Ferrovie dello Stato monopolizza vettori, infrastrutture e binari, per succhiare quattrini allo Stato. Treni a costi d’oro e pendolari a piedi.
Nessuna compagnia navale è padrona dei porti, né esercita diritti sulle rotte. Nessuna compagnia aerea possiede i vettori e, allo stesso tempo, gli aeroporti e le società di controllo del volo.
Ferrovie dello Stato invece monopolizza vettori, infrastrutture e binari, impedendo di fatto la concorrenza di altre imprese.
In Italia si fa molto parlare di liberismo. Lo fa anche Ferrovie dello Stato, presentandosi infatti come una società privata. In realtà privatizza i profitti e scarica sullo Stato gli oneri.
Come fanno altrove?
In Gran Bretagna le ferrovie erano proprietà dello Stato attraverso British Railways Board.
Margaret Thatcher iniziò la privatizzazione negli anni ’80, poi completata nel 1993 dal successore, John Major.
La infrastrutture (grandi stazioni incluse) divennero di Railtrack, mentre le linee andarono a 13 aziende differenti. I treni passeggeri spartiti fra tre società per azioni, mentre i treni merci furono di società inglesi, gallesi e scozzesi. Ben 21 società entrarono nella privatizzazione. Solo alcune poi si sono accorpate.
La gestione è efficace e vantaggiosa per il contribuente, con possibilità di mettere in programma piani di sviluppo e ammodernamento aderenti alle esigenze e alle possibilità.
Tutto questo accade in Gran Bretagna da circa venti anni. E in Italia?
Il nuovo l’AD del Gruppo FS, Renato Mazzoncini, pochi giorni fa, davanti alla commissione Lavori Pubblici del Senato ha affermato: «Scorporare Rete Ferroviaria Italiana da Ferrovie dello Stato significa ammazzare le FS» e ha proseguito: «Rete Ferroviaria Italiana dedicata essenzialmente dello sviluppo e della manutenzione della rete ferroviaria, è il cuore di FS ed è per questo che confermo quanto detto dal ministro Padoan, ovvero che Rete Ferroviaria Italiana debba restare integrata e non ha nessuno bisogno di essere enucleata, separata.»
Nessun bisogno? Perché? La spiegazione fornita è a dir poco grottesca: «La rete ferroviaria in capo a Rete Ferroviaria Italiana vale intorno ai 26 miliardi ma non ha alcuna redditività visto che i pedaggi non coprono neanche le spese di manutenzione, poiché vengono tenuti volutamente bassi per evitare un aumento del costo del biglietto del treno. Nessuno comprerebbe una cosa che rende zero, tenere la rete pubblica è scontato». Questo afferma Mazzoncini.
In altre parole FS, ha immobilizzato 26 miliardi e non riesce a cavarne un soldo.
La gestione fallimentare dei treni imporrebbe – secondo Mazzoncini – di rendere fallimentare anche la gestione delle reti. I sistemi scorporati che altrove producono ricchezza ed efficienza in Italia sono accuratamente evitati pur di tenere in vita un monopolio anti economico, i cui profitti evidentemente sono gestibili in funzione antitetica all’interesse del cittadino e del viaggiatore.
La sete di accorpamento induce l’AD di FS ad affermare che «è prevista la costituzione di un solo polo per la logistica perché, se non lo gestiamo in maniera integrata, non ce la caviamo.»
Mazzoncini chiede dunque altre montagne di denaro allo Stato, in cambio delle solite promesse: efficienza, risparmio e necessità di fronteggiare la concorrenza estera. Sempre le stesse balle, da decenni a ora, che annunciano prelievi massicci dalle casse dello Stato. Ferrovie ha in realtà dimostrato da tempo la sua fine capacità di affossare, col trasporto merci ferroviario, anche le potenzialità dei porti italiani, con miliardi di danni e posti di lavoro bruciati.
Un container sbarcato nel porto di Taranto impiega 624 ore per coprire i 980 chilometri fino a Milano; lo stesso container, sbarcato nel porto di Rotterdam percorre in 336 ore i 1.064 chilometri fino a Milano.
FS trasportano il container con velocità media di 1,5 chilometri all’ora. Le ferrovie tedesche hanno velocità tripla. Gli spedizionieri preferiranno utilizzare il porto di Rotterdam o quelli dell’Italia meridionale? Con tali velocità di trasporto, non solo perdiamo con Rotterdam, ma anche con Brema, Amburgo e tutti i rimanenti porti del nord d’Europa.
Secondo la geniale intuizione di Mazzoncini, l’accorpamento è la risposta a un mondo che privatizza e si struttura su aziende la cui missione è specializzata, , anche per fronteggiare la concorrenza dall’estero: «Il mondo del trasporto pubblico vede la presenza sempre più massiccia di aziende sempre più grandi. Quindi o noi ci muoviamo in modo aggressivo rispetto al mercato o rischiamo l’invasione come in parte già avviene con gruppi stranieri che scorrazzano per l’Italia.»
Corporativismo come neppure nel Ventennio, con una politica insostenibile di accorpamento: cioè la strada maestra verso il fallimento e la svendita delle risorse ferroviarie proprio a quelle aziende straniere che Mazzoncini dice di voler fronteggiare aggressivamente.Ben presto i francesi presenteranno la loro generosa offerta com’è già accaduto per Alitalia. È davvero un caso fortuito?
