Lucio Dalla legato a padre Pio e al Gargano. Lucio Dalla, quello vero, un genio semplice, come nessuno ve lo ha mai raccontato.
Lucio Dalla, un genio semplice lo si direbbe, sebbene gli episodi che qui andiamo a narrare facciano trasparire una complessità celestiale, individuata dal Santo Frate di San Giovanni Rotondo quando ancora Lucio Dalla non aveva piena consapevolezza di sé. Le testimonianze postume di certi “esperti” di Lucio Dalla sono state utili soprattutto a mettere loro sotto i riflettori. Da costoro l’anima religiosa di Lucio Dalla è oscurata, messa fastidiosamente da parte, negata per compiacere le proprie cerchie. Eppure l’anima celestiale di Lucio, un genio semplice, è ben nota a quanti hanno hanno condiviso pezzi importanti di vita con lui, senza ambizioni di carriera o di ribalta, prestandogli tuttavia fedelmente la propria opera. Uno di questi è certamente Michele Bottalico, marittimo di Manfredonia.
«Cumpe’, come steji? La famiglia sta bene? E i bambini?» Compare come stai? La famiglia sta bene? E i bambini?
Michele vorrebbe udire ancora queste semplici domande dalla voce del suo amico Lucio, pronunciate in perfetto dialetto di Mambredònje, Manfredonia. Lucio vernacolava come fosse nato nei vicoli del porto garganico e in una certa misura era proprio così.
«Cumpe’, come steji? La famiglia sta bene? E i bambini?» le prime parole di Lucio ogni volta che telefona a Michele o quando s’incontrano dopo un po’ di tempo.
Michele parla un po’ in italiano e molto in dialetto di Mambredònje, con accento forte e di tanto in tanto italianizzato.
Che cosa hai perso con Lucio? Ammutolisce mentre scorre la moviola di trent’anni d’amicizia, lavoro, avventure, fratellanza.
«Ho perso più che un fratello» Suo fratello Matteo annuisce, seduto accanto a lui, per niente offeso dalla posposizione, condivisa persino. E Michele racconta.
Per mare con l’Olimpia, trasportando materiali per la residenza di Lucio alle Tremiti, Michele tentava di telefonare ai fratelli a Manfredonia ma il contatto falliva. Ne era lacerato, la madre ricoverata in gravi condizioni nell’ospedale di padre Pio, a San Giovanni Rotondo. Invocò Lucio alle Tremiti, con la radio di bordo: «Per favore telefona a mio fratello a Manfredonia, fatti dire come sta mia madre.»
Lucio lo attese nel porticciolo di San Domino, a bordo del velocissimo motoscafo d’altura già in moto: «Dai, salta su, ti porto a Manfredonia in un attimo. Oppure faccio venire l’elicottero da Foggia e quando atterri trovi un’auto che ti porta a casa in venti minuti».
Michele declinò l’una e l’altra offerta. La tristezza di Lucio gli aveva detto prima ancora che parlasse che la fretta era superflua. S’aggrappò al fatalismo dell’uomo di mare; però il ricordo di Lucio, lì ad aspettarlo, prodigo d’aiuto e consolatorio, lo commuove ancora.
Siamo nel salotto di casa di Matteo, a poche decine di metri dal mare, lungo la riviera dell’«Acqua di Cristo», la sorgente fra gli scogli, dove Lucio dirigeva la sua passeggiata preferita, dall’incrocio fra viale Miramare e via dell’Arcangelo, pochi passi dal Castello e dal chiosco di Tommasino, leggendario gelataio, accanto all’arena Impero, della quale Lucio bambino gustava i film gratis dal balcone di casa.
Se Michele sognasse Lucio nel chiedergli «Cumpe’, chiamami al telefono», egli non esiterebbe un istante, comporrebbe il numero e non stupirebbe d’udirne la voce: «Cumpe’, come steji? La famiglia sta bene? E i bambini?».
