Tutti i paesi della UE badano ai propri interessi nazionali. In Italia attendono le soluzioni dalla UE, tutti i politici, al governo e all’opposizione. Giorgia Meloni lo sa bene e ha due nemici: la UE e i parassiti della politica, presenti pure nel suo partito e nella quirinalità organizzata. I suoi nemici sono alleati della nomenklatura UE.
D’altronde più dei due terzi degli scambi commerciali si svolgono nella UE, il restante terzo si spartisce nei mercati extra UE, mentre tra la metà e i due terzi dei consumi interni delle famiglie è costituito da produzione locale. È quindi inevitabile una furiosa competizione tra i paesi UE, con scambi di colpi bassi e scorrettezze d’ogni genere, su ogni tema, particolarmente in politica estera e a protezione dei consumi autarchici. La regola che si applica tra gli stati UE è “mors tua vita mea”.
Solo l’Italia, il suo giornalismo, i suoi politici di ogni colore fanno continuamente appello all’Europa affinché intervenga in aiuto a dirimere questioni interne ed internazionali, nonostante il nostro paese sia stato solo danneggiato dall’Europa e dai comportamenti sleali delle maggiori nazioni europee, con qualsiasi governo.
Il massimo della soggezione lo si è raggiunto con il PNRR, indebitandoci di 125 miliardi per realizzare progetti voluti dalla Commissione Europea e sottoposti al suo giudizio inappellabile, invece di sviluppare un piano di ricostruzione industriale nostro, mentre tutti gli altri stati (eccetto la Romania) hanno intascato solo i finanziamenti a fondo perduto, rifiutando graziosamente quelli a debito.
Con il rischio, quasi la certezza, di non riuscire a portare a termine molti dei progetti sia faraonici che micro-economici, farraginosi, sovente sperpero inutile, soprattutto pensati prima della crisi energetica, perdendo così anche parte dei finanziamenti a fondo perduto (68 miliardi).
Sventolare 200 miliardi “regalati” dall’Europa, gabellandoli col “molto di più di quanto ricevuto dagli altri paesi”, è solo propaganda. 125 miliardi dei 200 non sono regalati; gli altri paesi UE hanno ricevuto meno poiché hanno rifiutato di indebitarsi invece di compiacere le visioni della Ursula von der Leyen. Costei avrebbe voluto finanziare il suo piano con dei bond garantiti dalla Commissione Europea da lei presieduta e si è sentita rispondere dai mercati: «Commissione Europea chi?» È la stessa che esterna opinioni personali a nome dell’Europa senza curarsi dei danni che provoca a singole nazioni e settori produttivi. Per promuovere le rinnovabili ha agganciato il prezzo dell’energia elettrica a quello del gas, con conseguenze sotto gli occhi di tutti.
Quella von der Leyen, invece di mettere a punto un piano europeo per l’energia, settore strategico, ha tollerato che ciascun paese si organizzasse in proprio, che Germania e Olanda creassero un proprio deposito europeo o hub del gas collegato ad una borsa del gas dove, coi futures, cioè acquisti e vendite solo sulla carta, si potesse fingere, giocare con aumenti/diminuzioni della domanda e quindi dei prezzi indipendentemente dai consumi reali.
Se la von der Leyen si permette tutto ciò, non è perché sia pazza o incapace, ma perché questo è il lobbyficio che Francia, Germania Olanda, Belgio e Lussemburgo hanno voluto. Gli sciagurati e corrotti politici italiani, colpevole silenzio di tutti, negli anni ’80-’90, hanno firmato i trattati capestro impostici nell’interesse altrui.
Noi, al contrario, ci rivolgiamo all’Europa come se fosse uno stato, ma stato non lo è, non è riconosciuta come tale internazionalmente, non ha un seggio all’ONU; nei consessi internazionali viene cortesemente invitata di tanto in tanto, come ospite.
Gli stati che compongono la UE hanno propri confini con regole di controllo e fiscali proprie per le merci e per le persone provenienti da aree extra UE. L’IVA applicata è quella in uso nel paese d’ingresso e incassata da codesto paese.
L’Europa non ha una propria banca centrale, ne emette una propria moneta, dato che non tutti gli stati membri usano l’euro, dato che la BCE è una banca privata posseduta dalle banche centrali di alcuni stati UE, alcune delle quali private, altre statali, alcune senza l’euro.
Questa banca stampa moneta e stabilisce i tassi di interesse in maniera del tutto autonoma, il suo circolante non è garantito da sottostanti assets, come al contrario lo sono le monete nazionali. Appartengono alla UE nazioni che usano una seconda moneta (Olanda, Germania e Francia) oltre all’euro. Le prime due hanno mantenuto la propria vecchia moneta in corso legale. La Francia stampa una moneta usata da 13 Stati africani.
