Squilla la tromba del potere, tomba della democrazia. Emma Bonino: «I due marò torneranno per Natale». Certo, a Natale… di quale anno?
Il potere. Se davvero Bonino fosse stata ottimista, il 18 luglio, quando annunciò il pacco di Natale, avrebbe tuttavia fatto bene a tacere, se non altro perché sa e sappiamo di che pasta sia la nostra diplomazia, incapace di dare minime sicurezze su quanto accadrà domani, figuriamoci a Natale.
Il potere. Bonino esternò fiducia sulle sorti dei due sventurati marò, quando si dice la coincidenza, alla vigilia della sua imbarazzante informativa al Parlamento sull’ennesima Waterloo diplomatica, l’espulsione della cittadina kazaka Alma Sbalabayeva.
Il potere. Quando si dice la doppia coincidenza, Bonino esternò proprio il giorno successivo alla conclusione dell’inconcludente inchiesta sull’affare kazako da parte del presidente del consiglio, Enrico Letta.
Tanto i marò quanto la profuga kazaka dimostrano ampiamente che non c’è alcuna capacità di controllo politico sulle decisioni apparentemente insensate dell’alta burocrazia dello Stato. In altre semplici parole: lo Stato non c’è. Esistono semmai alti burocrati, i quali rispondono a interessi più o meno nitidi e sovente extranazionali. Costoro, chiamati a dare conto del loro operato, sanno di rischiare poco o nulla, grazie a un Parlamento distratto, inconsapevole delle proprie prerogative, incapace di penetrare la cappa trasversale di complicità che unisce l’alta burocrazia dei ministeri a quella parlamentare e tutte quante alla quirinalità organizzata.
Il potere. Alla cupola burocratica fa controcanto il Sistema Disinformativo Stampa-Tivvù (SDST) che tromboneggia a comando, senza remora né pudore: tromba del potere, tomba della democrazia, come hanno dimostrato la corale disinformazione sulla Siria e la panzana dei gas sparsi da Assad, invece bombardati proprio dai mercenari del premio Nobel per la pace.
La dichiarazione della Bonino, propagandista sulla pelle dei marò, come fosse stata scritta da una nuova agenzia Stefani, trovò l’SDST sull’attenti e pronto a diffondere le panzane governative senza la benché minima critica né alla fonte né al testo.
Il potere. Non bastasse la strumentalizzazione dei marò, l’informativa di Bonino al Parlamento sul caso Sbalabayeva fu salutata come alta politica, invece di stigmatizzarlo per quello che effettivamente è: l’atto di resa d’un ministro «responsabile politicamente, di una immediata, continua e scrupolosa attività degli uffici della Farnesina, chiamati a gestire ex post le conseguenze di un caso per il quale abbiamo finora, giustamente, dibattuto sulla dinamica ex ante». Un ministro accetta il fatto compiuto e altro non può fare che appellarsi al suo passato che ha fatto della «tutela dei diritti umani la ragione di un’intera esistenza». Insomma retorica, reducismo, rievocazioni di dubbie glorie passate, come accade al circolo fra vecchi generali rincitrulliti, per poi finire con la più classica delle strumentalizzazioni politiche: usare cinicamente i militari e le loro disgrazie, i due marò, per trarne lustri immeritati e coprire le vergogne correnti. Ecco la promessa temeraria: torneranno a Natale. Gli scrivani dell’SDST scodinzolano ritti, con la lingua penzoloni in attesa della carezza ministeriale.
Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, rinnegati dallo Stato che li pose a sentinella d’una nave, poi divennero capro espiatorio d’un intrigo per il controllo di Finmeccanica, che passò attraverso una fornitura all’India d’elicotteri militari, sgradita a inglesi e americani e ancor più agli israeliani. Oggi, coi marò nelle grinfie degli indiani, la Bonino li sventola come una bandiera vittoriosa dalle finestre d’una Farnesina farneticante. Quel ministero è corrivo al torbido.
Il potere. Mesi fa Monsieur raccontò di Giuseppe Lo Porto, ottantenne cittadino italiano, vittima d’una extraordinary rendition negli USA, senza uno straccio di prova per le gravissime accuse, tra l’altro andate in prescrizione. Condotto in Alabama, stato americano celebre per il rispetto dei diritti umani, l’ottuagenario Lo Porto, cardiopatico e operato alla prostata, è stato processato e condannato a 9 anni per un reato non compreso nel decreto di estradizione, un decreto già dichiarato illegale dalla magistratura italiana. L’avvocato di Lo Porto scrisse alla Bonino, additando l’inerzia della dispendiosa diplomazia italiana. Colei che ha fatto della «tutela dei diritti umani la ragione di un’intera esistenza» rispose: “Non è di mia competenza”.
La nipote di Pino Lo Porto, Nadia Bellini, è venuta in Italia per depositare una denuncia contro un alto dirigente del ministero della Giustizia e per additare l’ignavia delle burocrazie italiane. Ha diffuso un comunicato stampa e lo ha inviato al fior fiore delle testate italiane, un comunicato circostanziato e documentato (leggilo qui). Gli stessi giornali e gli stessi direttori che bevono a grandi sorsate le panzane sulla Siria, gli stessi direttori che si appassionano alle sorti dei nostri politici da strapazzo hanno ignorato documenti e fatti circostanziati a favore di Pino Lo Porto, vittima, come dice la nipote, di “extraordinary rendition negli Usa” con la complicità di funzionari italiani. Ma Pino non è un terrorista, non è un mafioso, non è un politico; è solo un povero cristo, un pensionato da 500 euro al mese, ottuagenario, malato e, cosa imperdonabile, è innocente; non merita dunque neppure l’attenzione dei cattolicucci firmanti e marcianti.
Il potere. Questa è l’Italia, questo è lo Stato italiano e così siamo rappresentati, così ci vedono dalle altre capitali e ci sbeffeggiano per colpa di politici inadeguati, protetti da un giornalismo servile, non di meno convinti di ben meritare, non per le azioni correnti ma per presunti meriti d’un passato più o meno lontano. Quanto più sono vecchi tanto più esigono di imporsi e riproporsi.
Arriverà Natale. Se i due marò torneranno sarà perché le autorità indiane riterranno di aver speculato a sufficienza sulla loro sorte. L’SDST ululerà gioioso per il successo della nostra diplomazia. Se arriverà invece Capodanno e poi il 2014, significherà che le elezioni incombenti in India, indurranno quel regime a utilizzare i due sventurati come manifesto elettorale. In tal caso, arriverà un altro Natale e speriamo che almeno quello sia provvidenziale.
Spero di sbagliare, è ovvio, lo spero con tutto il cuore. Non si può altro che sperare perché uno Stato, italiano, così mal rappresentato e ancor peggio raccontato dai servi dell’SDST, non può nulla contro quanto decidono nei sottoscala dell’Alabama, nelle suburre di Tripoli e del Cairo, figuriamoci nei bordelli di Nuova Dehli.
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