Strage al tribunale di Milano: un’altra occasione per riflettere sull’imbecillità nazionale.
Innanzi tutto va ricordato che non è la prima volta. Reggio Emilia, 17 ottobre 2007, mattina.
Clirim Fejzo, albanese, 40 anni, in tribunale per la causa di separazione dalla moglie, spara non appena la signora arriva col suo avvocato. Prima d’essere freddato dai carabinieri, l’albanese ferisce il legale della moglie, uccide costei e il fratello, ferendo infine un carabiniere.
Lezione appresa? Provvedimenti assunti? Esattamente come accade oggi a Milano: tanto bla bla; controlli intensificati più fastidiosi che efficaci, in attesa che le acque si calmino e tutto torni come prima.
Ieri sera l’imbecillità raggiunse quote siderali, durante una trasmissione di Rete4, il cui conduttore paragonava la stazione centrale di Milano, a suo dire carente di controlli, al tribunale meneghino. E poi la conclusione da premio Nobel per l’imbecillità: bisogna incrementare le polizie, dimenticando che da decenni ormai siamo il paese con più polizia al mondo rispetto al numero di cittadini e al territorio.
Al tribunale di Milano, come alla maggioranza dei tribunali italiani, si accede da due distinti ingressi: quello dei comuni cittadini e l’altro riservato a quanti in tribunale lavorano, magistrati, avvocati e impiegati. La sorveglianza sul primo ingresso è blanda, quella sul secondo inesistente, bastando farfugliare di essere avvocato e mostrare un cartellino più o meno autentico, come è accaduto nel caso di Milano.
Ancora una volta si scopre che il sistema non funziona: d’altronde le misure di sicurezza o valgono per tutti, oppure non servono a nulla. I criteri da applicare per ottenere risultati sono pochi e semplici.
Primo. Il responsabile della sicurezza deve essere un vero manager, oppure un ufficiale dei carabinieri che sia stato formato allo scopo. La responsabilità della sicurezza di un tribunale non può ricadere su un magistrato che ha altra cultura e altro da fare. Secondo. Questo responsabile non deve essere soggetto ai capricci di chi, ammantandosi d’autorità, esige un ingresso riservato. Terzo. La tecnologia per il riconoscimento certificato delle persone e per impedire l’ingresso di malintenzionati esiste da almeno venti anni. Piuttosto che investire in cooperative di sorveglianza privata si investa in hitech. Altro che incrementare le già esorbitanti spese per le polizie; si mandino a scuola gli ignoranti, a cominciare dai giornalisti blateranti e pronti a spargere panico pur d’attirare ascoltatori imbecilli del pari. Quarto. Tenere d’occhio gli appalti coi quali s’ingaggiano le società private/cooperative di vigilanza.
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Giusto, Piero!
La sicurezza è una cosa seria e non può essere “appaltata” ai privati. Né nei tribunali, né negli aeroporti, né negli uffici pubblici ecc. ecc.
Dopo l’11 settembre l’anno capito anche in America.
Sono entrato in un tribunale ieri: avrei potuto introdurre una pistola e forse, con un piccolo stratagemma, anche una mitragliatrice. Non dirò come neppure sotto tortura, tuttavia è scoraggiante tanta inerzia mentale.
Al fine di fugare ogni dubbio sulla reale portata della mia asserzione, tengo a precisare che condanno il gesto del Sig. Giardiello, però, ed ho un però, c’è un problema chiamato GIUSTIZIA. Non sembra che questa magistratura sia scevra dall’essere RIPETUTAMENTE richiamata per sentenze, non definirei ingiuste, ma comunque non conformi al dettato normativo, spesso frutto di ARBITRARIE INTERPRETAZIONI, senza che ovviamente nessun magistrato paghi personalmente. Credo anche, che sia normale uno stato d’animo di profonda irritazione di una persona destinataria di ingiustizie. Non vengono narrate opportunamente tutte le ingiustizie perpetrate nelle aule di “giustizia” italiane. Il tutto in “NOME DEL POPOLO ITALIANO”