Ad essere iper-ottimisti un creposcolo, senza mai la sicurezza di pizzare il ciaro (accendere la luce) ogni sera se non si fosse attaccati al nucleare dei confinanti. Eolico e fotovoltaico possono solo avere una funzione complementare, a costi altissimi, occorre tuttavia una fonte di energia certa e continua.
Non è noto un chiaro conteggio per i materiali inquinanti e l’energia necessari a produrre pale e pannelli e poi smaltirli da obsoleti e quindi se il saldo sia effettivamente attivo, ma è un dato sperimentale che, in Italia, il capacity factor (rapporto tra potenza installata e potenza prodotta/utilizzata) sia per l’eolico che per il fotovoltaico raggiunge a stento il 20% a fronte del 85-90% degli altri sistemi.
La causa del basso capacity factor per eolico e fotovoltaico è evidente: la rara disponibilità di vento per l’eolico, per il fotovoltaico l’alternanza notte giorno. In Sicilia, dove è più performante, le ore di buio sono 4.500 sulle 8.760 totali annue cui vanno aggiunte la minor efficienza invernale e col cattivo tempo.
Giudicati in chiave di marketing, sia l’eolico che il fotovoltaico sarebbero “prodotti” destinati al fallimento, quindi da abbandonare, ma vengono tenuti in vita artificialmente dalle sovvenzioni pubbliche e dalla martellante propaganda con la falsa promessa del “mulino verde”, che, se fosse pubblicità normale, finirebbe di fronte al giurì e immediatamente sospesa.
Un ulteriore danno viene dalle sovvenzioni pubbliche, cioè soldi dei cittadini, erogate in base alle potenze installate, senza tener conto del capacity factor: un invito per improvvisate imprese del settore a installare l’eolico non dove abbia un minimo di probabilità di funzionare, ma ovunque lo spazio costi poco e non disturbi gli abitanti locali.
Viaggiando avanti ed indietro, sia via terra che via mare, lungo il golfo del Leone, mi sono spesso chiesto quale misteriosa malattia mentale patiscano i francesi per aver disseminato pale eoliche perennemente ferme tanto col vento leggero quanto con le tramontanate da 100 nodi, peculiari alla zona.
Per massimizzare la produzione dei mostri eolici occorrono 20 nodi di vento, con 10 siamo alla sufficienza, oltre i 30 vanno fermati.
In Francia, sulla costa del Leone, i 10-20 nodi di vento sono abbastanza frequenti, per qualche ora, nei pomeriggi estivi di tempo buono, relativamente vicino alle coste, e basta. Altrimenti soffiano, discontinuamente per non più di una settimana, principalmente durante le mezze stagioni, i soliti scirocco, libeccio e tramontana sopra i 30 nodi.
Ci sarebbe il discontinuo levante, vento leggero da est che porta pioggia, ma questo, in compenso, riduce la produzione fotovoltaica.
Del tutto analogo è il comportamento del Dio Eolo in Italia. Soffriamo quindi della stessa malattia mentale, il mal francese, disseminando torri eoliche a deturpare il Bel Paese. La medicina sta nella mangiatoia delle sovvenzioni pubbliche.
Facciamo il punto della situazione in Italia, tra gennaio ed agosto 2021, i consumi di elettricità sono stati soddisfatti come segue.
Rinnovabili: eolico 6-7%, fotovoltaico 9%, quisquiglie, perfino il tradizionale idroeletrico li surclassa con il suo 16%.Il 2% di geotermico, limitato per ovvie ragioni, fa miglior figura.
Import: 14%, molto conveniente poiché, in maggior parte, proveniente da eccesso di nucleare nei paesi confinanti.
Rimanente: termico con gas o carbone.
Proviamo a fare delle ipotesi teoriche per grandi numeri in attesa che gli esperti presentino valutazioni non inquinate da propaganda.
Se si volesse coprire la metà degli attuali bisogni elettrici italiani con l’eolico, occorrerebbe popolare il territorio con milioni di torri, a costi impossibili e insopportabile inquinamento acustico, quando raramente in funzione.
L’unica decisione razionalmente sostenibile sarebbe, nel nostro paese, l’abbandono di ogni progetto eolico, fatte salve alcune circoscritte situazioni locali estremamente favorevoli.
Diversamente il fotovoltaico potrebbe, sempre in teoria, coprire l’intero fabbisogno elettrico italiano utilizzando meno di un quarto delle terre incolte, con un minimo di continuità grazie ai sistemi di accumulo oggi conosciuti, sia pure senza poter ovviare alle differenze tra estate ed inverno, tra soleggiato e nuvoloso, alla copertura dei picchi di richiesta e alle differenze climatiche di uno stretto territorio che si estende per 1.200 chilometri da nord e sud.
