4Novembre, ricordiamolo così: «Dov’è il dolore, il suolo è sacro», disse Oscar Wilde, inopinatamente spoglio di toni irriverenti, altrimenti a lui consueti; il dolore dunque consacra il suolo, non la retorica.
Le parole di Wilde tornarono alla mente quando un amico mi inviò il video “Angel Flight” di YouTube, centrato su una canzone di Radney Foster, col testo sottotitolato che agevola la comprensione dell’inglese del deep South. La riascoltai il 2 Giugno, mentre sullo schermo televisivo sfilava l’autocelebrazione della Nomenklatura. Il commento leccaculoso lo silenziai, ascoltando più volte Radney Foster. Alla fine mi domandai perché abbiamo messo i nostri soldati nelle mani di questi cialtroni.
Il 2 Giugno (2012, NdR) sono stati rilasciati su cauzione (non “liberati” come gabellano i tiggì) i due marò, imprigionati in India, per aver obbedito ad ammiragli da due soldi. Quando torneranno, fra un anno o fra venti, saranno trattati da eroi, non perché lo siano stati, bensì per dimenticare che furono agli ordini di personaggi investiti di responsabilità al di sopra delle proprie possibilità.
Un paio di numeri fa scrivemmo del sergente Michele Silvestri, morto in Afghanistan per un colpo di mortaio, come fossimo nella guerra del 1915-18. Altri 50 sono morti inutilmente in Afghanistan. Francesi e australiani se ne vanno dall’Afghanistan entro il 2012, noi abbiamo giurato di rimanervi fino al 2014, fedeli come ascari.
Possono tuttora esserci degli eroi in Italia? Se vi fossero non avrebbero, come non hanno più da tempo, un poeta che ne canti le gesta. L’ultima poesia di guerra, composta in trincea, spoglia di retorica e di doppi pensieri partigiani ce la dette Giuseppe Ungaretti. Poi arrivarono i piccolo borghesucci come Indro Montanelli, tutt’al più commossi dai loro stupri alle bambine eritree, seguiti dai poeticchi melensi alla Cesare Pavese e alla Frabrizio De André.
Oggi dicono che Gregorio De Falco è un eroe quando strapazza Francesco Schettino. Solo al secondo tuttavia fu dedicato qualcosa, nelle trattorie italiane: spaghetti alla Schettino invece che “allo scoglio”. Si dedica ciò che si può a chi si può.
Riascolto Angel Flight.
All I ever wanted to do was fly, Non desiderai altro che volare, Leave this world and live in the sky, Lasciare questo mondo e vivere in cielo. I left the C-130 out of Fort Worth Town, Partii col C-130 da Fort Worth Town, I go up some days I don’t want to come down, Certi giorni alzandomi in volo non vorrei più scendere.
La canzone è dedicata ai voli dei C-130 che riportano in patria le salme dei caduti in Iraq e in Afghanistan.
Well I fly that plane, Ebbene io piloto quell’aereo, Called the Angel Flight, Chiamato Volo dell’Angelo, Come on brother you’re with me tonight, Vieni fratello, tu sarai con me stanotte.
La tumulazione di un caduto americano ha solo due protagonisti: lo sfortunato e la bandiera. Tutto il cerimoniale focalizza su loro. Fa venire i brividi alla nostra Nomenklatura: e io che sono venuto a fare?
Between Heaven and Earth, Tra cielo e terra, You’re never alone, Non sei mai solo, On the Angel Flight, Sul Volo dell’Angelo, Come on brother I’m taking you home, Vieni fratello, ti riporto a casa.
Mentre le immagini scorrono, i versi della canzone incalzano; ti domandi perché sia rimasta solo la lingua inglese a celebrare questi sentimenti. La nostra democrazia, il governo del popolo, se ne fotte.
A Pantelleria un marmetto rammenta i giovani isolani che si sfracellarono per l’Unità d’Italia. Fate oggi un viaggio in barca da Pantelleria a Trapani, da lì in auto fino a Palermo, poi la motonave Tirrenia (se non fallisce nel frattempo), in treno fino a Venezia e da lì a Caporetto; tutt’oggi sarebbe un incubo. Un viaggio simile nel 1915 esigeva non meno di quattro giorni, senza riscaldamento, senz’aria condizionata e non parliamo di ristorante. Solo i gabinetti forse furono comparabili agli attuali, per poi farti ammazzare in trincea, fra sterco, fango, urina, pioggia e neve, mentre il Piave mormorava l’imbecillità dei generali piemontesi.
Passano gli anni, guerre, terrorismo, spallate dei soviet, tangentopoli, altre spallate, una repubblica, anzi due, buttati via bandiere rosse e bianco fiore simbolo d’amore, arrivano tricolori, sfilate, bersaglieri e lezioni d’unità d’Italia pure dagli chef onnipresenti. Ecco pure gli scandalizzati che si dica: «Soldi mal spesi per il 2 Giugno», nonostante lo ribadisse sin dagli anni ’70 il giornale preferito di Giorgio Napolitano, l’Unità, che non era l’Unità d’Italia.
Radney Foster non bada ai miei cattivi pensieri e porta la canzone all’ultimo verso.
I love my family and I love this land, Amo la mia famiglia e amo questa terra, But tonight this flight’s for another man, Ma questa notte questo volo è per un’altra persona, We do what we do because we heard the call, Facciamo quel facciamo perché udimmo la chiamata, Some gave a little but he gave it all, Alcuni hanno dato poco ma lui ha dato tutto.
Sul mio schermo scorrono le immagini di quelli che hanno preso tutto e non hanno dato nulla. Vorrei che i caduti italiani degli ultimi 50 anni potessero materializzarsi qui, sui Fori Imperiali, dove la Nomenklatura celebra se stessa, mentre la stampa di regime si prosterna ai loro piedi.
Se quegli eroi apparissero, pur senza il pomposo invito per l’esclusiva tribuna, si rivolgerebbero ai satrapi:
If any question why we died,
Tell them, because our fathers lied.
A chi chieda della nostra morte,
Diteglielo, fu perché i nostri padri mentirono.
Ancora in inglese, accidenti, mi vien da pensare, coi versi di Rudyard Kipling, mentre immagino i nostri eroi sui Fori Imperiali.
Non scandalizziamoci per l’inglese. Siamo una colonia da lungo tempo. Il 2 Giugno è ormai solo l’anniversario dello storico ricevimento sul panfilo Britannia, gentilmente messo a disposizione dalla suocera di Lady Diana, preparando la rapina coi suoi compari romani. Adesso siedono in tribuna per la sfilata di quanti hanno fottuto. Gli eroi si accontentino della retorica, mentre l’onorevole Enrico Letta e la Lilli Gruber sono assenti giustificati dai Fori per partecipare alla riunione del Bilderberg, dove si parla solo inglese. Non c’è più nulla di sacro, né il suolo e tanto meno il dolore.
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E’ così.