ICONOCLASTIA, IL MALE CHE SEMBRA IMMORTALE

Dai tagli iconoclasti di Lucio Fontana alla sutura crociata di Gilberto Di Benedetto. L’arte riconciliante è possibile? L’iconoclastia affligge il sacro. Almeno da un secolo, la scultura, la pittura, l’architettura, l’«arte» e quindi l’umana esistenza, spogliatesi del “sacro”, dovranno tornarvi per ritrovare la pace, come ciclicamente avviene dalla Crocifissione.

I “Tagli” di Lucio Fontana, pochi forse rammentano le tele monocromatiche coi tagli vaginali, gabellando il “concetto spaziale”, metafora del nulla se non fosse stata miracolata dai mercanti d’arte. Dal dopoguerra arte, guerra, terrorismo, petrolio e carta moneta sono sovrapposti, col valore assegnato dai poteri, aggiogandosi così l’arte alle potenze. Nacquero i “sovrapposizionisti”, per i quali è più importante il valore venale sovrapposto a quello effettivo, nell’arte come in politica e in ogni attività. Le cose tuttavia cambiano.
Chi andrebbe oggi con un “taglio” di Fontana a Mosca, a Pechino o a Nuova Delhi a cercare acquirenti milionari? Il giorno dopo il crollo dell’Unione sovietica i nuovi ricchi d’Oltrecortina giunsero per acquistare oggetti d’arte per le proprie ville. Oggi questo scambio è fermo, la guerra pone un discrimine insuperabile; col sistema occidentale crollerebbero le rivendite d’arte “sovrapposta”, dal valore astratto quanto quello della carta moneta, a sua volta travolgibile dalle bombe.

Il Concilio di Nicea II

Se questo avvenisse, inutile illudersi, il mondo non tornerebbe ai giorni di Marietta, la bracciante agricola di mia zia, ferma al tocco di mezzogiorno, segnandosi con la Croce. D’altronde nessuno in paese imitò Marietta e forse, quand’essa non era in campagna, non si fermò per strada a segnarsi come quando era nei campi. L’ermeneutica di questa differenza non importa; basti la verosimiglianza a ricordare che il “sacro” non è l’oppio bensì l’anima dei popoli. L’oppio vero è la carta moneta.
Il secondo concilio di Nicea, pur legittimando la devozione alle “sacre immagini”, non fu tuttavia risolutivo. La disputa ebbe un prima e un dopo, secondo gli studiosi prolungatosi per un secolo, a testimoniare la vocazione della Navicella ai mari in tempesta.
La fine della bufera portò l’arte sacra nelle chiese cattoliche, ratificando il culto dovuto alla Croce. Il Rinascimento segnò il trionfo dei valori cristiani nell’arte, inacidendo l’odio delle parti avverse. Se l’iconoclastia avesse invece vinto, la Croce non sarebbe stata raffigurabile, per la gioia di chi oggi la schioderebbe dai muri.
L’iconoclastia non è morta. La meno ostile è sui versanti comunista e mussulmano, pur con eccezioni estreme, come Adel Smith, mussulmano, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1960, fondatore dell’associazione “Unione Musulmani d’Italia”, tanto rumorosa quanto scarsa di aderenti. Esigeva nel 2003 la rimozione del crocefisso dai muri delle scuole e un magistrato gli dette ragione. Vittoria di Pirro, il Consiglio di Stato nel 2006 inchiodò i crocefissi sui muri delle scuole: «Si deve pensare al crocifisso come ad un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato. Nel contesto culturale italiano, appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti, più di esso, a farlo.»
Vittoria definitiva? L’iconoclastia è come l’influenza, prima o poi torna, come accadde nel 2019, con Lorenzo Fioramonti ministro dell’Istruzione, nemico del crocifisso. Il governo Conte II cadde e Fioramonti dovette cercarsi un lavoro serio. Non cantiamo vittoria. Se Schlein Elly trionfasse, il crocifisso tornerebbe nel mirino, per la portabandiera LGBTQRSTP+, globalista, sorosista e chissà quanti altri “ista”. D’altronde è la sorte del crocifisso da duemila anni, stare nel mirino, con o senza i Soros, i Rothschild e le serventi Elly; oppure l’università di Helsinki che insignisce Greta della laurea honoris causa in… teologia, con la benedizione del Vaticano.
I credenti non cerchino lontano i nemici, sovente neppure davvero ostili, solo stupidi o accecati dall’ambizione. La chiesa di San Giovanni Rotondo, intitolata a Padre Pio, ostentò un’orrida croce sovrapposizionista d’un Pomodoro Arnaldo e solo pochissime piccole sculture sull’ambone, come impose il venerabile architetto Piano Renzo, con la benedizione d’un monsignor Valenziano Crispino, suprema autorità per l’architettura sacra, che vigilò sulla costruzione. L’iconoclastia nella chiesa di Padre Pio risponde evidentemente ai canoni conciliari del Vaticano II. Come d’altronde dubitarne? Come Dio volle, alla visita pastorale del 21 giugno 2009 del teologo papa Ratzinger conseguì la rimozione dell’abominio sovrapposizionista e l’elevazione del crocifisso accanto all’altare, com’è tradizione dal Golgota in poi. Non mancarono ulteriori insidie, risoltesi anche quelle positivamente.
Monsignor Marko Ivan Rupnik nei corridoi della cripta collocò una quantità di mosaici, taluni molto belli e pieni di fede (forse non c’erano suore in giro), uno dei quali causa di superflue polemiche, quello che raffigura Italia Betti, donna di punta del PCI di Togliatti, con l’Unità in mano. La professoressa Betti fu convertita da Padre Pio e morì di tumore a San Giovanni Rotondo. Quando il mosaico fu scoperto, Antonio Socci si indignò per quella che sembrava una benedizione al giornale della fazione che abbandonò Aldo Moro ai sicari. https://bit.ly/3lIzT4F Era esattamente il contrario. L’iconoclastia può risultare insidiosa quanto l’iconodulia.
Quanti vedessero l’Unità come il diavolo, ignorerebbero che il quotidiano fondato da Antonio Gramsci pubblicò uno dei brani più belli che siano mai stati scritti sulla Croce. Lo firmò Natalia Ginzburg, ebrea ma non sionista. Lo si può leggere nell’archivio de l’Unità del 25 marzo 1988, a pagina 2 https://bit.ly/3lE5UuH

