altrettanti logistici.
Tre giorni prima della guerra finta coi morti veri, Enrico Berlinguer a Sofia subì un attentato. Non disse nulla e sulla guerra fu categorico: «Vogliamo la Pace». Aldo Moro non volle la NATO, in quanto tale, nella guerra di ebrei, cristiani e mussulmani apostati.
La guerra cominciò. Il 6 Ottobre 1973 la benzina costava 100 lire a litro, dopo una settimana costò 500. La guerra finì nel bel mezzo d’una cosiddetta controffensiva, una pagliacciata mediatica ante litteram. Secondo giornali, tivvù e strateghi da bar dello sport, il generale Ariel Sharon, il 16 ottobre 1973, dieci giorni dopo che l’esercito egiziano “aveva colto di sorpresa gli israeliani”, attraversò il Canale di Suez e portò i suoi carri armati sulla sponda opposta, attraverso uno stretto varco nel fronte egiziano. Ma guarda che genio della guerra.
Secondo giornali, tivvù e strateghi da bar dello sport, nel giro di sei giorni, quest’azione costrinse il presidente egiziano Anwar Sadat a chiedere un immediato e incondizionato cessate il fuoco perché non aveva più forze sufficienti neppure per difendere la strada per il Cairo.
Una macabra buffonata costata la vita a 15mila soldati. Lo “stratega” Sharon dette misura di sé a Sabra e Chatila, altro capolavoro di apostati ebrei, mussulmani e cristiani.
Quel 16 Ottobre 1973 lo scopo fu conseguito: il carburante alle stelle, consacrando dollaro e sterlina monete di scambio per il greggio. Bretton Wood definitivamente agli atti. E arrivò l’Austerity: la prima parola inglese per una supposta fiscale italiana.
Oggi è una schifezza analoga, su scala più grande, ma non si sono ancora messi d’accordo su quale sarà la moneta di riferimento finale. Una bomba nucleare o due o trenta aiuterebbero a decidere. Troveranno un teatro dove stabilire chi fa che cosa.
I nostri capataz sono/sembrano pacifisti. Ne hanno ben donde. La NATO non combatte, ormai è chiaro anche nei lupanari di Timbuctu, dove si sganasciano per le montagne di denaro nostro agli ucranazi e per le fantasie crociato-onanistiche sulla difesa europea dello stesso Graziano del teatro dell’Opera. Stoltenberg tutt’al più può vendere/regalare armi, pagate dai soci atlantici, per la felicità delle industrie statunitensi, inglesi, canadesi e australiane. Suvvia qualche briciola anche per noi rimane.
Se però il conflitto s’inasprisse, arrivando fino in casa nostra, scopriremmo due cose. La prima. Se combattessimo contro la Russia, come Mussolini a luglio 1941, mutatis mutandis il nostro esercito è oggi in condizioni di gran lunga peggiori e non ha generali con gli attributi necessari, se non per figurare in un camerino di teatro. La seconda. Se scendiamo direttamente in guerra, più d’uno si domanderà a che cosa servono la Repubblica, la NATO e la UE se uccidono l’economia, massacrano industria e lavoro, diffondono malattie e infine ci portano la guerra in casa. In quel momento rinfocolerebbe il ricordo di piazzale Loreto. Eppure alimentano la guerra, come i loro padroni esigono. Però vogliono la pace, presumendo basti sculettare da fighette poliglotte per ottenerla.
George Bernard Shaw in questi giorni direbbe:«Per fare politica non è necessario essere stupidi, però aiuta». Egli lo disse degli incolpevoli giocatori di golf; non poteva immaginare tali farabutti al potere, idioti che ci portano a morire. Ci sarà pure un motivo se, fra tragedia e farsa, più d’uno rivaluta Lenin, Stalin e Mao Tse Tung.
Cristo Vince, Egli, non altri.