«Lucio è speciale» Michele ne parla coniugando il tempo presente.
«È una persona davvero speciale. Prima d’un concerto alle Tremiti, diluviava e il mare in tempesta impediva l’arrivo delle barche e degli spettatori dalla terraferma. Lucio che facciamo? Chiesi in ansia, dimenticando che altre volte, nella stessa situazione, aveva risolto allo stesso modo».
In quale modo? Chiedo, quando Michele ha già cominciato a rispondere «Non preoccuparti» rispose Lucio «facciamo una preghiera a padre Pio, vedrai, ci aiuterà.»
[cryout-pullquote align=”left” textalign=”left” width=”33%”]«Io ho un unico punto fermo, Gesù Cristo» [/cryout-pullquote]
Come altre volte, Lucio si raccolse in una breve e intensa preghiera. Pochi minuti dopo il cielo tornò azzurro, il sole splendeva di nuovo, il mare calmo. Almeno tre volte Michele gioì per analoghi episodi: «Poi non ne parlavamo più. Per Lucio fare così era semplice e naturale».
Aveva 23 anni quando incontrò Lucio per la prima volta alle Tremiti, arrivandovi col suo battello che trasportava il necessario per la vita nelle isole; era l’estate del 1982. Riconobbe Lucio sulla banchina del porticciolo di San Domino; sapeva che vi dimorava.
Michele non è timido e l’occasione gli parve ghiotta. Scambiarono qualche battuta e il cantante, com’era usuale, non si sottrasse.
«Chiunque lo interpelli per strada per parlargli o per un autografo trova Lucio disponibile» Michele lo ripete più volte «Se gli rappresentano un problema di povertà o di malattia, allora lo fa suo concretamente» conclude.
«Un giorno eravamo per strada insieme a De Gregori che era camuffato sotto un giaccone col cappuccio e gli occhiali; fu ignorato dalla gente. Lucio invece lo riconobbero subito e lo circondarono. Non si sottraeva mai; battute, saluti, fotografie, si immergeva nella folla con la stessa beatitudine che gli dava il mare. L’altro stava in disparte, guardandolo un po’ sorpreso, forse anche con una punta di invidia: Lucio era felice».
Lucio, che faccio li allontano? Chiese Michele una delle prime volte. «No, no, devo essere grato a questa gente.»
Duello in dialetto
Michele, incontrando Lucio, la prima volta alle Tremiti, vi fece un’indimenticabile pessima figura; lo ricorda con molto divertimento.
Colpito dalla bassa statura di Lucio, forse in qualche modo deluso che il suo aspetto fosse di gran lunga più modesto della sua fama, Michele si lasciò andare con la sfrontatezza del giovane uomo di mare, a tentare il colpo basso alla celebrità. Quella sera si sarebbe vantato con gli amici al bar e ne avrebbero riso: lui, Michele Bottalico, il marinaio, aveva preso in giro Lucio Dalla, il celebre cantante.
Presunse di conoscere il dialetto, un dialetto molto difficile, ben più del cantante e partì all’attacco: «Madò! Quant si’ brutte!» Madonna, quanto sei brutto.
Lucio, senza esitazione restituì il colpo come fosse pescatore di Mambredònje, nato a via Maddalena, sul porto: «Jü? A verè tu quant se’ brutte!» Io? Dovresti vederti, quanto sei brutto. Accento perfetto e sfoderò un sorriso canagliesco, come avesse fatto filotto da dodici al biliardo.
Volevo nascondermi, ricorda Michele, volevo diventare invisibile mentre Lucio ghignava divertito, incalzandolo: «Guagliò! Vini qua, vì vì vì…» Ragazzo, vieni qui, vieni vieni vieni; il braccio teso e quattro dita, unite su e giù, gestualità tipica da pescatore.
«Ma tu sì de Mambredònje?»
