C’è una frase molto citata: I have a dream, “ho un sogno”. È famosa perché l’ha pronunciata Martin Luther King. Anche Kennedy, credo, e viene a volte riproposta da alcuni nostri politici. Ma sono in molti, negli Stati Uniti, ad adottarla. Questo potrebbe far pensare a un popolo di sognatori, di gente che passa il tempo a immaginare mondi alternativi. Non è assolutamente così. La parola sogno, nel loro caso, va tradotta con progetto. Loro visualizzano un progetto preciso e realizzabile e lo definiscono sogno per quel breve lasso di virtualità. Le leggi antirazziste non sono da rimandarsi alla futura Città del sole, si possono fare in pochi mesi. E un mondo senza Unione Sovietica si può ottenere, basta avere le palle per contrastarla.
Non è insolito, però che il “sogno” si riferisca a una catena di negozi di ciambelle con due buchi. Esagero, certo, ma è vero che questa frase viene adottata spesso da ricercatori che hanno deciso di dedicarsi a uno studio perché motivati da un problema familiare, o da imprenditori che oltre al loro vantaggio personale hanno intravisto la soluzione di un problema reale per i cittadini.
Nel 1976 Stephan G. Wozniac, nome ormai dimenticato, fu il Davide che affrontò e piegò il Golia IBM. “Sognò” un computer in casa di ogni cittadino del mondo ma non è stato lì a lamentarsi perché l’IBM non voleva, non ha fondato un partito perché in un lontano futuro, in prospettiva, in un Mondo Migliore, lo Stato potesse concedere un gigantesco elaboratore ai sudditi: si vendette la macchina, costruì un computer piccolo piccolo (Lisa, il primo Mac) e insieme a Steve P. Jobs ce lo vendette.
Il mondo è cambiato. È cambiato incredibilmente (e in meglio, secondo me) senza che lui sia stato lì a prefigurare una Città retta dai Filosofi, a stilare un organigramma dei sindacati e delle assemblee che dovrebbero trasmettere al mondo il volere del proletariato. Perciò io non mi inquieto quando un americano “sogna”. Ma quando lo fa un europeo incomincio ad agitarmi. Non posso ignorare che i peggiori lutti sono provocati dai sognatori, da quegli uomini di buona volontà che passano la loro vita a lavorare per un mondo migliore. Quel mondo, di solito, non è migliore per alcuni singoli aspetti, lo è perché l’uomo, grazie alla mansuetudine e alle esortazioni degli uomini di buona volontà – o ai gulag e ai lager, se si ha fretta – è finalmente cambiato. Non c’è più, in effetti. Niente più uomo, niente più storia.
Quando si parla di Utopia, mi viene sempre in mente quella bellissima scena di Palombella rossa con tutti gli speranzosi protesi verso il soldellavvenire, bloccati dalla paresi nel loro sorriso raggricciato. E mi viene la pelle d’oca, perché hanno un bel dirci, rassicuranti, che no, che noi non siamo mica così antiquati che la vogliamo costruire a tavolino una società, non siamo mica così rigidi, per noi la parola Utopia è una prospettiva, un orizzonte, sappiamo che non è immediatamente raggiungibile ma lavoriamo per. E io ne esco definitivamente terrorizzato, perché, prospettiva vicina o orizzonte lontano, quello è un mondo di Pace e di Giustizia. Cioè un mondo dove l’uomo non esiste, è diventato un Angelo o sta più semplicemente sottoterra, in una fossa comune. Quando nomini l’utopia le associazioni immediate sono: Moro, Campanella, Platone. Nessuno sembra rendersi conto, mai, che una delle più fulgide utopie è stata quella, recente, del nazismo. Un mondo pulito, ordinato, senza gente malmessa, senza degenerati, senza gli usurai. Un bel mondo organizzato in cui la Giustizia, per gli ariani, non sarebbe mancata, e il cui obiettivo finale era la Pace: chi avrebbe più fatto la guerra in un mondo ben pettinato dalle armate tedesche?
Gli utopisti non vogliono un mondo migliore, ne vogliono un altro. L’altro mondo. E quando dicono che quella società non funziona, quel sistema non va, intendono dire che quei cittadini non gli piacciono, che quegli uomini non vanno bene. Perché gli utopisti sanno sempre cosa va bene per te: quale televisione dovresti seguire, quale musica dovresti ascoltare, quali beni di consumo sono accettabili e quali no. Io vorrei tanto che questa gente non ci dicesse: stiamo lavorando per voi. Lavorate pure per voi stessi, fatevi i vostri più soddisfacenti affari, noi stiamo bene così, su questo strano pianeta imperfetto, lieti di essere sorpresi da miglioramenti piccoli e imprevedibili.
>se volessimo parlare di constatazioni e sensazioni come fa lei, credo che si snaturerebbe il senso di un sito internet dove si cerca di andare …oltre la notizia.
