La morte della democrazia è indispensabile per lo Stato moderno? Quale che sia il parere di ciascuno, OltreLaNotizia è grata all’avvocato Paola Musu, la quale ci spiega come questo interrogativo si fa strada da molto tempo.^^^^^^^
In un articolo sul Sole 24 Ore del 27 febbraio 2015, Barbara Spinelli ricorda che «già nel 1975 un rapporto scritto per la Commissione Trilaterale denunciava gli “eccessi” delle democrazie parlamentari postbelliche e affermava il primato della stabilità e della governabilità sulla rappresentatività e il pluralismo, giungendo sino a esaltare l’apatia degli elettori». Il rapporto in questione (The Crisis of Democracy) dice infatti: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene».
Cosa intendevano gli estensori di quel rapporto per stabilità e governabilità? E a vantaggio e beneficio di chi o cosa andrebbero intesi?
«Gli effetti di questa decostituzionalizzazione li tocchiamo con mano in Italia» prosegue la Spinelli. Aggiungendo che da noi «il Piano di rinascita democratica di Gelli (redatto forse non a caso in concomitanza con il rapporto della Trilaterale)» sarebbe stato «fatto proprio» da diversi governi succedutisi sino a tempi piuttosto recenti. «Conta più che mai la governabilità» conclude «a scapito della rappresentatività e degli organi intermedi che aiutano la società a non cadere nell’apatia e nell’impotenza». E cita un saggio (La legalità materiale, Micromega, ottobre 2014) in cui il magistrato Roberto Scarpinato denuncia la «decostruzione progressiva dello Stato liberal-democratico di diritto» nonché «un complesso processo di reingegnerizzazione del potere, che trasferisce le sedi decisionali strategiche fuori dai parlamenti e dagli esecutivi nazionali, prima trasmigrandole all’interno di organi sovranazionali non elettivi, privi di rappresentatività democratica – quali la BCE e la Commissione europea – e poi da questi in organizzazioni internazionali come la troika, proiezioni istituzionali delle oligarchie finanziarie globali».
Anche «asservire la giustizia, e renderla inerme di fronte a una criminalità mondializzata» – si prosegue nello stesso articolo – farebbe parte di questa reingegnerizzazione. In particolare, citando ancora Scarpinato, «è opinione diffusa che gli investitori esteri siano scoraggiati dalle lentezze della giustizia italiana e dalla corruzione» mentre invece «i più accreditati studi in materia evidenziano una realtà più complessa. Le aziende globali privilegiano per i loro investimenti i paesi la cui legalità debole non solo consente di minimizzare i costi di produzione (…) ma anche di conquistare posizioni di vantaggio e di oligopolio in vari settori di mercato».
Rivolgendo lo sguardo al passato, alla luce di queste affermazioni, non può non saltare agli occhi con prepotenza la “strana” successione/concomitanza di eventi che hanno caratterizzato la vita dell’Italia in determinati momenti di “snodo” della storia della Repubblica (coincidenze?) spesso con cadenza decennale o a distanza di un decennio da un altro evento chiave.
Nel 1979 avviene la sostanziale “eliminazione” di Baffi e Sarcinelli, con la loro “squadra”, dalla governance della Banca d’Italia (per inchieste poi archiviate). Massimo Riva, ricordando quegli eventi su Panorama nel febbraio 1990, scrive: «A seguito di quella iniziativa l’istituto di emissione si trovò di fatto decapitato: soltanto la correttezza e la lealtà delle altre banche centrali dei maggiori Paesi industrializzati impedirono a questi eventi di produrre contraccolpi, che avrebbero potuto essere devastanti (…) La reazione della parte migliore del Paese insieme a quella della stampa non asservita seppe scongiurare i pericoli maggiori. Negli anni trascorsi da allora ha poi trovato robuste conferme il dubbio o il timore che si fosse trattato di un vero e proprio complotto. La più probante sta scritta nella sentenza dei giudici istruttori di Milano con cui Michele Sindona fu rinviato a giudizio per l’assassinio di Giorgio Ambrosoli (…). In quella sentenza – che portò poi al giudizio di condanna – si legge che Sarcinelli era “obiettivamente di ostacolo agli interessi di Sindona ma anche agli interessi di Calvi e – ciò che conta maggiormente – in generale agli interessi finanziari facenti capo a quello che possiamo definire come il “sistema di potere P2”, del quale Sindona e Calvi erano solo esponenti di rilievo».
