Alti – e ipocriti – lai sui cori razzisti allo stadio. Forse comprensibili se vengono da chi in uno stadio non si è mai affacciato ma intollerabili quando a concionare sono gli addetti ai lavori, che ascoltano da sempre cori agghiaccianti. De-vì moriii-re è il più garbato. Gli sforzi dei tifosi sono da sempre rivolti alla ricerca di punti dolenti – veri o presunti – di giocatori e tifoserie avversari, per non parlar degli arbitri. I cori razzisti tengono campo da almeno un secolo: in passato, a frontiere chiuse, le “razze” erano quelle dei terroni e dei polentoni.
A buzzurri striscioni veronesi nei confronti dei napoletani, questi risposero con un soave Giulietta è ‘na zoccola. Ma già il campanile a sette chilometri da noi suonava le campane per una razza diversa. Abbiamo vinto i mondiali di calcio del 2006 solo perché durante la finale il nostro Materazzi, gentiluomo d’altri tempi, riuscì finalmente, verso il termine della partita, a individuare – o reiterare – un insulto particolarmente velenoso verso uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi. Lo sventurato rispose con una plateale testata che gli costò l’espulsione.
Senza quell’insulto non avremmo mai sollevato la Coppa. Era un insulto razzista? Può darsi (Zidane è di origine nordafricana) oppure sarà stato un insulto misogino (avrà Materazzi captato dicerie sul conto della mamma o della sorella o della moglie?) oppure avrà avuto entrambe le caratteristiche. Non ha importanza, ciò che conta è che abbiamo vinto i mondiali con la lingua invece che con i piedi. L’insulto è parte fondamentale del gioco: ciò che rende così importante il fattore campo non è tanto il sostegno alla squadra di casa ma i fischi, i buu, gli insulti, e gli striscioni, non solo offensivi ma spesso intimidatori contro la squadra ospite.
Negli stadi echeggiano cori di una violenza raccapricciante, minacce non sempre vane, puntuali accanimenti sui difetti dei giocatori. Il fatto è che si tratta di una zona franca, dove migliaia di bravi padri di famiglia si sfogano verbalmente (se tutto va bene, s’intende) prima di tornare alle loro pacifiche occupazioni; lo stadio è stanza di compensazione, un teatro in cui anche gli spettatori recitano una parte, anzi praticano rituali di grande valenza emotiva, indubbiamente catartici. Ora si vuole rinvenire una gravità peculiare negli insulti verso i giocatori di colore, che a me paiono particolarmente insulsi, sciocchi, quindi privi di efficacia. Ci sono giocatori che non possono neppure affacciarsi in alcuni stadi perché sono ex, perché hanno rotto una gamba al beniamino della squadra di casa, perché sono troppo bravi, insomma per i più disparati motivi. Costoro vengono apostrofati con gli epiteti più infamanti ma se hanno la faccia di mozzarella devono sorridere e fare ciao con la manina. A meno che non gli dicano: “Brutto biancaccio, tornatene in Svezia”. Applicheremmo in questo caso la norma antirazzista? Sciocchezze, siamo tutti uguali e nessuno dovrebbe essere insultato, in nessun modo, punto.
Isolare come particolarmente grave l’insulto legato al colore (preferisco questo termine perché, come ho detto, da sempre gli imbecilli ritengono razziale l’insulto verso il meridionale e che non si tratti di razza diversa, in effetti, non ha alcuna importanza, restando razzista per chi insulta e forse anche per chi lo riceve) significa marchiare quella diversità, come se davvero fosse un handicap, una disabilità che va protetta con modalità speciali. E’ anche un regalo agli imbecilli che scoprono di avere un’arma particolarmente efficace per far saltare i nervi agli avversari. Se non fosse stata data tanta enfasi alla faccenda sarebbero passati ad altro: negli stadi, come negli asili e nelle caserme, la regola prima è non lasciar trapelare di essersi offesi. Ora invece la teppaglia li moltiplicherà: figurarsi se si lasciano scappare un tipo di insulto a cui si è tanto suscettibili.
Insomma di tutti i proibizionismi questo mi sembra il più inefficace. E il più razzista: solo chi avverte nettamente una diversità si sente tenuto a impedire che altri la rimarchino, anzi se la inventino. E se in altri ambiti potrei anche accettare norme specifiche cambiare idea (non mi garberebbe veder apostrofare per strada un poveraccio sfruttato – e già lì, invece di nuove norme, basterebbe il biasimo dei presenti) mi pare grottesco che si voglia intervenire per proteggere signori che ricevono decine di milioni perché, come tutte le star, oltre all’applauso si becchino i pomodori. O uno “sporco negro”.