Di sicuro il mio pezzo è avulso dalla linea del sito. Credo che Laporta abbia voluto “condire” il sito con questi pezzi (guardi gli altri che stanno tra “Le Muse”). Da scrittore rivendico uno sguardo che non è sociologico, come faceva Pasolini contro Ferrarotti in una indimenticabile trasmissione televisiva. Questo non vuol dire che certi approcci non abbiano rilevanza politica.
>Quello che contesto del suo articolo è un certo manicheismo. Gli americani fanno il bene anche quando tirano un peto..gli europei quando provano a pensare in grande ..producono tragedie umane.
Ovvio che cercando di fare chiarezza – nella brevità – su quello che per me è un malinteso semantico ho dovuto adottare un certo schematismo. E gli americani – anche qualcuno che ho conosciuto personalmente – mi sembra incarnino meglio di altri quella certa accezione del termine, tutto qui. Non mi sognerei mai di pensare che gli americani siano il bene. Penso esattamente il contrario: sono dei perfetti criminali nei confronti di chiunque non sia ‘cittadino romano’. Ma, davvero, le mie considerazioni erano limitate al senso che viene dato a una parola. Ribadisco: di solito per gli americani sogno è progetto mentre per l’europeo, troppo spesso, quando non è vagheggiamento e fumisteria diventa incubo. Ci sono le eccezioni, ovviamente: Mattei è un fulgido esempio di “sognatore americano”. Me ne trovi Lei un altro, in Italia, che a me adesso non viene in mente niente.
>patologia che lei denuncia essere fisiologica negli europei, prossimi infatti all’estinzione a causa della corruzione morale e della sfiducia che alberga in ognuno di noi, cattolici mangiapreti o protestanti non fa differenza secondo me.
Io lotto contro l’“eunucotidine” (veda mio pezzo sulla natalità, con i versi di Giovanni Lindo Ferretti) che ha certo radici nella sfiducia e nella disperazione. Ma la fiducia nella Provvidenza, quello che ci manca, non ha nulla a che vedere con la costruzione di utopie.
>L’esempio che ho riportato del Prof.Fukuyama è emblematico secondo me. Il titolo del suo libro è il calco della tesi del comunismo scientifico di Marx: La fine della storia.
>Giusta considerazione “Fascismi comunismi e liberalismi sono ideologie, non utopie”.
Trovo che siano conseguenze delle utopie, da Rousseau al Marx giovane, da Stirner a un malinteso Nietzsche.
Per via del pragmatismo, immagino. Che in fondo non apprezzo più di tanto, specie oggi. Tanto son pragmatici che son capaci di venirsene fuori con quella parodia del pragmatismo che è la fine della storia.
I sogni degli americani sono a termine: pensano a qualcosa di realizzabile nel giro di pochi anni, al massimo di una vita. In realtà non sono veri sogni e questo è anche il loro limite.
P.S. tutti quei biondazzi nudi nei boschi non odorano di utopia? mi paiono in linea con la definizione “disegno di una società perfetta, proiettata in una dimensione spazio-temporale indefinita”. Ovvio che non mi sembra un’utopia apprezzabile, ammesso che ve ne siano. Ma Pound, gran letterato, ne fu intrigato fino alla pazzia.
Ci sarebbe da riflettere molto. In effetti l’utopia dovrebbe essere più apprezzata nei paesi protestanti, i cattolici non ne hanno bisogno (e sono troppo conoscitori della condizione umana per crederci davvero). E i Pellegrini sono andati a costruirla, l’utopia. Poi lo stesso Emerson finì per allontanarsi dal trascendentalismo e accostarsi al pragmatismo. Chissà, forse intendevano più costruire mondi nuovi in paesi nuovi che trasformare quelli vecchi. Sarà questa la differenza?
La questione è aperta. Le mie sono constatazioni, sensazioni, mica scrivo trattati organici.
Non me ne voglia. Nessuno esige trattati organici ma se volessimo parlare di constatazioni e sensazioni come fa lei , credo che si snaturerebbe il senso di un sito internet dove si cerca di andare …oltre la notizia.
Comunque provo ad argomentare meglio, anche per rispondere al Gen. Laporta che ha preso benevolmente e sue difese.
Quello che contesto del suo articolo è un certo manicheismo. Gli americani fanno il bene anche quando tirano un peto..gli europei quando provano a pensare in grande ..producono tragedie umane.
Ma non le sembra questo un ragionamento che denota una certa “eunucotidine” – patologia che lei denuncia essere fisiologica negli europei, prossimi infatti all’estinzione a causa della corruzione morale e della sfiducia che alberga in ognuno di noi, cattolici mangiapreti o protestanti non fa differenza secondo me.