«Sì, sì » Michele era oramai domato «So’ de Mambredònje…»
«Bravo, allora la prossima volta che vieni devi portarmi gli scavetatjille, due, tre chili di scaldatelli. Però mi raccomando solo quelli da via della Croce, da Nella, solo quelli di Nella. Ogni volta che vieni purteme le scavetatjille. Me’ capìte?».
Gli scaldatelli, taralli di varie forme e dimensioni, a seconda delle varie contrade garganiche, composti solo di acqua, farina e un po’ d’olio e di vino; di zucchero e lievito neppure l’ombra. La semplicità della ricetta esige maestria da chi li confeziona e assoluta genuinità delle materie prime affinché il risultato finale sia di gran sapore, friabile ma non fragile, deliziosamente gustoso e fragrante.
Come faceva quell’accidente di polentone bolognese a sapere che gli scaldatelli di Nella sono i migliori del Gargano e quindi del mondo?
Indifferente in apparenza allo sbigottimento del marinaio, Lucio gli dette il numero di telefono, stabilendo un contatto che non si sciolse più, affidando al giovane marinaio incarichi mano a mano più importanti, fino a farne autista, braccio destro e comandante della sua barca; l’amico infine che lo seguì ovunque.
Zingarando sul Gargano, con un punto fermo
Un paio di settimane prima dell’ultimo viaggio telefonò da San Severo; nevicava:«Michele, mi porti in giro? Dai, prendi la jeep».
Come sempre, quando lo spettacolo finiva, spenta l’ultima luce, dissoltosi l’ultimo accordo, saliva la smania di cercare nella notte per lenire i tumulti interiori.
Andarono ad Apricena, cenarono, da lì scesero a Manfredonia, poi a San Giovanni Rotondo, a notte tarda, per il solito giro intorno al convento.
Padre Pio mantenne sempre un rapporto speciale con Lucio – Michele ebbe modo di scoprirlo – un rapporto vivo, attuale, nonostante i lunghi anni trascorsi dalla morte del frate, nel 1968, a settembre.
Le zingarate sul Gargano, apparentemente senza meta, sempre prevedevano un passaggio notturno al convento di padre Pio.
Mentre l’auto andava, l’umore di Lucio mutava. Michele intuiva quando il passeggero aveva bisogno di parlare, quando di silenzio. Cercavano il mare e il cielo, la terra e la velocità: «Come la volta da Termoli a San Severo, in venti minuti, duecentoquaranta all’ora, che neanche Nuvolari» Michele ha lo sguardo lontano.
In una sera così, Lucio lo soprese: «Io ho un unico punto fermo, Gesù Cristo» erano a Bosco Quarto a guardare il cielo stellato.
I concerti li portavano in ogni dove e Michele ovunque aveva una missione prioritaria: cercare la chiesa dove Lucio potesse confessarsi, ascoltare la Santa Messa e ricevere l’Eucarestia.
«Io sono cattolico» Lucio lo ripeteva ogni volta che poteva e ne dava prova, come nel 1994: nato Paolo, il primogenito di Michele, Lucio si candidò padrino per il battesimo.
Michele avrebbe scoperto negli anni successivi che Lucio fu padrino d’innumerevoli bambini, figli di poveri, amici d’ogni dove e fra gli zingari. Bambini portati al battistero, per Lucio furono gioia cercata e ripetuta.
«Io sono cattolico, te lo battezzo io, te lo battezzo io» Lucio lo ripeté a Michele da quando seppe che Chiara era incinta. Lucio era così: negli appuntamenti cruciali della vita si metteva in prima, seconda o ultima fila, come la sua sensibilità suggeriva.
