Francesco invoca la benedizione del popolo di Dio. Cor unum et anima una, il popolo invoca Dio su Francesco
Preghiere così s’adagiano nel cuore di Dio. Evviva papa Francesco.
Dissero, tra false profezie come la fine del Mondo, Benedetto è l’ultimo pontefice. Evviva papa Francesco.
Specularono sulla salute di Benedetto per tentare di piegarlo ai loro fetidi disegni. Evviva papa Francesco.
La satanica dittatura senza volto prima di morire manda i suoi agenti CIA a insidiare Benedetto. Evviva papa Francesco.
Ripulita la Chiesa dai discepoli che tradirono. Evviva papa Francesco.
Taluni ordirono per un papa piemontese. Furono esauditi. Evviva papa Francesco.
Il popolo – Dio e popolo, un binomio – fiuta la santità come la verità, dentro e fuori le chiese. Evviva papa Francesco.
Pregustavano, Washington, Londra, Parigi e Berlino, la Chiesa genuflessa alla loro guerra all’uomo. Periranno. Evviva papa Francesco.
Da stamane all’alba la piazza brulicava; ben presto le strade contigue vociavano di pellegrini fiduciosi, a gioioso dispetto dei piovaschi gelidi, alternati a raffiche di vento tagliente. Impossibile spiegare come si compose la misteriosa intuizione che unì centinaia di migliaia di cuori. Il popolo di Dio sa quando arriva la fumata bianca. Partiti da ogni dove, come i pastori verso la Capanna, la fatica non fu vana.
Presagi sinistri, la sera in cui Benedetto XVI, era l’11 febbraio, annunciò il suo ritiro. Un fulmine colpi la Cupola e fu immortalato dalle foto. Se fu presagio, fu ”Non Praevalebunt” scandito col fulmine e ci disse:”Sono sempre quassù, non dimenticatelo”. Lo ricorda da due millenni, anche agli smemorati come me.
Stasera esulta anche Clemente XIV, primo e ultimo papa, finora proveniente dai Frati minori conventuali, i Francescani, come usa dire.
Papa Clemente trovò la Chiesa allo sbando e l’Ordine gesuita squassato fra voragini finanziarie e derive dottrinali. Il papa francescano il 21 luglio 1773 firmò l’editto Dominus ac Redemptor e decretò lo scioglimento della Compagnia di Gesù, che poi risorse, si rigenerò, tornò la colonna che fu; l’antica ferita, inferta dal papa francescano, cicatrizzatasi, ogni tanto prudeva.
Un papa gesuita che sceglie di chiamarsi Francesco è fraternità, carità, unità della e nella Chiesa, rigenerata incessantemente in Cristo.
Nel 1205, mentre Francesco prega davanti al Crocefisso di San Damiano, per tre volte il Cristo in croce s’anima per dirgli: “Ripara la mia Chiesa in rovina”. Gioioso mistero della volontà di Dio che va a segno attraverso gli umili: “Il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti”, osservò BXVI nel primo apparire dopo l’elezione.
Il secolo di Francesco, il Duecento, del quale tuttavia egli vive un minimo segmento, è nel segno di Innocenzo III, pontefice trionfante per la strategica vittoria delle “investiture”: le monarchie d’Occidente divengono feudi romani e Federico II, stupor mundi, deve al Sacro Soglio il pacifico possesso dell’Impero.
Ben presto però rinfocolano gli Svevi contro il Papa e due opposte fazioni nei liberi comuni; la Chiesa celebra i concili del Laterano e di Lione, papa Gregorio riunisce Oriente e Occidente; cadono le ultime vestigia del paganesimo; scompaiono i pauperisti; partono le Crociate; il Moro perde la Sicilia e si riduce a Granata.
Quando il demone della separazione pare distrutto, esso risuscita: l’imperatore Andronico riapre lo scisma, mentre le contese tra i Crociati sono ambasciatrici del successo del Sultano che il Santo Re di Francia non potrà più costringere.