Prima della guerra Russia-Ucraina, l’Europa era divisa in due parti: il cosiddetto IV Reich (Germania e Olanda) e gli stati satelliti (Italia, Belgio, Austria, gli staterelli baltici, gli stati est-europei ex-comunisti), dipendenti dalla Russia per energia e materie prime a basso costo, e gli altri indipendenti dalle forniture russe.
IV Reich e stati satelliti costituivano, con l’alleata Russia, una forza economica globale potenzialmente vincente sugli USA e concorrenziale rispetto alla Cina, grazie anche al vantaggio di essere dominanti nel mercato delle merci premium price.
Ad avvantaggiarsi, in maniera preponderante, erano il IV Reich e la Russia. Il IV Reich col suo export per due terzi in UE, attivo con tutti gli stati europei, drenava ricchezza; la Russia per questa parte di Europa rappresentava la maggioranza dell’export e dell’aativo commerciale, ben al di sopra del secondo “cliente” la Cina.
L’export italiano, grazie alla partecipazione in questo blocco, era il quarto attivo al mondo dopo la Cina, il IV Reich e la Russia. L’export italiano sarebbe stato attivo anche verso la Germania se non fosse per il fatto che gli italiani compravano troppe auto tedesche.
Il più grande importatore al mondo, gli USA, veniva sfruttato come mercato, senza dare niente in cambio, da Germania ed Italia, che ne drenavano ricchezza.
Il tutto si reggeva sul patto Merkel-Putin, probabili ex-compagni di giovanili merende nella Germania-Est anni ’80: la Merkel garantiva la sicurezza sul fronte ovest russo, oltre ad essere cliente trainante, mentre Putin garantiva materie prime ed energia a basso costo: connubio perfetto.
Un andazzo inaccettabile per l’America ma anche per Francia, Inghilterra, paesi scandinavi e forse Cina. Arrivò una sequenza singolare: ottobre 2018, tre anni prima delle elezioni, la Merkel annuncia il suo ritiro dalla politica con la scusa di una sconfitta elettorale in una regione; febbraio 2020, chi dovrebbe succederle, Annegret Kramp-Karrenbaver, per proseguire la sua politica, ritira la propria candidatura perché un governatore regionale della CDU eletto con i voti della destra; sempre nel febbraio del 2020 comincia il Covid; ancora oggi nessuno sa se l’origine fosse artificiale/volontaria o naturale. Sconvolse l’economia europea e, probabilmente costò a Trump la rielezione. Nel novembre 2020 vinse Biden e annunciò il vaccino anti-Covid.
Giugno 2021, fu sancito da USA ed Europa il diritto dell’Ucraina di scegliersi le alleanze militari e quindi di entrare nella NATO, nonostante il disappunto della Russia. Febbraio 2022, la Russia, invase l’Ucraina, con la speranza, andata delusa, di instaurarvi un governo amico. Oggi si accontenta di aver spostato a ovest i propri confini e di controllare le sponde del mar Nero e del mar di Azov.
Il governo tedesco uscito dalle elezioni, composto da personaggi secondari, privi di esperienza internazionale, si accoda alle sanzioni contro la Russia, volute dagli USA, a similitudine di tutti gli stati UE. L’est europeo continua a ricevere dalla Russia gas e petrolio a prezzi contrattati. Al resto d’Europa è centellinato il gas; il petrolio russo sarebbe proibito dalle sanzioni, ma con varie eccezioni.
Si apre, per l’Europa, una crisi energetica ancora tragica di quella petrolifera del 1973, con aumenti incontrollati dei prezzi, delle materie prime, quindi dei costi di produzione e dei prezzi al consumo, con inflazione e perdita della competitività globale.
A soffrirne maggiormente, almeno in apparenza, il IV Reich più i satelliti che vedono affondare la loro alleanza privilegiata con la Russia, colonna portante della loro economia, europea e globale. È la fine di un’era.
Almeno in apparenza, poiché le multinazionali tedesco-olandesi, ma anche francesi ed inglesi, si lanciano nella speculazione sul gas recuperando utili persi a causa dell’aumento delle bollette, in parte causate anche dalle loro speculazioni.
La rotta economica europea e globale opera un’inversione a 180 gradi: Francia, Inghilterra e Spagna, indipendenti dalla Russia, si avvantaggiano; il IV Reich si frantuma; gli USA, totalmente autarchici, da mercato sfruttato ridiventano fornitori indispensabili per una parte dell’Europa in sostituzione della Russia. I Brics si avvantaggiano dell’effetto calmiere sull’energia e materie prime russe, non più assorbite dall’Europa, in cerca di sbocchi alternativi.