«Quando morì mio padre, presumevo che non lo sapesse» ricorda Michele, mentre Matteo annuisce commosso «Vedemmo con sorpresa la sua auto unirsi al corteo funebre» che a Manfredonia usa far transitare davanti alla casa del defunto, per un ultimo saluto «Mentre andavamo dalla chiesa della Croce verso casa, forse a causa del traffico, alcuni amici di Manfredonia si persero, distaccandosi dal corteo, Lucio invece lo seguì con disinvoltura, come fosse nelle strade del suo paese».
I cortei delle auto, funebri o festosi, sono tuttora ricorrenti nel traffico di Manfredonia, la cui intensità spesso non ha nulla da invidiare a quella d’una metropoli. Un corteo di gran lunga più festoso si formò quando battezzarono, Paolo, il sospirato primogenito di Michele e Chiara, atteso ostinatamente per sedici anni. Era tutto pronto per la cerimonia nella chiesa di Santa Maria Regina, a Siponto, il quartiere balneare a sud di Manfredonia, fra pinete ed eucalipti.
Lucio fa piangere il parroco
Monsignor Valentino Vailati, arcivescovo di Manfredonia, aveva volentieri consentito a officiare il rito. Il prelato però ebbe un serio problema all’ultimo momento e dovette rinunciare.
«Nooo, assolutamente non è possibile» rispose don Mario Carmone parroco della chiesa della Croce e zio di Chiara, quando Michele gli chiese di celebrare in luogo del vescovo «Impossibile, il battesimo è sacro! Il padrino non può farlo un teatrante».
Ma come? Il vescovo non obiettava, tutt’altro. Don Mario invece, per giunta zio della madre del battezzando, non voleva Lucio come padrino. Michele era fuori di sé. Don Mario d’altronde era davvero un buon prete, bisognava comprenderlo e, proprio per questo, rifiutava che il padrino di Paolo fosse un cantante, “addirittura Lucio Dalla”: «Impossibile, il padrino deve essere un cattolico convinto e praticante!»
Michele, carattere sanguigno, avrebbe volentieri mandato don Mario a quel paese. Questo avrebbe però amareggiato Chiara, costringendolo ad annullare la cerimonia e rimandare delusi i numerosi invitati, mutando la festa in funerale. Si fece dunque animo per convincere il parroco: «Secondo voi, il vescovo non aveva accertato le qualità del padrino prima di acconsentire a battezzare Paolo?» chiese Michele e, mentre lo zio esitava, dette l’affondo:«Che cosa direbbe monsignore della presa di posizione del parroco, dal momento che lui, l’arcivescovo, non obiettò nulla?»
Don Mario, anche grazie a Chiara, dopo molte insistenze si rassegnò obtorto collo, un po’ perché spinto dai legami familiari, soprattutto perché l’assenso iniziale dell’arcivescovo non gli lasciava vie di fuga.
Iniziato il rito, il parroco dovette ricredersi ben presto, osservando quanto fossero puntuali e pieni della sua Fede i gesti di Lucio, le sue parole in risposta al celebrante; si sarebbe detto che Lucio fosse un sacrista di professione. Tutti i presenti ne erano stupiti, tranne Michele. Don Mario, a sua volta, era più sorpreso di tutti, notando di sottecchi la solenne compostezza e la profonda partecipazione al rito del suo celebre chierichetto, con quanta mistica gioia s’accostò all’Eucarestia.
[cryout-pullquote align=”right” textalign=”justify” width=”40%”] «In tanti anni di sacerdozio mai ho visto servire e seguire la Santa Messa con la partecipazione e la fede di Lucio Dalla»[/cryout-pullquote]
Dopo l’Ite missa est, gli invitati si strinsero festosi al bimbo e al celebre padrino, non si sa quale dei due più bersagliato dai flash, mentre Michele, al settimo cielo, andò in sacrestia a ringraziare don Mario.
Grande la sorpresa quando scoprì il coriaceo parroco, ancora coi paramenti sacri, singhiozzante a calde lacrime: «In tanti anni di sacerdozio mai ho visto servire e seguire la Santa Messa con la partecipazione e la fede di Lucio Dalla».