Sempre Riva, inoltre, scrive: «Si sa che Guido Carli, passandogli il testimone di governatore nel 1975, aveva previsto che i rapporti tra Baffi e le arciconfraternite del potere non sarebbero stati idilliaci. Alludendo al rigore dell’uno e alle prepotenze delle altre, aveva detto “Se ne accorgeranno…”». A chi si riferiva? Da come se ne parla sembrerebbero soggetti ben noti o agevolmente identificabili… Nella lettera a firma dello stesso Baffi, che Riva riproduce, l’ex governatore commenta in proposito: «Purtroppo, come la classe politica (e i potentati a essa legati nello scambio dei favori) ha dovuto accorgersi di me, io ho dovuto accorgermi della potenza del complesso politico-affaristico-giudiziario, che mi ha battuto. Il monito di Carli avrebbe dunque dovuto essere rivolto anche a me in senso opposto». Resterà però il mistero su quali fossero i «potentati» in questione. E su quel «complesso politico-affaristico-giudiziario» da cui Baffi dichiara di essere stato “battuto” e che parrebbe, dai toni usati, conoscere bene.
Intanto nel luglio 1981 – ormai perfezionato il cambio di guardia in Banca d’Italia – viene inaugurato dall’allora Ministro delle Finanze, Nino Andreatta, il «nuovo regime di politica monetaria», con l’attuazione del cosiddetto «divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia» (queste le espressioni da lui usate sul Sole 24 Ore in un articolo del 26 luglio 1991) in obbedienza alla politica dell’Europa. Da quel momento la BdI non acquistò più i titoli non collocati presso gli investitori privati. Eppure quel sistema, sino a quel momento, aveva garantito il finanziamento della spesa pubblica e la creazione di base monetaria, nonché la crescita dell’economia reale. Ci chiediamo: Baffi e la sua squadra avrebbero mai potuto accettare questo «nuovo regime»?
Si osservi: fino al 1981 – contrariamente al luogo comune che la vorrebbe spendacciona e poco virtuosa – l’Italia aveva la quota di spesa pubblica in rapporto al Pil più bassa tra gli Stati europei: 41,1 %, contro il 41,2% della Repubblica Federale Tedesca, 42,2% del Regno Unito, 43,1% della Francia, 48,1% del Belgio e il 54,6% dei Paesi Bassi. Il rapporto debito\Pil era nel 1980 al 56,86% (strano, siamo ampiamente al di sotto del limite del 60% imposto da Maastricht!).
Ebbene, negli anni ottanta, quale effetto della nuova politica monetaria, coadiuvata dagli ulteriori effetti aggravanti indotti dal sistema di cambi fissi imposto dallo SME (inizialmente solo parzialmente attenuati dalla concessione di una banda di oscillazione del 6%), si assiste ad una esplosione della spesa per interessi passivi che porta in pochi anni il rapporto debito\Pil dal 56,86% del 1980 al 94,65% del 1990, fino al 105,20 del 1992. Questa lievitazione della spesa per interessi passivi è ancora oggi la fondamentale, se non l’esclusiva, componente dell’incremento del debito. Contemporaneamente, sempre negli anni ottanta, mentre in questo modo gli Stati europei venivano letteralmente “gonfiati” nelle loro condizioni debitorie, si compivano passi da gigante verso la fase decisiva: la cessione, da parte degli Stati, del potere di emissione monetaria attraverso la trappola dell’unificazione monetaria («datemi la moneta e non mi importerà chi farà le leggi» diceva un banchiere qualche secolo addietro…).
Per inciso: nel 1982 muore, sempre in circostanze tragiche, Carlo Alberto Dalla Chiesa, insieme alla moglie. Sul punto si rinvia al libro di Roberto Scarpinato Il ritorno del Principe (ed. Chiarelettere, pagg. 235-241). Di quali “segreti” erano depositari lui e la moglie? Chi avrebbero coinvolto i documenti che custodiva Dalla Chiesa?
Anno 1992: è passato circa un decennio dalla destituzione di Baffi. Muoiono in circostanze tragiche i magistrati Giovanni Falcone (nel maggio) e Paolo Borsellino (nel luglio). A settembre dello stesso anno si scatena il poderoso attacco speculativo ribassista alla lira, che provoca l’uscita dell’Italia dallo SME. Ciò, tuttavia, non prima che l’allora Governatore della Banca d’Italia desse fondo, nel maldestro dichiarato tentativo di difendere la lira, ad una cinquantina di miliardi di dollari delle riserve valutarie italiane, letteralmente gettati sul mercato dei cambi.
La svalutazione che ne seguì, più pesante grazie a quell’improvvida manovra, facilitò l’ingresso in Italia di un’enorme quantità di valuta estera, che sarebbe andata ad acquistare a basso prezzo le imprese italiane, in corso di privatizzazione proprio in quegli anni e puntualmente finite in mano straniera. Ricordiamo che tra i soggetti in corso di privatizzazione rientrava anche, oltre al complesso dell’IRI, il nostro sistema bancario, con conseguente coinvolgimento dello stesso istituto di emissione, ossia la Banca d’Italia. In favore della quale, con legge di quegli stessi anni, il Tesoro “rinunciò” anche al suo potere di controllo sul tasso di sconto (costo del denaro): una “consegna“ completa.