Duecento, è il secolo di Francesco, analogo a quello che viviamo: accanto alle guerre più sanguinose fioriscono l’arti e le scienze; violenze inaudite di cieche tirannidi mentre si radicano le democrazie comunali. Eresie furiose e negazioni anarchiche fan più brillanti la disciplina e l’ortodossia degli Ordini mendicanti che percorrono il mondo. Fra orgogli infiniti, tra la sofferenza esacerbata degli umili, la cui vita vale meno delle bestie curate per conto dei padroni, si cumulano ricchezze incalcolabili, fra dissolutezze e passioni, le più sfrenate. Quand’ecco appare un sole, dirà Dante, è Francesco (DC, Paradiso,C.XI, 43-51) :
Intra Tupino e l’acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d’alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.
Di questa costa, là dov’ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.
Francesco rivoluziona pacificamente la società religiosa e quella civile, affermando un’autentica esistenza cristiana in un mondo che tuttavia correva, e quanto correva, verso il progresso che s’affacciava all’orizzonte e del quale nessuno poteva immaginare la forza vivificatrice e distruttrice, governabile soltanto attraverso lo spirito cristiano e la Fede. Francesco, dunque un sole, un dono del Signore ai suoi figli altrimenti tormentati.
L’Italia, in tutto questo, da allora è rampa, testimone, laboratorio e materia sperimentale, assumendo un ruolo luminoso nel mondo, quando s’affianca lealmente al Papa, seguendo l’esempio del Poverello d’Assisi, tale da rendersi di gran lunga più centrale e forte di quanto le apparenze e le sue stesse risorse non sembrino consentirle.
Dai tempi di Francesco è una peculiarità che ci distingue, ci unisce e ci separa, benedizione e anatema. Da quei tempi gli italiani sono sempre peggiori di quanto temi e costantemente migliori di quanto ti attendi: due ingranaggi uguali, ruotanti incessantemente l’uno contro l’altro, il cui lubrificante è unicamente la Fede.
Quando riflettiamo su questi aspetti e sul momento storico nel quale il grande Pio XII di venerata memoria decise di affidare l’Italia a San Francesco, era il 18 Giugno 1939, alba tragica, bisogna concludere ancora una volta (cit. 28-31)
La provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogne aspetto
creato è vinto pria che vada al fondo
Non c’è disegno umano che possa sormontare la Divina Provvidenza: è l’insegnamento di San Francesco al cuore e alle menti.
Grazie alla lezione di Francesco, interrogandoci sull’Unità d’Italia, non dovremmo limitare il nostro orizzonte al Risorgimento, bensì spingerci sino alla Porziuncola, rileggendo il Cantico delle Creature, per ricordare che fummo uniti dal Poverello d’Assisi, prima che da Garibaldi (e qualche dubbio sull’unione dataci da quest’ultimo sopravvive).
Il ritorno a Gioberti, a Pio IX e al 1848, celebrando l’Unità d’Italia, purificherebbe il Risorgimento, le stragi di ribelli e sanfedisti meridionali, le guerre coloniali, il fascismo, la resistenza, il golpismo, lo stragismo, il terrorismo, il giustizialismo, cancellando l’artificiosa «continuità» che Giovanni Spadolini tracciò dal Risorgimento alla Repubblica, nel vano tentativo di sanare le differenze fra Nord e Sud, che invece ne furono acuite. D’altro canto, la stessa Chiesa, nella sua travagliata esistenza, in un certo qual modo favorì, per ostacolarla, la vulgata risorgimentale, quando le equidistanti tesi di Vincenzo Gioberti furono tacciate di guelfismo dalla Carboneria mentre la Curia romana, con livore simmetrico al carbonaro, le pose tutte all’Indice.
La contrapposizione Nord-Sud è lo specchio delle ostilità che arrivano da ogni dove, alle quali ci esponiamo, inermi e separati, quando non difendiamo la nostra storia millenaria, come millenaria è la nostra anima cattolica e francescana.
Negando noi stessi abbiamo accettato che il trasformismo, esecrato con le parole, sia nei fatti l’architrave della «continuità» spadoliniana, velenoso, corruttore, insostenibile e retorico; detonatore di separazioni virulente.
Nonostante tutto gli intellettuali, aggiogati alle banche, ignoreranno Gioberti, così come la santità di Francesco, unificatrice dell’Italia.
Al san Francesco della tradizione anteporranno un Francesco “storico”, così come cercano d’anteporre al Gesù dei Vangeli, un Gesù “storico” confezionato a misura loro.
“Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità” (BXVI, omelie).
