La stagione delle rivoluzioni (taroccate), apertasi agli inizi del 2011 non è ancora conclusa, si direbbe guardando Kiev. Abbiamo già additato le questioni a nostro avviso più acute (leggi qui e qui). Resta il fatto che le bugie per intossicare l’informazione sono oramai tanto palesi quanto insopportabili. Chi le diffonde ha solo due scelte: o smettere o cambiare tecnica di menzogna. La prima strada sarebbe più agevole, tuttavia non sono neppure capaci di avviarsi sulla seconda, recitando un copione stucchevole, imprigionati nella nassa in cui si sono cacciati (Leggi qui un compendio parziale delle bugie).
L’amico Lorenzo Marcolin su FaceBook esorta a non prendermela con gli americani. La stessa esortazione, tuttavia più velata e argomentata, arriva sulla medesima pagina dall’amico Aldo Tarricone. Vorrei che avessero ragione, perché amo gli americani e soprattutto ho amato l’America che fu credibile sino alla fine degli anni ’80. Ho cercato di credere loro fin quando hanno sostenuto che Saddam Hussein aveva le armi di distruzione di massa. Ma quando Colin Powell apparve in tivvù con le sue provette di vetro, agitandole come un infermiere prima di un’iniezione, e con quello sperando di convincere il Consiglio di Sicurezza e l’opinione pubblica mondiale, mi sono cascate le braccia. Le bugie erano in realtà cominciate nei Balcani e col tentativo di far scoppiare l’Unione Sovietica, arginato da un giovane funzionario del Kgb, assurto prima a capo del governo e poi a presidente della Russia. Le bugie sono continuate con la cosiddetta “primavera mussulmana”. Non mi interessa se sia il petrolio, la geopolitica o tutt’e due a dettare l’agenda delle menzogne. Io sostengo che non si può spingere il mondo verso la guerra utilizzando le menzogne. In misura persino minore questo delitto lo commise la Germania alla fine degli anni ’30. Non credo che sia un esempio da seguire, o no?
Mai avrei creduto, trent’anni fa, che avrei plaudito la presenza al vertice della repubblica russa di un colonnello del Kgb. Oggi dobbiamo riconoscere che senza Vladimir Putin le sciocchezze dell’amministrazione Obama dilagherebbero prive di freni, senza controllo, irrimediabili. Non di meno questa situazione è d’una pericolosità tanto acuta quanto grottesca. Questo è l’esito della politica di un premio Nobel per la pace, palesemente incapace di valutare preventivamente l’esito delle sue scelte. E costui vuole dettare l’agenda al mondo.
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