Perfino Bettino Craxi, che di economia sapeva poco o nulla, aveva intuito che “Più Paga Più Pil” è una gabola. Rincorrere l’inflazione aumentando i salari fa salire l’inflazione, una rincorsa senza fine. L’avevano capito anche gli italiani, Col referendum abolirono la “scala mobile” che adeguava le paghe all’inflazione.
Oggi vociano, un po’ da tutti i cantoni, che bisognerebbe aumentare le paghe per aumentare i consumi e combattere inflazione, far girare l’economia ed aumentare il Pil.
Esperienza e aritmetica, grandi rompiscatole, dicono “No!”.
Il “pacco di pasta”[1] da 80 euro distribuito dal Renzi Mattteo, grazie al quale fece il pieno di voti, insegna che i fruitori di tale pacco dono lo usarono per tappare debiti o aumentare i risparmi, con influenza tendente a zero su consumi e Pil.
L’aritmetica è ancora più crudele nel tarpare le ali della speranza d’un migliore futuro economico.
Intanto, ipotizziamo, con larghissimo difetto, che di ogni euro di paga netta in tasca in più, solo 30 centesimi finirebbero appunto nel tappare debiti o rimpinguare risparmi rimarrebbero in campo 70 centesimi, di questi almeno 10 se li riprende lo stato con l’Iva.
Più del 40% dei rimanenti 60 centesimi dei consumi delle famiglie sono prodotti finiti importati, arricchendo quindi le economie straniere.
L’Italia è un’economia di trasformazione; per fabbricare 100 deve importare 40 tra materie prime, semilavorati ed energia, quindi dei 35 centesimi rimasti a far girare la nostra economia, solo 20 influenzerebbero i consumi, combatterebbero l’inflazione, farebbero girare l’economia, aumenterebbero il Pil.
Dal lato dei costi l’euro in più di paga dovrebbe essere posto a carico o dell’impresa o delle tasse pagate dall’impresa per i dipendenti,
Se venisse posto a carico dell’impresa, a causa del cuneo fiscale diventerebbe un costo aggiuntivo di 2 euro su tutta la filiera (fabbricazione, logistica, oneri generali e finanziari, amministrazione, marketing e vendita), con proporzionale aumento dei prezzi, dell’inflazione, inoltre riduzione del potere d’acquisto e della competitività del Made in Italy sul mercato interno e sulle esportazioni, aumento dell’importazione di prodotti finiti, rallentamento dell’economia e riduzione del Pil.
Se i 90 centesimi di paga (1 euro – 10 centesimi di Iva) derivasse da una riduzione delle tasse sui dipendenti, occorrerebbe aumentare il debito pubblico della stessa cifra, contribuendo solo con 20 centesimi a combattere l’inflazione, far girare l’economia, aumentare il Pil: questa aritmetica, peraltro ottimistica, dimostra l’assurdità economica di “più paga più Pil”, pur non escludendo interventi mirati, non generalizzati, per eventuali retribuzioni al di sotto del livello di sopravvivenza o di ottime professionalità.
Questa aritmetica dimostra anche la necessità di uscire dall’inganno verbale di chiamare il cuneo fiscale Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) e contributo pensionistico, ma di definirlo per quello che è “imposta sulla fabbricazione del Made in Italy“, cioè alto costo del lavoro nazionale.
Bisognerebbe anche smetterla con la menzogna del “così fan tutte” poiché, con l’Italia, solo Francia, Germania, Belgio e Olanda hanno un cuneo fiscale pari a circa il 100% del netto in tasca ai dipendenti, in tutti gli altri paesi il cuneo fiscale non supera il 50% del netto in tasca o, come in Svizzera e negli USA, paga e costo del lavoro coincidono, ogni cittadino verserà individualmente le tasse dovute.
Mentre in Francia, Germania, Belgio e Olanda, una cospicua porzione del cuneo fiscale ritorna alle imprese nazionali sotto diverse forme, in Italia il cuneo fiscale costituisce un contributo fondamentale alle spese correnti dello Stato, penalizzando la nostra competitività, come dimostrano la delocalizzazione e la fuga delle multinazionali, nonostante le nostre paghe nette siano le più basse tra i paesi sviluppati.
Il sistema fiscale italiano andrebbe sostanzialmente modificato, portando il cuneo fiscale almeno sotto il 50%, trasferendo le mancate entrate sui consumi secondo un principio di giustizia sociale in base al quale chi consuma di più paghi di più, chi consuma edonismo e merci status symbol importate paghi ancora di più.
Solo così si combatterebbe l’inflazione contenendo i prezzi, si aumenterebbe il potere d’acquisto delle paghe e la competitività del Made in Italy.
Attenzione però, occorrerebbe legiferare onde evitare che le imprese incamerino i risparmi come extra profitto, ma li trasformino in riduzione dei prezzi.
I tragicomici politici e i burosauri, che incentivano le importazioni coi bonus, cioè la produzione straniera a discapito della nostra, ne sarebbero capaci?
Sono gli stessi in ritardo sulle speculazioni degli energetici, sulla scarsità d’acqua e di gas, intervenendo sconclusionatamente dopo che i buoi sono scappati. Siamo nelle mani sbagliate.
[1] Si dice (ma non è certo) che Achille Lauro https://bit.ly/3yVTORv alle elezioni distribuisse pacchi di spaghetti in cambio di voti.