S’abbracciarono; fu uno dei giorni più felici per don Mario e per Michele, altrettanto commosso ma non sorpreso, ben sapendo che l’uomo che serviva la Santa Messa era del tutto differente e staccato dall’uomo di spettacolo, dal Lucio conosciuto dal pubblico. Il suo gesto rimaneva semplice ed essenziale, eppure ergeva una solennità che non lasciava dubbi circa la profonda e umile partecipazione nel servire per fare memoria del sacrificio di Cristo.
Nel ricordo, con le parole semplici di Michele, s’avverte che Lucio servendo la Santa Messa frapponeva fra sé e il mondo rimanente una sorta di iconostasi: un attimo prima era stato felicemente e sinceramente immerso fra la gente, rivolgendosi a Dio tutto il resto era in second’ordine.
T’aggije canusciute…
La radice della fede vissuta da Lucio fu chiara a Michele da quando il cantante gli raccontò d’aver servito numerose volte la Santa Messa a padre Pio, iniziando in tenera età e proseguendo sino a quando aveva potuto.
Il buon frate era certamente santo, ma la pazienza gli sfuggiva e non mancò di rampognare e far volare qualche scappellotto, più leggero di quanto avrebbe voluto a causa delle stimmate, quando quel birbante chierichetto dava le prime avvisaglie di estro musicale proprio nel sacro istante dell’Elevazione, suonando il campanello in maniera inappropriata.
La voce del frate, mentre Lucio cresceva, si fece più severa e da un certo momento in avanti, sebbene il giovane non mancasse di presentarsi al confessionale, padre Pio tuttavia smise di concedergli l’assoluzione. I peccati s’erano fatti pesanti.
Di solito, quando padre Pio reputava un penitente indegno d’assoluzione, aggiungeva per buona misura parole brusche, cacciando il reprobo in malo modo, talvolta impedendogli pure d’accostarsi all’inginocchiatoio tarlato, usando a piene mani una severità che a taluni spiacque e a tantissimi giovò.
Non fu così per Lucio. Egli andava a confessarsi da padre Pio, il quale lo ascoltava, gli dava consigli e ammonimenti con la consueta severità, infine lo congedava negandogli l’assoluzione, tuttavia quietamente, senz’asprezze, anzi con affetto. Quel comportamento di padre Pio era inconsueto; Lucio lo sapeva e ne era disorientato, ricavandone un’inquietudine che lo interrogò a lungo, sino a poche settimane dalla scomparsa di padre Pio.
Era l’inizio dell’estate del 1968. La madre telefonò a Lucio chiedendogli di raggiungerla presto per andare insieme da padre Pio; il frate, a detta della donna, stava molto male.
Lucio suppose che accampasse il pretesto della salute di padre Pio, per convincerlo a interrompere la lunga assenza, causata dagli impegni del giovane cantautore, in ascesa ma non ancora pienamente affermato.
In piena notte partì da Bologna alla volta di Manfredonia, dove dimorava mamma Jole; da lì salirono a San Giovanni Rotondo, confermandosi i timori per la salute del frate che egli non vedeva da molto tempo.
Il suo legame con padre Pio, da quando lo aveva incontrato nel giardino del convento, aveva sette anni, s’era fatto mano a mano più forte, mentre Lucio intuiva la scintilla di Dio che albergava nel frate, la cui forza tuttavia gli rimase paradossalmente ignota finché fu assiduo presso di lui. Non di meno lo ascoltava. Quando padre Pio lo redarguì per le sue ambizioni di attore, ingiungendogli: «Tu devi cantare. Hai capito? Tu devi cantare!» Lucio non ubbidì subito; accantonò poi progressivamente i sogni hollywoodiani, germogliati sullo schermo del cinema arena Impero. Dopo aver partecipato ad alcuni film a Cinecittà, l’intimazione di padre Pio si fece strada e Lucio finì per concentrarsi sulla musica. Ora stavano arrivando i primi contratti importanti. Non poteva ancora dire d’avere sfondato. Era pieno di dubbi quel mattino, salendo verso San Giovanni Rotondo; dubbi per la carriera di cantante e, ancora più profondamente, le sue intime convinzioni, la sua fede, la sua combattuta fede e il suo stesso io, com’è d’altronde naturale in un giovane di 26 anni.
