L’élite dirigente – imprenditoriale, economica, politica di governo e di opposizione, accademica e giornalistica – è un’élite di auspicanti. I progetti benefici per l’economia e per il popolo italiano sono incessantemente auspicati dagli auspicanti. Nessuno degli auspicanti s’abbassa tuttavia a indicare come fare in concreto e quali siano i numeri dai quali l’economia non dovrebbe prescindere. Da ultimo il presidente di Confindustria, tal Carlo Bonomi, prima ha fatto l’auspicante, poi s’è rinchiuso in un dignitoso (?) silenzio dopo la decisione del decisionista Mario Draghi che ha deciso esattamente come il decisionista Giuseppi Conti. Vediamo.
Gli auspicanti più insistenti sono quelli del “bisogna creare lavoro”. Niente di più giusto! La principale criticità del paese è il basso tasso d’occupazione, tra i più bassi in Europa.
“Più lavoro” significa “maggior produzione di merci materiali o immateriali”. Tali merci devono trovare chi le comperi. I nostri auspicanti non dicono che cosa si dovrebbe produrre e a chi vendere. Per costoro è un dettaglio senza importanza, indegno della loro attenzione.
Al secondo posto gli auspicanti più nascite, altrimenti l’età media si alza e chi manterrà i pensionati? Il paese si spopola! Troppo giusto! Ma se manca il lavoro che ne faremo di nuovi nati, da mantenere per decine d’anni, da parte di coppie che stentano a mantenere se stesse e da uno stato pieno di debiti? Nessuna spiegazione degli auspicanti.
Squalificati per manifesto deficit intellettivo gli auspicanti “la nostra economia ha bisogno di più immigrazione”. Quanta di più? In quanti anni? Che cosa si fa con gli immigrati non ancora collocati sul mercato del lavoro? Quante spese extra stanno imponendo al bilancio dello Stato? Gli auspicanti sorvolano.
Quanti s’illudono che l’immigrazione si risolva con “più Europa” (Carlo Calenda ci perdoni) 😛 , dimenticano la soave Angelina Merkel; essa disse chiaro e tondo “l’Europa non è uno stato federale”, non ha quindi confini comuni né gestione politico-economica comune: siamo stati sovrani, legati tra loro da un sistema di trattati (che ci sottomettono alla Germania, ma questo lo ha taciuto). Gli auspicanti non di meno auspicano una difesa comune. Stupidi.
Tutti i testi di economia assicurano: edilizia=moltiplicatore economico; più si costruisce più l’economia tutta cresce. Tempo fa si disse “se si ferma l’edilizia si ferma l’Italia” e rapallizzarono la graziosa cittadina ligure amata dai milanesi bene, deturpandola selvaggiamente.
In Spagna costruirono a spron battuto; poi molte costruzioni rimasero scheletri vuoti per mancanza di compratori, tirandosi dietro fallimenti di imprese e banche, mettendo a repentaglio l’intero sistema paese.
In Italia si auspicano bonus e sconti fiscali per l’edilizia, senza curarsi se ci sia qualcuno disposto a comprare in un mercato dal fiato corto.
Ci sono gli auspicanti del “più lavori pubblici”: come si fa a non capire che abbiamo sì bisogno di infrastrutture ma quelle esistenti cadono a pezzi, bisognose di manutenzione; come si fa a non capire che i lavori pubblici sono anch’essi moltiplicatori economici che creano più occupazione, più consumi, più ricchezza… ma anche più debito, ma va?
Ah, i bonus! Ci sono auspicanti bonus per ogni settore del mercato. Un velo di pietà sui i più esilaranti, come i monopattini. Occorre tuttavia ricordare che tre quarti del mercato auto è di importazione; noi quindi regaliamo soldi dei cittadini italiani in bonus che fanno girare fabbriche altrui; così pure la quasi totalità delle telecomunicazioni è importata e regaliamo soldi dei cittadini italiani per bonus su decoder, telefoni, tv HD (forse i dottori Silvio e Piersilvio Berlusca ce lo spiegheranno?).
La palma della stupidaggine va agli auspicanti d’ogni colore per le “minori tasse”, per aumentare, assicurano, le retribuzioni nette, quindi i consumi delle famiglie. Bravi! Un bell’applauso! Peccato abbiate dimenticato che le cifre del 2019-20/21 assicurano che gli italiani spendono in beni di consumo tra 750 e 800 miliardi anno, importando merci tra 450-500 miliardi, energia e materie prime incluse.
D’accordo, le importazioni occorrono a produrre merci esportate per 500-/550 miliardi; d’accordo, confrontiamo cifre di prezzi differenti (import-export, prezzi all’ingrosso al netto IVA; consumi al dettaglio IVA inclusa). Comunque la si giri, ogni 100 euro pagati alla cassa dei supermercati, 50 almeno vanno a economie straniere, li regaliamo alle economie straniere.