La Sutura della Croce

Sono astuti, i figli delle tenebre, non intelligenti abbastanza da comprendere quando cadono nel ridicolo, mentre l’iconoclastia colpisce dove, come e quando meno te lo aspetti. Il Crocifisso rimane tuttavia lì a ricomporre le persone e la ragione.
Viviamo giorni colmi di tutte le eresie e di tutti gli abomini. Comunismo, Nazismo, Liberalismo, Globalismo, Sionismo, Ecologismo, perduta ogni distinzione, ci riportano al Sant’Agostino della Città di Dio e sembra di essere a Parigi: «i patrizi trattarono la plebe come schiava, ne disposero della vita e dell’opera con diritto regio, la privarono della proprietà dei campi e amministrarono da soli con l’esclusione di tutti gli altri. La plebe, oppressa dalle vessazioni e soprattutto dalle tasse giacché doveva subire l’imposta e insieme il servizio militare per le continue guerre, occupò armata il monte sacro e l’Aventino e così rivendicò i tribuni della plebe e gli altri diritti. Fine delle discordie e della lotta fra le due parti fu la seconda guerra punica». La degenerazione etica dello Stato romano ebbe due vie d’uscita: prima le guerre e poi la Croce. Prima che noi si segua la medesima strada, un artista romano, Gilberto Di Benedetto, https://bit.ly/3LWkzw2 del quale abbiamo già detto a proposito della Madonna dei Debitori [https://bit.ly/3FOks1w] propone la Croce prima della guerra, ricucendo i tagli del sovrapposizionista Fontana. È un segno di speranza in un mondo sgovernato da alienati strafatti di potere, di droga e di sangue.

