Fra le tante critiche mosse all’idea di Padania non mi pare che alcuno obiettò che essa non è più artefatta di quanto sia la nozione corrente di “Europa”.Anzi, i più ostili all’identità padana sono i più entusiasti della Ue; essi non esitano a evocare la “patria europea”, sebbene questa sia oggettivamente più distante dalla maggioranza dei cittadini d’ogni agonizzante stato europeo, ben più di quanto possa essere la “patria padana”, vicina ai suoi cittadini, anche quelli più scettici circa la sua esistenza.
Questa duplicità convive contraddittoriamente col progressivo irradiarsi della UE nelle nostre vite, da cui consegue una crescente consapevolezza d’un Quarto Reich, le cui leve di comando sono, neanche a dirlo, a Berlino e Francoforte.
Facciamo un inciso su cui torneremo nelle prossime puntate: l’Italia è “nord e sud”, soprattutto da quando l’UE è più forte che mai. Occorre tenerlo presente.
È un fatto, sul quale indagheranno gli storici, l’inerzia con la quale abbiamo accettato di porre le nostre vite, il nostro futuro, le nostre ricchezze e il nostro lavoro nelle mani d’un regime che non ci rappresenta. Tutto avvenne con la promessa di maggiore ricchezza per tutti. Alla prova dei fatti la bolla finanziaria e la balla politica sono gonfie del medesimo gas tossico tedesco. Alla vigilia della Seconda Guerra mondiale molti intellettuali rischiarono la vita e l’agiatezza per levare la loro voce. Leggete qui una lettera inedita di Francesco Saverio Nitti a Mussolini a proposito della Germania. Oggi regna un piattume conformista, dai giornali alle tivvù.
Non deve dunque stupire se le capitali europee – Bruxessel, Strasburgo e, su varia scala, quelle d’ogni singolo stato membro – sono nient’altro che teatri di pantomime politiche, decise altrove, rispecchianti il gravame d’un nuovo modello politico, anzi vecchissimo: l’oligarchia.
In altre parole, a due secoli dalla Rivoluzione francese, è nata una nuova aristocrazia, alimentata per cooptazione, costituita al suo più alto livello dai grandi burocrati e dai finanzieri.
Le funzioni di tale oligarchia sono pantografate su quelle dei grandi casati dell’ancien régime come su quelle delle “nomenklature” dittatoriali, in tutte le loro sfumature dal rosso carminio al nero. La sintesi fra ancien régime e dittature post illuministe non casualmente ha il suo epicentro nella Germania, sintesi a sua volta delle aristocrazie guerriere colle peggiori dittature rosso-nere, cui si somma un virulento anticattolicesimo, che dovrebbe far riflette i troppi cattolici entusiasti del “dialogo” fra i cristiani. Sono cristiani; se tuttavia non si convertono, rimangono eretici, già proprio “eretici”, parola desueta eppure indispensabile.
La nuova oligarchia, come le antesignane parruccone o quelle dittatoriali, convoglia il consenso verso il vertice totemico del potere, creando una serie di taboo, interdittivi delle libertà naturali del popolo, presentandoli come conquiste libertarie.
L’annullamento della coesione familiare, il divieto di avere figli secondo i propri desideri e le proprie possibilità, la progressiva sottrazione dei bambini ai genitori, il coercitivo controllo sulla sessualità individuale, la creazione di disparate dipendenze, il progressivo aumento della tensione bellica nonostante la fine dell’Urss, la mortificazione del matrimonio, del lavoro e della famiglia, l’obbligo di morire quando si diventa inutili, sono presentati come conquiste di libertà e democrazia. Un inganno perpetrato anche grazie a intellettuali e pensatori di varia grana che oggi – smascherati dalla crisi economica – tradiscono inevitabilmente la comune natura cicisbea: cani accucciati ai piedi dei padroni, pronti a dare sfoggio a comando della loro abilità a rizzarsi su due zampe, soprattutto a testa in giù. Osservate i giornalisti, un tempo cinghia di trasmissione fra popolo e potere. Oggi con rare eccezioni, sono ripetitori della verità rivelata dalle grosse agenzie internazionali, quelle giornalistiche giustapposte a quelle di intelligence, senza escludere la commistione fra le due classi. (1-continua)
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…poi in casa, in salotto, nel computer. Poi magari qualcuno ti viene a prendere…
E’ difficile sentirsi parte di qualcosa di troppo vasto e di troppo composito. Quanto più la ‘patria’ viene dilatata tanto meno si può sentirla, e ci si rinchiude in qualcosa di più tangibile o almeno di più raffigurabile. Quanto più si allargano i confini dell’‘Europa’ tanto più si restringono i confini reali della patria: anche l’Italia diventa poco percepibile, così ci si rifugia nella regione, poi nella provincia e infine, ovviamente, nel campanile.