Ma lasciatemi sognare un pò anche a me, senza che mi si pari ogni volta davanti il cancello di Auschwitz!!
E che oltre all’esclusiva al diritto della ricerca della felicità gli americani hanno anche quella sul diritto alla ricerca del sogno? A quanto pare si.. cospargiamoci il capo di cenere ancora un pò con i totalitarismi nazisti e stalinisti.
“Quant’era cattivo Hitler! Un demone! Quant’era crudele Stalin!!” Ce lo ripetono fino alla noia, ma ce ne fosse uno che ci spiega perchè hanno preso il potere questi loschi figuri nella società tedesca e nella società russa! No..capire è vietato. Tutti pronti a impallinare il primo neo-nazista che si avvicina minaccioso a passo d’oca. E la coscienza è mondata. Però la crisi resta e gli eunuchi proliferano.
Non è che invece il “male” ben più furbo di noi prepara le prossime tragedie sotto le sembianze di un signore in giacca e cravatta che ci mostra un grafico nel suo nuovissimo iPad2300? A quel punto nessun sogno partorito dalla mente di nessun Wozniac ci salverà.
Ma noi saremo tranquilli perchè avremo messo i neo-nazisti a pulire i cessi pubblici di Auschwitz con un braccialetto elettronico.. Il male è controllato dentro i cancellini…mica può uscire fuori.
Qualcosa non torna.
Secondo me nemmeno gli USA sono immuni da corruzioni morali. L’esempio che ho riportato del Prof. (questo va in grassetto) Fukuyama è emblematico secondo me. Il titolo del suo libro è il calco della tesi del comunismo scientifico di Marx: La fine della storia (anche questo in grassetto) .
La corruzione morale , come altre volte il Gen. Laporta ha ricordato su questo sito a proposito dell’esercito, ha intaccato anche la società statunitense. E nello specifico anche la scienza politica che s’insegna in alcune università .
Il loro liberalismo da esportazione ridotto a pura ideologia, alle nostre latitudini sta trasformandosi sempre più in tecnocrazia. Ma sento le anime belle gridare : “è perchè noi italiani siamo lazzaroni! E’ colpa delle poche liberalizzazioni! Ci vuole più mercato e meno Stato!”. Sono osservazioni che lasciano il tempo che trovano secondo me.
Fascismi comunismi e liberalismi sono ideologie, non utopie. L’ultima, uscita vincente dal secolo breve si sta affermando su tutto il pianeta con i risultati che ciascuno può constatare da sè.
Secondo alcuni è il migliore dei mondi possibili…faccio mio l’invito del Paoloni : andate a quel paese (migliore).
cordiali saluti
Paolo
ps: mi scuso per la lunghezza e per essere andato forse troppo oltre…ma non la notizia questa volta. 🙂
Buongiorno,
vorrei chiedere al signor Paoloni come mai quando un americano immagina “mondi di sogno” e utopie è un uomo di buona volontà e s’inventa l’iPod, mentre quando invece a sognare è un europeo, oggi, nel 2012, non può che sognare lager o gulag.
Forse per una superiorità antropologica degli americani sul resto dell’umanità? Oppure forse grazie al Destino Manifesto o perchè “In God they trust”?
Grazie
Paolo
ps: a titolo di esempio vorrei riportare una delle ultime grandi utopie intrisecamente americane, demonica a mio parere quanto quelle europee del ‘900 : la fine della storia e il conseguente mondo pacificato prodotta dal Prof. Fukuyama. E il fatto che una simile utopia sia uscita dalla testa di un cattedratico universitario e non da un imbianchino frustrato e arruffapopoli austriaco, mostra come purtroppo anche la società americana non è immune da corruzioni intellettuali e morali.
Inoltre trovo che definire il nazismo un’utopia, oltre ad essere fuorviante, è scorretto sotto tutti i punti di vista.
Spezzo tre lance a favore di Paoloni. Osservi il suo testo non per caso messo in grassetto nel suo post:
“una delle ultime grandi utopie intrisecamente americane, demonica a mio parere quanto quelle europee del ‘900 : la fine della storia e il conseguente mondo pacificato prodotta dal Prof. Fukuyama. E il fatto che una simile utopia sia uscita dalla testa di un cattedratico universitario e non da un imbianchino frustrato e arruffapopoli austriaco,
…lei stesso definisce “utopia” il nazismo…
Ho risposto senza rileggere, ma va da sè che il senso del mio commento era tutt’altro.
Infatti i grassetti che ha inserito lei, enfatizzano le sue tre lance e non il senso del mio commento, anzi sviandone il senso.
Comunque il termine che ho usato “utopie” va usato fra virgolette come ha fatto lei, per enfatizzarne l’ironia. Non credo che sia facile definire scientificamente fascismi e comunismi , ma di certo converrà con me che non si può chiamare utopia il nazismo.