Chi è questo Mazzoncini? A quali interessi risponde?
Bresciano, 47 anni, figlio d’un magistrato, è entrato nelle grazie di Matteo Renzi dal 2012. A quel tempo Renzi era sindaco di Firenze e Mazzoncini AD di Busitalia SITA NORD, controllata da Ferrovie. Mazzoncini risolse un grosso problema a Renzi rilevando l’azienda di trasporti fiorentina (ATAF), i cui debiti passarono alla holding ferroviaria.
Mazzoncini è particolarmente gradito sia a Renzi che a Mauro Moretti (il suo predecessore) perché persegue il disegno monopolistico che da sempre piace anche a Confindustria e ai grossi sindacati, tutti ben consapevoli che il calderone unico di antica tradizione fornisce l’humus migliore per i commerci e gli accordi meno controllabili dal parlamento e dalla pubblica opinione, salvo poi presentare il conto finale per ristorare le perdite.
La finta privatizzazione di FS è un gigantesco danno per il contribuente viaggiatore. Oramai va esaurendosi anche l’espediente di fare immagine con le “frecce”, con l’alta velocità che copre solo una porzione minima delle esigenze di trasporto. L’espediente è stato tenuto in vita grazie a campagne pubblicitarie che fanno perno sulla clientela privilegiata delle Frecce: politici, imprenditori e giornalisti conniventi. A questa immagine dorata si affianca la realtà del trasporto pendolare, implacabile accusatrice di quanti concorrono a danneggiare i cittadini.
La protervia di Ferrovie si spinge a voler mantenere a tutti i costi i monopolio tanto sul ferro quanto sulla gomma, lasciando i pendolari a farne le spese, da Nord a Sud.
Non si contano le proteste per inefficienze e ritardi, ovunque BusItalia estenda i tentacoli, nonostante sia presentata come fiore all’occhiello dell’autotrasporto. Le proteste dilagano dalla linea bus Incisa-Firenze alla linea Firenze – Roma, dove un guasto ad un Frecciarossa ha fatto deviare tutti i treni dell’alta velocità sulla linea lenta, causando grandi ritardi anche ai treni regionali. Ritardi anche sulla Firenze – Empoli, estesisi verso Pisa e Livorno. BusItaliaVeneto (la neonata azienda sorta con la fusione tra Aps e Sita e di fatto controllata al 100% dalle Ferrovie dello Stato) pochi giorni fa ha scatenato le proteste dei viaggiatori, esasperati dai ritardi e dai disservizi.
A Nord si piange ma a Sud ci si dispera. Ferrovie si ostina a boicottare il trasporto su gomma, mentre offre un servizio ferroviario imparagonabile per qualità e quantità a quello del Nord. Ogni giorno in tutto il Sud circolano meno treni regionali che nella sola Lombardia. Tra Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna i treni effettuano 1.738 corse contro le 2.300 della sola Lombardia. Se si pensa che questo sia giustificato dalla quantità di persone presenti allora è necessario ricordare che la popolazione della stessa Lombardia equivale a quella di Sicilia e Campania messe assieme, e che le Regioni del Sud hanno oltre il doppio degli abitanti (19,5 milioni contro 9,7). Non si tratta di un problema di popolazione, ma di risorse e scelte politiche. Basti osservare le enormi differenze ad esempio tra Lombardia e Sicilia. Quest’ultima, quarta Regione in Italia per popolazione con 5 milioni di abitanti, vede circolare meno di 1/5 dei treni regionali della Lombardia, Regione che però ha solo il doppio degli abitanti. Se poi si guarda ai collegamenti con Frecce, Italo, Intercity il confronto diventa impietoso sia in Sicilia che nel resto del Sud. Al Sud i treni sono più vecchi. L’età media dei convogli al Sud è nettamente più alta con 20,4 anni, rispetto al Nord (dov’è 16,6) ma anche alla media nazionale di 18,6. Si trovano poi casi come quelli di Basilicata (23,7), Puglia (22,9), Sicilia (22,5) e Calabria (21,1) dove la media è ben più alta con punte di treni davvero troppo “anziani” per circolare.
I numeri preludono a un collasso senza vie d’uscita, mentre a Parigi gongolano. Solo una vera privatizzazione, aderente alle esigenze locali e modulata su investimenti lungimiranti può dare una risposta, finché si possono prendere decisioni autonome. Il tempo tuttavia stringe e la soluzione ai problemi non è certo Mazzoncini coi sogni velleitari di fare guerra alle grandi società private estere, formatesi realmente nei mercati nazionali e internazionali. Tanto meno la risposta può trovarsi a vantaggio delle solite corporazioni e della voracità dei partiti, specie in vista delle elezioni e dei loro costi.
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Un articolo fatto con coraggio e determinazione. Lo stesso evidenzia un percorso di annebbiamento delle potenzialità che sono proprie delle Ferrovie dello Stato. Il Buon politico opera nel far credere nella necessità di una cosa per averne il consenso , mentre in realtà l’interesse sta altrove.