Anche se l’analogia potrebbe sembrare spericolata, il IV Reich è ad un nuovo 1943, sta perdendo ineluttabilmente la sua Terza Guerra Mondiale: ci sarà un dopoguerra bipolare USA/Cina, come quella USA/Russia-comunista? Se fosse, sarebbe a ruoli invertiti: durante la Guerra Fredda il nano economico-sociale-demografico furono l’Unione sovietica e i suoi satelliti; oggi gli USA e i suoi satelliti europei sarebbero contro Cina, Russia ed il resto del mondo.
L’atlantismo, l’europeismo, la cosiddetta Civiltà Occidentale, o fanno esplodere il mondo con una guerra nucleare, e sono ancora in grado di farlo, o sono destinati a perdere il proprio predominio imperiale.
Basterebbe la creazione di una moneta comune Cina/Russia/Brics il cui valore fosse fondato su assets in oro, materie prime e capacità produttiva e crollerebbero l’impero del dollaro e quello dell’euro.
La Merkel aveva visto giusto: l’Europa ha bisogno della Russia con le sue materie prime per la sua economia basata sulla trasformazione. Allo stato dell’arte la Russia è perduta, qualsiasi recupero di collaborazione, ammesso sia possibile, è lontanissimo nel tempo.
Il mondo digitale ruota intorno ai chip, monopolio o quasi di Taiwan e USA. Le terre rare necessarie a fabbricarli provengono dai luoghi più sperduti del globo; impossibile quindi prevedere il futuro.
Le richieste di Giorgia Meloni alla Commissione Europea sono: 1) intervento comunitario in Africa per incidere sui flussi migratori mediterranei, oggi totalmente a carico dell’Italia, con interventi di sostegno economico, selezione preventiva di coloro che hanno diritto alla qualifica di rifugiato e loro ridistribuzione automatica in Europa, accordi con gli stati africani per il rimpatrio dei clandestini; 2) creazione di un’agenzia comunitaria che gestisca l’energia e i suoi costi per l’intera UE.
Ambedue le richieste, se soddisfatte, sarebbero fondamentali passi avanti nella cooperazione europea e finalmente l’Europa sarebbe un attore internazionale. Favorirebbero però solo l’Italia a detrimento delle attuali condizioni di privilegio degli altri stati UE.
In Africa agiscono influenzatori effettivamente attrezzati militarmente, diplomaticamente ed economicamente, con interessi in contrasto pesante, quali Cina, Turchia, Arabia, Francia, Inghilterra, Spagna, al cui cospetto l’Europina è una mendicante di spazi che nessuno le concede. In gioco ci sono materie prime e terre rare; vi sono pure spazi agricoli non sfruttati e un mercato da lanciare: se il prezzo da pagare fosse il naufragio della barca Italia per eccesso di immigrazione incontrollata, meglio per tutti se lo pagasse l’Italia.
Sperare in un serio intervento europeo per frenare l’immigrazione è wishful thinking, pensare i propri desideri.
Per quanto riguarda l’energia i giochi sono fatti: Spagna e Portogallo tra nucleare e rinnovabili sono autarchici; lo stesso vale per Inghilterra e Scandinavia. La Francia ha il nucleare più efficiente al mondo e sta ulteriormente aggiornandolo. Confindustria e Sindacati tedeschi hanno obbligato il governo minestrone ad aprire i forzieri mettendoci una barcata di miliardi per coprire gli extra costi energetici di industria e consumatori (questo sarebbe aiuto di stato, ma tutti zitti). L’Olanda sguazza nella speculazione e incassa extra Iva sul caro prezzi.
Nel Mediterraneo e in Africa gli USA non hanno più amici. Avremmo un ruolo come “grande molo Italia” come portaerei e nave officina affinché l’America possa contrastare l’espansionismo cinese e tenere sotto tiro Russia e Medio-Oriente. Se così fosse, il governo Meloni esiga in cambio gas, petrolio e materie prime a prezzi calmierati, fabbriche di chip, automotive e digitalizzazione per il mercato europeo, insieme ad un intervento economico che riduca il bisogno africano di emigrare.
Tramontata la via della seta, il sogno Pechino-Lisbona travolto dalla guerra, offri all’impero d’Oriente porti e logistica alla rotta Suez-Sud-Nord evitando la circumnavigazione dell’Africa, in cambio fabbriche di pannelli solari, automotive per il mercato europeo e investimenti turistici per il mercato orientale (tra parentesi lascia perdere la TAV Torino-Lione che serve solo alla Francia).
Il governo non rinneghi l’economia fascista: una versione aggiornata dell’IRI, garantita dai beni immobili dello stato, può ramazzare capitali esteri, promuovendo e finanziando le manifatture italiane. È indispensabile una conglomerata statale con dirigenti dall’internazionale, estranei ai giri della politica e delle università italiane politicizzate.
Giorgia Meloni potrebbe fare questo?
Ultim’ora: mentre la UE si scopre qatarizzata, il sultano la scudiscia