Non di meno, da più parti s’insisterà a sbiadire Francesco, per vie accattivanti, ora come no-global ante litteram, ora come pacifista, ecologista radicale, quando non imbastiranno bizzarrie pauperiste – dimenticando che il Poverello d’Assisi fu caritatevole, tenace e trionfante avversario dei catari e del pauperismo. La banalizzazione di San Francesco si serve dell’apprezzamento delle sue virtù terrene affinché oscurino la vera natura del soggetto: un gigante della Fede di Santa Romana Chiesa. Così i lupi tentano di sbandare il gregge. Più volte tentarono, tenteranno ancora.
Nonostante tutto e proprio per questo: evviva papa Francesco.
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A certa gente dici che l’asino vola e ci crede nonostante tutto, poi gli fai vedere che un calabrone vola e non lo vuole ammettere. Pazienza…
Caro Laporta, bastasse chiamarsi, anzi farsi chiamare, Francesco per essere QUEL Francesco o Giorgio per essere Washinghton, o Giuseppe per essere un Mazzini, allora la vita sarebbe semplice. Sapremo presto di che tempra sia questo Gesuita. Se farà chiarezza nelle banche del suo Stato, se rinuncerà ai privilegi concessigli dallo Stato Italiano i cui cittadini (cattolici in gran parte) sono ridotti al lumicino e se saprà avere l’umiltà di usi e pensiero degna del nome che si é auto-imposto con, forse, un tantino d’immodestia se non di arroganza.
Vedremo. Io sono ottimista, lei un po’ meno, mi pare di capire. Mi intriga soprattutto riconoscere nel suo lessico quello d’una signora che strapazzai tempo fa. Se ora s’è travestita da “Capitan Morgan” spero non sia per le sciabolate che sibilarono.
Per ora pace, in nome di Francesco.
Tutti quei figuri che si leccavano i baffi subito dopo l’abdicazione cianciando di collegialità immaginavano un collegio di capibastone che minimizzasse il Papa. Ma Francesco li ha scavalcati per far “collegio” con l’intera comunità dei fedeli.
E’ questo il punto, come sempre, il potere.
Confido che il nuovo Papa si ispiri al S.Francesco vero.
Ma se così sarà,deluderà molti….ma non i cristiani sinceri.
abbiamo bisogno di chi ci faccia sperimentare la forza di Dio e voglio sperare che la prima preghiera del Papa,in piazza s.pietro,fosse come quella dei soldati cristiani ,prima della battaglia di vienna ,nel 1685, dopo aver concelebrato la messa con il beato marco di aviano.chi ci sta,bene.chi non ci sta,pazienza….ma la fede non si riduce solo per piacere al mondo!
massimo trevia.
Ciao Piero, ho letto con immenso piacere la tua osanna al
Poverello d’Assisi; tu – come pochi – sei portatore di luce
ed è incomprensiile che tutta l’umanità non si riconosca
figlia di un solo Creatore, poichè – tra l’altro – è difficile credere che ve ne sia più di uno. La meraviglia del Creato è tale da azzittire persino i sapienti, le meraviglie
di un piccolissimo fiore nascosto tra le erbe lascia sen-
za fiato. Il Creatore ci ha fatto dono della “coscienza”
e del “subconscio che non mente mai” cosa questa
accertata mentre i sapienti dicono che il subconscio
obbedisce al conscio. Se ti mando un giochetto da
comporre, me lo rimandi compilato serenamente ??
Resterai a bocca aperta !!!!! e non c’è neppure su In
ternet !!! Capirai che ti scrivo il vero …………………………..
Un abbraccio, Giorgio
Bello. Non essendo in grado di scriverlo, lo sottoscrivo
Non ci sono dubbi, caro Piero, sulla presenza continua e sensibile dello Spirito Santo nel mondo e nella Chiesa. Gli umili Davide, consapevoli di essere suoi strumenti, sconfiggeranno sempre gli arroganti Golia convinti di essere artefici del destino loro e altrui, e ingrassati in questa convinzione, sedicenti maestri di strategia che non vedono un palmo oltre il loro naso, contornati da stuoli di servi ruffiani e calunniatori che già sputano veleno e bile, incoscienti di intossicare solo se stessi.
Mi dona gioia e speranza l’elezione di Papa Francesco… e mi fa tornare alla mente un passo della prima lettera ai Corinzi:
“[27] Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti,
[28] Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono,”