Quel mattino andò ancora una volta a confessarsi da padre Pio, paventando anche questa volta una sentenza non assolutoria del tribunale della Penitenza; non di meno per lui era un grande conforto accostarsi al frate per confidarglisi.
Non immaginava che sarebbe stata l’ultima volta, sebbene il frate fosse visibilmente provato e sofferente; gli occhi chiusi, la voce molto debole mentre risparmiava ogni briciola delle residue energie.
Lucio s’inginocchiò e il confessore non fece mostra di riconoscere il suo discolo chierichetto, né scambiò motti com’era stata consuetudine. Era passato tanto tempo dall’ultima volta e il frate non dette neppure i segni usuali di paterna contrarietà, gli ammonimenti e i dolci rimproveri delle confessioni precedenti. Lo si sarebbe detto indifferente all’identità del penitente e a quanto udiva.
«Non m’ha riconosciuto» pensò Lucio e decise d’approfittarne per pulire a fondo la coscienza.
«Me’ fatte na’ scarécota» scaricai tutto, confidò anni dopo a Michele. Visto che padre Pio pareva quieto e seguitava a ignorare l’identità del penitente, Lucio ne volle profittare per confessare tutti i peccati, questa volta senza troppe angosce, proprio tutti, insomma «na’ scarécota».
Si compiacque per la sua trovata ma ancor più fu sorpreso quando, senza alcun rimprovero di sorta per le innumerevoli colpe confessate, giunse inaspettata l’assoluzione, come non accadeva da moltissimi anni, almeno dall’adolescenza.
Nonostante il sollievo della remissione dei peccati, Lucio avvertì tuttavia una certa profonda delusione, come avesse perduto qualcosa, come se padre Pio non fosse più quello conosciuto: Si sentì come davanti a un genitore che non ci riconosce più a causa della memoria svanita. Non voleva pensare che il frate fosse divenuto l’ombra di quello conosciuto da bambino. Oppresso, si levò dall’inginocchiatoio col pensiero echeggiante: «Non m’ha riconosciuto, non m’ha riconosciuto» allontanandosi angosciato.
Non aveva completato tre passi e il frate lo inchiodò:«T’aggije canusciute… t’aggije canusciute…» Ti ho riconosciuto, la voce tornò per un momento quella antica, la montagna che parla scuotendoti.
Lucio non ebbe forza di girarsi; avvertì una scossa; guadagnò in fretta il sagrato mentre i dubbi d’un momento prima si scioglievano. Fu catturato e commosso dallo spettacolo del golfo nell’alba, di qua la montagna e sopra il cielo azzurro, lo stesso cielo che un attimo prima aveva parlato perforandogli il cuore.
La sua fede non vacillò più.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Qualunque sito o blog può pubblicare liberamente non più di metà dell’articolo se e solo se rimanda, per la lettura completa, alla pagina originale
https://pierolaporta.it/lucio-dalla-e-padre-pio/
Differenti utilizzi dei contenuti di questo sito sono consentiti solo col consenso dell’autore. Le foto di questo sito vengono in larga misura da Internet, valutate di pubblico dominio. Se i soggetti fotografici o gli autori non fossero d’accordo, lo segnalino a info@pierolaporta.it e si provvederà alla immediata rimozione delle immagini.
Veramente una bella testimonianza su Lucio Dalla.