Ammesso che non accada, considerando il bassissimo capacity factor, che il capitale investito e l’energia per fabbricare e smaltire i pannelli non risultino superiori al valore dell’energia prodotta.
Ammesso che non accada che l’installazione di grandi parchi fotovoltaici non modifichi profondamente il microclima delle plaghe ospitanti.
Ammesso che non accada che si fabbrichino i pannelli in Italia, passando dalla dipendenza fuori controllo delle forniture di gas importato a quella di pannelli e di materie prime indispensabili a fabbricare i pannelli.
Se questi equilibri sono possibili – ma chi li ha certificati sinora? – si può programmare, a medio termine, un mix idroelettrico, fotovoltaico e termico/nucleare e in maggioranza gas nazionale.
A breve termine, intanto, cioè oggi, domani e il prossimo anno, grazie agli idolatri del “mulino verde”, non c’è nulla da fare.
Il gas estratto in Italia ormai è stato ridotto a meno del 5% del fabbisogno totale: con l’attuale legislazione restrittiva, ci vorrebbero 3/5 anni solo per raddoppiarlo, cambiando legislazione da subito, si potrebbe quadruplicarlo, per mettere in funzione un contributo nucleare ci vorrebbe il doppio del tempo, sempre iniziando oggi.
E’ tuttavia illusorio presumere i prezzi calmierati grazie al gas nazionale: le imprese estrattive lo venderebbe al prezzo internazionale corrente.
Un paese di 60 milioni di abitanti, per non cadere rapidamente nella povertà più nera, non può assistere alla propria deindustrializzazione nell’indifferenza dei capataz economici, buro-politici, statali e sindacali.
Mancando di fonti energetiche e di materie prime la nostra è sempre stata un industria di trasformazione, ma sono economie industriali di trasformazione anche Germania e Cina, ciò nonostante si classificano prima e seconda nelle esportazioni e nel saldo attivo tra import ed export per abitante.
La storia dell’ultimo mezzo secolo ha dimostrato che l’establishment buro-politico statale e quello sindacale hanno disastrato la nostra economia con decisioni errate, legislazione confusa quando non criminale, propensione a lacci e lacciuoli.
Oggi, presso costoro, gira la leggenda, sotto forma di facile propaganda, che occorra aumentare i consumi per far ripartire il paese. Quali consumi? Maritozzi al bar, pranzetti al ristorante, balli in discoteca, esercizi di bellezza in palestra, vacanze in Italia e all’estero…. E’ solo economia effimera e festaiola, mentre le fabbriche crollano sotto i costi energetici: chiudono le ceramiche, la carpenteria, i semilavorati di pregio, la plastica, il vetro, l’agro-alimentare… I vampiri nel Palazzo guatano i 1.500/2.000 miliardi di risparmi privati, sperando di trasformarli in consumi grazie a bonus un po’ di qua un po’ di là, così mal combinati da promuovere l’industria delle truffe, a vantaggio di fondi internazionali e delle casse di paesi meglio governati.
“Fabbricare in Italia non è conveniente” sentenza di morte: aggiungendosi alla buro-politica dannosa delle Grida di manzoniana memoria. L’imprevidenza ci ha impiccato al gas importato.
Ma non solo: il nostro costo del lavoro è gravato dal più alto cuneo fiscale al mondo, 100% del netto in tasca al dipendente.
Bonomi, Presidente Confindustria, ha implorato coraggio dal governo per un significativo taglio del cuneo fiscale per rendere competitive le imprese italiane, restando inascoltato. Bonomi metta alla frusta il proprio ufficio studi e definisca da subito una cifra precisa.
Per buttarla là in termini operativi, se si cancellasse l’Irpef dipendenti si otterrebbe un risparmio immediato sul costo del lavoro per le imprese di circa un centinaio di miliardi che si ripercuoterebbe sull’intera filiera fino al consumatore finale, non si tratterebbe di aiuto statale ma di politica fiscale.
Circa cento miliardi è il valore dell’Irpef dipendenti privati, l’Irpef dipendenti pubblici e pensionati è una finzione contabile poiché viene solo scritta in entrata ed in uscita, a sommatoria zero
Si può fare, si può fare, recuperando la mancata entrata con una rimodulazione dell’Iva principalmente sul lusso e sui beni di consumo importati. Contabili, al lavoro!