Mentre erano in corso quegli avvenimenti, l’On. Avv. Carlo Tassi, scomparso tragicamente due anni dopo, con interrogazione alla Camera dei deputati n. 4-05296 nella seduta del 22 settembre 1992, chiese se il Governo e i ministri interrogati, nell’ambito della loro specifica competenza in materia, avessero indagato e fossero venuti a conoscenza «di chi o quali gruppi di pressione avessero perseguito la indegna pesante manovra speculativa sulla moneta italiana».
Tale manovra, continuava infatti Tassi, vista l’efficacia e l’efficienza, doveva essere stata fatta all’estero o dall’estero, dove il possesso di lire – specie in ingentissimi quantitativi, dell’ordine delle migliaia di miliardi – doveva essere (ed era) noto o facilmente accertabile. Proseguiva, poi, chiedendo se risultasse che questi «personaggi» o «gruppi» avessero avuto, o avessero, regie italiane, anche a mezzo di cosiddette fiduciarie o simili. Perché in tal caso sarebbe stato grave, oltre che penalmente sanzionato, il comportamento di quegli operatori o cittadini italiani che avessero anche semplicemente collaborato o concorso al tracollo internazionale del valore della nostra moneta. Tale da sfiorare o addirittura rientrare nella sfera di applicazione delle norme che puniscono l’alto tradimento. E chiedeva ancora se, in merito, fossero in atto inchieste amministrative, indagini di polizia giudiziaria, anche penali, e se i fatti fossero noti alla Procura Generale presso la Corte dei Conti, al fine di accertare, perseguire e reprimere tutte le responsabilità contabili, conseguenti abusi, od omissioni, ed obblighi, addebitabili o addebitati a funzionari pubblici, fossero essi di carriera od onorari, quali i ministri e i sottosegretari di Stato, specie se muniti di delega specifica.
Da notare che proprio tra la fine degli anni ’80 ed i primi anni ’90 più organi di stampa riferiscono di indagini su ingenti quantitativi di CCT clonati (dell’ordine di diverse centinaia di migliaia di miliardi di lire) e contante falso (o clonato?).
Nel libro L’altra Europa, pubblicato nel 2010, Paolo Rumor dà conto di un ampio segmento delle memorie del padre, Giacomo, che tra la seconda metà degli anni Quaranta ed i primi anni Cinquanta aveva lavorato con persone direttamente impegnate negli studi per le primissime fasi di progettazione dell’Unione Europea. Vi si legge : «Il significato complessivo che ho tratto dalla lettura degli scritti di mio padre e dai suoi riferimenti è che esiste (…) una sorta di struttura trasversale [in altre parti del testo da lui definita“organizzazione”] che funge da catalizzatrice a determinate decisioni contingenti di natura economica, sociale e politica, in concomitanza con certi momenti storici importanti, e che essa è “operativa” – nel senso di non quiescente – almeno fin dalla metà del diciannovesimo secolo» (pag.137). E più oltre: «Ho anche l’impressione che gli avvenimenti in corso, concernenti lo scontro con certi ambienti conservatori del mondo musulmano, gli attentati terroristici, la relativa diffusione dell’islamismo nei Paesi occidentali, il ruolo dell’Europa etc., possano avere qualche attinenza con il piano geopolitico di cui ho parlato nella parte introduttiva alle memorie di mio padre» (pag.145). Parla anche di un «contingente» che, quale «braccio armato», si sarebbe occupato di eliminare il presidente dell’Eni Enrico Mattei (pag. 95). E altro ancora.
Forse è possibile che i potentati, o arciconfraternite del potere, o complesso politico-affaristico-giudiziario citati circa le vicende di Baffi si identifichino con questa organizzazione?
Vale la pena di citare, infine, anche Aldo Anghessa. «Quando nel 1987 il suo nome salì alla ribalta delle cronache» scriverà Piero Mannironi su La Nuova Sardegna «era stato accusato di un traffico internazionale di armi». Costituitosi, «disse di essere un agente provocatore dei servizi segreti», circostanza «confermata dal direttore del Sisde che disse “Anghessa è un nostro collaboratore”». Finisce poi «impigliato in altre inchieste nel 1990 e nel 1994 sempre per traffici di armi, di droga e per la commercializzazione di CCT falsi» – prosegue Mannironi – e «impressiona il sostituto procuratore Francesco Neri della procura di Reggio Calabria» per la precisione delle rivelazioni su «un mondo nascosto di traffici di armi, di rifiuti radioattivi, di stupefacenti e di titoli di Stato. “Tutto è controllato – dice – da un livello intelligente con soggetti di classe sociale elevata, di abitudini raffinate, riconducibili a logge massoniche più o meno segrete”».
