Il Festival di Sanremo, fra tradizione e trasgressione, ci riporta al passato. Il Trio “Il Volo” vince con “Grande Amore“
È la prima volta che vedo un festival di Sanremo per intero, in realtà solo la serata finale, e non sono una pischella.
Gli altri anni mi limitavo a fare zapping per sentire se ci fosse qualche canzone carina e per sbirciare gli abiti dei personaggi. Questa volta, dopo averci dato un’occhiata nelle serate precedenti, ho deciso di accoccolarmi sul divano e godermi lo spettacolo per intero, con il PC sulle ginocchia, perché dovevo fare anche una ricerca di routine. Non nego di avere disattivato l’audio ogni tanto, infastidita da due-tre canzoni.
Che cosa mi ha convinta? La bravura di Carlo Conti, conduttore completo, garbato ma non affettato, spontaneo ma non volgare, cosa difficile oggi nello spettacolo; la gradevolezza della scenografia, non lugubre e nemmeno pacchiana; la normalità delle co-conduttrici, che non erano le solite strafighe o bruttine simpatiche, ma cantanti loro stesse, quindi in tema con il festival; ultimo e non ultimo, le canzoni, le quali hanno celebrato la canzone italiana, per la maggior parte. Tutti elementi che hanno determinato un aumento degli indici di ascolto.
Sull’amore fuori dagli schemi. La famiglia Nania, sedici figli, avrà fatto sentire inadeguati i genitori di figli unici, messi in programma tardivamente, dopo i viaggi, e allevati ansiosamente e senza più le energie della giovinezza. Non è solo colpa della crisi ché si mettono al mondo pochi bambini: negli anni ’50 l’Italia usciva dalla guerra, eravamo poveri, si poteva soffrire la fame e di sicuro si mangiava pochissima carne e poco di tutto il resto; pane e polenta erano la principale fonte di nutrimento. Non era scontato che si dovessero passare le vacanze al mare, si viaggiava per emigrare… Si faceva all’amore spontaneamente, come lo sanno fare i giovani innamorati, senza la presenza di Freud e di Masters&Johnson, e i figli erano frutto di un gesto d’amore.
Conchita Wurts: a me piace e non mi scandalizza, ha cantato una bella canzone, con una bella voce e una grazia innata. Inutilmente è stata messa dopo mezzanotte, senza pensare che i bambini sono più propensi degli adulti ad accettare la diversità. L’effeminato Paolo Poli è stato un allegro menestrello della TV dei Ragazzi, che ha rallegrato la mia infanzia, e solo da adulta ho saputo della sua omosessualità.
La struggente canzone “Sono una finestra” di Platinette, umana, il racconto straziante della ricerca di una identità irraggiungibile. Ma chi di noi può dire di averla raggiunta?
[cryout-pullquote align=”left” textalign=”justify” width=”25%”]Alla sala stampa che li snobbava, i ragazzi de “Il Volo” hanno riposto sorridenti e trionfanti: “Il popolo è con noi!”[/cryout-pullquote]Sulla canzone vincitrice, “Grande amore”: era la mia preferita. Una romanza all’italiana cantata alla Bocelli, non innovativa, di gusto retrò, definita dagli stessi interpreti operatic pop o pop lirico, la nostra melodia esportabile. Sabato notte, alla sala stampa che li snobbava, i ragazzi de “Il Volo” hanno riposto sorridenti e trionfanti: “Il popolo è con noi!” e anche la bellezza della gioventù. Ma infine il voto è venuto da un’Italia di nonni, dalla quale i figli devono scappare per cercare lavoro e i nipoti scarseggiano. Nonni che con la loro pensione funzionano da ammortizzatori sociali.
Mentre il trio di ventenni cantava, mi gustavo le loro belle facce di giovani italiani – due siciliani e un abruzzese – in black tie di sartoria italiana, gli occhi scuri languidi o vivaci, il ciuffo di capelli corvini e folti.
Sullo sfondo del palco di Sanremo un display wall proiettava un primo piano di “Amore e psiche” del Canova, la cui scultura per intero è più scandalosa di una qualsiasi Anna Oxa col tanga in vista o una di Berté con il pancione finto. “Amore e psiche”, un’immagine che, nella mia pubertà, andavo a cercare di nascosto nel terzo volume dell’Enciclopedia del ragazzo Italiano, edizione del ‘62.
Nel talk show di Massimo Giletti della domenica pomeriggio vediamo i ragazzi de Il Volo difendere allegramente il loro genere musicale, fieri di essere i più giovani cantanti a portare la canzone italiana all’estero.
Giletti rivela che, durante una intervista nei giorni precedenti, Placido Domingo si mette a frugare nel suo portafoglio. Ne cava la foto di un ragazzo e chiede a Giletti: “Sai chi è? Mio nipote. È un fan scatenato de Il Volo.” Per questo ha voluto presentarli nella loro esibizione a Sanremo.
Una doccia fredda su Mariano Sabatini che, nella trasmissione del mattino sulla stessa RAI 1, li ha definiti “giovani già vecchi”, per la loro canzone e per essere stati introdotti dall’anziano Placido Domingo.
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