Avevo sentito parlare del suo rapporto con P. Pio, ma solo in modo superficiale.
grazie Piero
Testimoniare, qui e subito, è l’unica via d’uscita dal caos. Grazie a te, davvero.
bellissimo e commovente ” L’articolo e i commenti” Ciao Piero. Grazie
Grazie a te, caro Domenico
Grazie Piero, ciò che avevo intuito ascoltando le sue canzoni tu lo hai pienamente confermato raccontando fatti inediti e testimonianze inconfutabili. I fratelli Michele e Matteo potrebbero scrivere la sua biografia a giusto titolo.
Grazie piero .e scusami
Dopo tanto inchiostro sprecato su Lucio da parte di persone che non l’avevano neanche realmente conosciuto, ecco finalmente questo articolo che entra dentro l’uomo con garbo ed emozione e sprone il lettore ad approfondire e riflettere sui testi di Lucio e su quanto qualcuno vuol fare credere chi sia il vero Dalla.
Sono contento che sei riuscito a fare emergere l’Animo Sensibile, e al tempo stesso Inquieto proprio di chi si mette alla ricerca della Verità e della Misericordia per poi donarle agli altri.
P.S.
Finalmente sono riuscito a leggere quanto hai scritto dopo la chiacchierata con mio fratello, non so ancora se abbia letto questo articolo.
non ho come farlo arrivare a Michele
se puoi fallo tu
davvero..molto bello il racconto di una persona speciale che ha espresso l’Umanesimo pieno e penetrato il Trascendente a modo suo,,,, a lui più congeniale…..amando e cantando…. cantando e amando tutti !!! Grazie, Piero.
Grazie a te 🙂
Sono più che certo che quelle erano stupide dicerie.
Mi è piaciuto soltanto riportare alla mente il libero cazzeggio di paese.
E vero! Anche ad Assisi era di casa.
A San Giovanni Rot. poi…
Gradevolissimo articolo Piero.
Una bella storia.
Sai che dove vivo io trovo le cassate di Tomassino?
Ricordi quando tanti anni fa si diceva che l’amore di Lucio per Manfredonia aveva anche origini biologiche? Forse, soltanto simpatiche stupidagini)
Ti abbraccio.
Grazie, davvero. In quanto alle connessioni “biologiche”, tornerò sull’argomento “amore per Manfredonia”. In realtà Dalla amava Manfredonia, ma amava anche le Tremiti, allo stesso modo la Sicilia (dove aveva una villa da favola e vi produceva un vino ottimo, “Stronzetto”). Amava tuttavia anche Napoli e chissà quanti luoghi ancora, come per esempio fortissimamente, Assisi. Ciò cui tu alludi sono dicerie di provincia dalle quali è bene stare lontani.
🙂 carissimo Piero sono certo che Lucio era un Angelo mandato da Lui proprio nella terra dove i
Arrivederci in “Piazza Grande” Marinaio
…dove è profondo il mare tra la gente del porto, i ladri e le puttane.
Se io fossi un angelo, non starei nelle processioni nelle scatole dei presepi, starei seduto fumando una Marlboro al dolce fresco delle siepi, sarei un buon angelo, parlerei con Dio, gli ubbidirei, e amandolo a modo mio gli parlerei, a modo mio, e gli direi:
– ” Cosa vuoi tu da me?”…
…“Lo so che Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è sulle panchine in Piazza Grande, ma quando ho fame di “mercanti” come me… qui non ce n’è.
A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io. Avrei bisogno di pregare Dio, ma la mia vita non la cambierò mai, mai, mai. A modo mio quel che sono l’ho voluto io e, se non ci sarà più gente come me voglio morire in Piazza Grande, tra i gatti che non han padrone come me, attorno a me, tra la gente del porto, ladri e puttane che mi chiamano “Gesù Bambino”.
P.s. mi hai / avete commosso sono lacrime di gioia.
grazie, davvero
L’articolo di un grande uomo. Che ama la sua terra.
Tratto sconosciuto agli apolidi.