Verrà Tempo

Per capire questa iniziativa, ricordiamo le leggi millenarie che regolano l’esistenza degli Stati: 1) Gli imperi crollano; 2) gli Stati nascono e muoiono con le guerre; 3) l’ultima, la più negletta, è pure la più semplice: le cose cambiano come Dio vuole. Tre leggi millenarie sempre rispettate nella realtà dei fatti.
Non solo don Rodrigo dei Promessi Sposi dimentica l’ammonimento del più giovane dei fratelli Maccabei al suo carnefice: «Verrà tempo, che da Lui percosso e vinto dall’acerbità del dolore, confesserai che sei tu uomo. Se la nostra gente non avesse peccato contro Dio, non saremmo caduti in questa sventura; ma spero che Dio fra poco placato dal mio sangue e da quello dei miei fratelli, si riconcilierà col nostro popolo, ed a noi, dopo una morte coraggiosamente sofferta, darà la vita eterna.»
Essi non credono nella vita eterna e nel valore salvifico dei martiri massacrati dalle loro stesse mani. Eppure ebbero la dimostrazione simultanea delle tre leggi la notte di Natale, il 25 Dicembre del 1991: 1) crollò l’impero sovietico; 2) per la prima volta nella storia uno Stato di tali dimensioni morì senza una guerra perché 3) le cose cambiano come Dio vuole.
Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dopo trent’anni dalla notte di natale del 1991 muovono guerra alla Russia. L’Unione europea, il ministro Guido Crosetto, l’onorevole Giorgia Meloni, La Repubblica, Il Foglio, Informazione Corretta e l’onorevole Schlein Elly s’accodano festosamente. Compagnia alquanto policroma. Occorre tuttavia chiedersi, mentre costoro percuotono gli scudi, se sia una coincidenza lo sfarinamento delle banche, mentre i medesimi assicuravano la Russia franata di lì a un mese dopo le sanzioni.
Possono pure non credere in Dio, i tambureggianti, è tuttavia arduo, a lume di naso – e dei gramsciani rapporti di forza – che la Russia crolli se non sprofondò nel 1991-1992, quand’essa fu isolata, disarmata e affamata. Oggi ha il grilletto nucleare. La Russia e, dietro di essa, Cina, India, molta America latina, l’Africa, il mondo e persino buona parte degli italiani e della UE.
Meloni e Crosetto non sanno nulla di Gramsci, e si capisce. Al più leggiucchiarono le odi alla guerra “sola igiene del mondo” di Filippo Tommaso Marinetti. Eppure anche il futurista più animoso si chiederebbe quale impero crollerebbe se la Russia non sgretolasse com’essi invece profetarono. Rischio sostenibile? Iniziano a chiederselo anche il New York Times e il Washington Post.
In attesa che si dissolva il junk thinking nell’Ufficio Ovale, sintesi di tutte le eresie, teologicamente speriamo nella pietà divina, per andare oltre i tagli iconoclastici verso la sutura della Croce.
Il futuro è nelle mani di Dio e Cristo Vince, speriamo al più presto, nonostante le sculettanti fighette anglosassoni.

Informazioni su Piero Laporta

Dal 1994, osservate le ambiguità del giornalismo italiano (nel frattempo degenerate) Piero Laporta s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come d'altronde sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo, (Ufficio Politica Militare dello Stato Maggiore della Difesa). Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, italiani e non (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi, Corriere delle Comunicazioni, Arbiter, Il Mondo e La Verità). Ha scritto “in Salita, vita di un imprenditore meridionale” ed è coautore di “Mass Media e Fango” con Vincenzo Mastronardi, ed. Leonardo 2015. (leggi qui: goo.gl/CBNYKg). Il libro "Raffiche di Bugie a Via Fani, Stato e BR Sparano su Moro" ed. Amazon 2023 https://shorturl.at/ciK07 è l'inchiesta più approfondita e documentata sinora pubblicata sui fatti del 16 Marzo 1978. Oggi, definitivamente disgustato della codardia e della faziosità disinformante di tv e carta stampata, ha deciso di collaborare solo con Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti. D'altronde il suo più spiccato interesse era e resta la comunicazione sul web, cioè il presente e il futuro della libertà di espressione. Ha fondato il sito https://pierolaporta.it per il blog OltreLaNotizia. Lingue conosciute: dialetto di Latiano (BR) quasi dimenticato,, scarsa conoscenza del dialetto di Putignano (BA), buona conoscenza del palermitano, ottima conoscenza del vernacolo di San Giovanni Rotondo, inglese e un po' di italiano. È cattolico; non apprezza Bergoglio e neppure quanti lo odiano, sposatissimo, ha due figli.
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