Ma torniamo al 1992. sono in corso le trattative per la firma del trattato di Maastricht, che comporterà agli Stati aderenti pesanti rinunce e cessioni di sovranità che si concretizzeranno, in sede attuativa degli impegni assunti con il trattato, negli anni a venire in una progressione crescente. Specie dall’introduzione della moneta unica, dieci anni dopo, nel 2002. Contemporaneamente, come si è detto, l’Italia subisce un attacco valutario di consistenti proporzioni. Con un rapporto debito\Pil quasi raddoppiato rispetto a dieci anni prima, e con margini ancor più ristretti di manovra (a partire dal 1990, infatti, la banda di oscillazione dei tassi di cambio è ricondotta nell’alveo ordinario SME del 2,25%).
Ribadiamo: chi ha potuto disporre di siffatta liquidità per un simile attacco valutario? In che modo se l’è procurata? C’entrano qualcosa, in tutto questo, le varie inchieste su cct falsi/clonati e banconote false/clonate di quegli anni? Esiste una connessione tra tutti questi fatti e le informazioni in possesso di Dalla Chiesa? Era su questo filone che stavano operando Falcone e Borsellino, scomparsi proprio alla vigilia dell’attacco speculativo? Erano forse giunti ad identificare quella che nelle citazioni sopra riportate viene definita l’organizzazione? C’entrano qualcosa le cifre da capogiro – «in totale 47.000 miliardi» di vecchie lire – di cui parla Francesco Battistini su Cronache Italiane del 22 agosto 1995, a proposito di movimenti finanziari da capogiro, «rimesse estero su Italia», «conti a nove zeri negli Usa e in Europa» ed «alcune sigle, come D.R.N., R.D.N., Atics-Anir e Ht-Riber (lette al contrario “rinascita” e “rebirth”, che ricorderebbero il piano di Rinascita democratica)»?
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Inoltre, è solo una coincidenza se proprio circa diciannove anni dopo, e a circa dieci anni dall’introduzione della moneta unica (dopo le ulteriori cessioni di sovranità passate “in sordina” con vari regolamenti comunitari e con il trattato di Lisbona), tra il 2011 e il 2012 l’Italia, nonostante sia ormai parte dell’area “euro” (teoricamente sbandierata come preziosa per la “stabilità”), viene fatta oggetto, con un meccanismo stranamente simile, di molteplici attacchi speculativi e ripetuti downgrade (una sorta di “fuoco incrociato” continuato!) anche dopo l’insediamento del governo “tecnico”?
Ricordiamo la sequenza. Maggio-giugno 2011: rapida crescita dello spread btp-bund; 17 giugno 2011: Moody’s aggiunge un outlook negativo al rating esistente; 4 agosto 2011: lo spread btp-bund raggiunge i 324 punti; 19 settembre 2011: Standard & Poor’s declassa il rating dell’Italia da A+ ad A; 4 ottobre 2011: Moody’s declassa il rating dell’Italia da Aa2 a A2; 7 ottobre 2011: Fitch declassa il rating dell’Italia da AA- a A+; 9 novembre 2011: lo spread btp-bund raggiunge i 483,8 punti percentuali; 12 novembre 2011: dimissioni di Silvio Berlusconi; 5 dicembre 2011: Standard & Poor’s mantiene lo stesso rating ma con outlook negativo; 16 dicembre 2011: Fitch mantiene lo stesso rating ma con outlook negativo; 9 gennaio 2012: lo spread btp-bund rimane molto alto a 459 punti; 13 gennaio 2012: Standard & Poor’s declassa il rating dell’Italia a BBB+; 27 gennaio 2012: Fitch declassa il rating dell’Italia da A+ ad A-; 13 febbraio 2012: Moody’s declassa l’Italia da A2 a A3; 13 luglio 2012: Moody’s declassa l’Italia da A3 a Baa2; 24 luglio 2012: lo spread btp-bund tocca i 462 punti).
E proprio nel 2012 vengono cedute altre importantissime fette di sovranità a mezzo della ratifica del Fiscal Compact e del trattato istitutivo del MES (luglio 2012), oltre alla modifica (recante notevoli dubbi di costituzionalità) dell’art. 81 e correlati della Costituzione, con imposizione del pareggio di bilancio (aprile 2012). A proposito di quest’ultimo, inoltre, è rilevante la sorprendente rapidità dell’iter, pur “rafforzato”, previsto dalla Carta Costituzionale: la modifica fu perfezionata tra il dicembre 2011 (quasi all’indomani dell’insediamento del nuovo governo “tecnico”) e l’aprile 2012! Insomma, è come se il “fuoco incrociato” fosse stato praticamente sospeso a “missione compiuta”. Altra coincidenza? (1 – continua) © 2020 Paola Musu
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