Apparve all’orizzonte un nuovo auspicante: il dottore in economia e commercio Carlo Bonomi, imprenditore, Presidente della Confindustria Italiana da maggio 2020, lo sarà fino al 2024, cinquantacinquenne, nipote della mitica, affascinante Anna Bonomi Bolchini.
Costui nel mezzo del cammin della sua vita, nel mezzo d’un ottobre 2021 foriero d’un difficile inverno, nel mezzo del cammin del DEF, il piano di economia e finanza del Governo Draghi per il 2022 e gli anni a venire, s’accodò agli auspicanti «Un intervento coraggioso [da parte del Governo, NdR] sul taglio del cuneo fiscale….[per] intervenire sul costo del lavoro… Non possiamo farlo sul costo dell’energia, delle materie prime, quindi il costo del lavoro è l’unico punto su cui possiamo lavorare per rendere più competitive le nostre imprese».
Molto bene, se le nostre imprese diventassero più competitive sarebbe più conveniente per tutti fabbricare in Italia, invece di delocalizzare; si creerebbe più lavoro, più consumi, soprattutto Made in Italy, meno incertezze sul futuro quindi più nascite. più desiderio di migliorare la qualità del proprio abitare quindi più edilizia, più entrate fiscali per i lavori pubblici e il contenimento del debito: il Bengodi? Sicuramente no, ma significherebbe giro di boa e vento a favore.
Si formerebbero così le risorse per la seconda tranche di auspici bonomiani «…sostenere la transizione energetica e ambientale […] attuare le riforme strutturali che rappresentano la chiave per irrobustire in modo duraturo il potenziale di crescita del paese […] per mettere più soldi nelle tasche degli italiani e quindi pensare di stimolare la domanda interna….».
L’altro auspicio dell’auspicante è stato “colpire evasione e lavoro nero”.
Per uscire dal branco degli auspicanti inconcludenti, il dottor Carlo avrebbe tuttavia dovuto dire quanto tagliare del cuneo fiscale per rendere competitive le imprese che operano in Italia: quante decine di miliardi? 100? 150? Avrebbe dovuto dirlo soprattutto al sor Mario prima che tirasse al Bonomi l’assist dei bonus dai qualche miliardo; dopo di che, zitto e spolpa l’osso, e addio giro di boa….
Questo è infatti accaduto con la proposta di legge di bilancio, fotocopiata tal quale dal sor Mario, come la legge di bilancio 2021-23 del governo di Giuseppi… perché quindi l’avete mandato via?
Ecco: 24 milioni vanno al taglio del cuneo fiscale, allo scopo di rendere più competitive le imprese italiane, come auspicò tra gli auspicanti il “coraggioso” Carlo Bonomi, Presidente della Confindustria. 24 milioni, non miliardi (un refuso?). Lo stanziamento per il reddito di cittadinanza, definito dall’auspicante Bonomi “debito” di cittadinanza, è di 30 miliardi.
E bonus a pioggia. Cancellati i più grotteschi sui monopattini, una valanga di soldi su elettrodomestici, elettronica, auto elettriche, a favorire le produzioni straniere. Ripetiamo: soldi sottratti ai cittadini italiani per arricchire altri paesi, bonus per il rifacimento delle facciate, per pannelli solari anch’essi importati, vacanze, vacanzieri, benessere. La produzione? Si vedrà…
Uno spreco di denaro per favorire consumi edonistici e trastulli, senza sostenere la competitività delle nostre imprese, la convenienza a fabbricare in Italia.
Le multinazionali chiudono, trasferendo altrove la produzione, come d’altronde le imprese italiane delocalizzano o svendono le proprie attività.
L’Irpef dei 15 milioni di dipendenti delle imprese private costa ai datori circa 100 miliardi, Irpef, pur definita “Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche”, + in realtà “imposta/costo sul lavoro”.
L’Italia è uno dei 5 paesi dove 100 euro netti in tasca al lavoratore costano al datore di lavoro 200, questa è la principale ragione per cui non conviene produrre qui. In tutto il resto del mondo i 100 euro netti costano al massimo 150.
Per non aver costruito centrali atomiche, la nostra energia, importata o comunque prodotta con materie prime importate, è tra le più care al mondo. Costo dell’energia e costo del lavoro indeboliscono la nostra competitività, obbligandoci a consumare prodotti importati, finiti e semi-lavorati.
Ridurre la quota di prodotto finito o semi-lavorato importato e aumentare il prodotto made in Italy competitivo; è questa la chiave per far ripartire l’economia, tagliando il cuneo fiscale, ricetta del Bonomi presidente Confindustria.
Dopo tante roboanti dichiarazioni prima della legge di bilancio, oggi tace. Oppure acconsente? Si è convinto siano sufficienti 24 milioni in tre anni, a rendere competitive le imprese italiane.